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 2010  maggio 23 Domenica calendario

SMARRITA EUROPA DOVE VAI

Cosa è preferibile: unità e coesione oppure disgregazione e lotta civile? La risposta sembrerebbe ovvia, come chiedersi se la pace è meglio della guerra. Meglio essere una democrazia grande e robusta che uno stato represso e povero. Allora è forse vero che big is beautiful? La superpotenza del XX secolo, gli Stati Uniti, ha da lungo tempo il più grande mercato interno del mondo. Nel XIX secolo gli Usa hanno dovuto fare fronte a una terribile guerra civile, ma, finita questa, e ristabilita l’unità e la prosperità degli abitanti, l’America divenne l’invidia del mondo. La Cina, che aspira al ruolo di superpotenza del XXI secolo, fu lacerata da guerre civili nel XIX e XX secolo e fu umiliata da tutte le grandi potenze, ma è ora sul punto di diventare il più grande mercato del mondo.
E l’Europa? Molti sostengono che i problemi attuali che affliggono il Vecchio continente sono dovuti a sue divisioni, sia antiche che nuove. Il mercato interno europeo è molto grande (più di quello americano), ma il continente è frammentato in una qua-rantina di Stati, divisi, come lo storico olandese Max Kohstamm commentava ironicamente, tra quelli che sono piccoli e quelli che non si rendono conto di esserlo.
Le profonde divisioni linguistiche e culturali sono un ostacolo al tipo di mobilità che è comune per esempio negli Stati Uniti e Cina (e, per di più, ci sono partiti xenofobi che cercano di limitare anche la già poca mobilità che c’è). E poi ci sono tutte le diversità culturali che rendono l’Europa così affascinante ma difficilmente gestibile.
Eppure molti storici hanno a lungo sostenuto che il processo che ha portato alla industrializzazione dell’Europa occidentale è dovuto al fatto che mai questa area fu sottomessa a un unico potere egemonico. Insomma la divisione dell’Europa è stata un buon affare. Lo storico francese Jean Baechler si spinse, una trentina di anni fa, a dichiarare che il miracolo europeo – losviluppo capitalista compiuto – era proprio dovuto alle sue profonde divisioni e cioè alla coesistenza di più unità politiche (stati, principati, eccetera) all’interno di un grande spazio culturale. Questa situazione ha determinato un potere politico debole: lo Stato (gli Stati) non sono mai riusciti a sottomettere la Chiesa; la Chiesa non è mai riuscita a controllare lo Stato, i signori feudali hanno spesso sfidato il potere dello Stato; la borghesia non è mai stata interamente soggiogata dallo Stato; i lavoratori, appena hanno potuto, hanno limitato i poteri dello stato borghese. Questa è stata la ricetta europea: meno Stato meglio è stato. L’apoteosi di tutto questo fu il Regno Unito che nel tardo XVIII secolo era il paese più libero di tutti,osannato da tutta l’intellighentsia europea; il che equivale a dire che lo Stato britannico era troppo debole per interferire nell’attività dei suoi cittadini.
Tutto questo è musica per le orecchie dei difensori dello Stato minimo. E forse Luigi XV avrebbe dovuto ascoltare più attentamente il suo consigliere economico, quel François Quesnay, che, secondo la leggenda, quando il re gli chiese cosa avrebbe dovuto fare, rispose: «Sire, non fate nulla, laissez faire ». Ma il re non ascoltò e non riformò il suo Stato dirigista permettendo così alla Gran Bretagna di superare la Francia e avviarsi per prima verso il capitalismo globale.
In verità questa è una visione un po’ troppo rosea della storia britannica. Il Regno Unito non fu mai un bastione intransigente del «laissez faire». Non si costruiscono imperi solo con il commercio e l’imprenditorialità. Ci deve essere qualcuno che tassi la gente, costruisca navi, colonizzi terre, spedisca governatori a tenere a bada gli indigeni, e difenda (se necessario con la forza) gli interessi imprenditoriali. E per questo occorre uno Stato forte e quello britannico fu sia efficiente e forte, e anche fortunato. Una delle decisioni strategiche che portarono a conseguenze inaspettate risale ai tempi della regina Elisabetta I quando il paese decise di investire fortemente nella marina militare. Questa decisione non fu certo presa per sviluppare il capitalismo (allora appena nascente), ma per proteggere un paese che era molto più debole dei suoi vicini. solo più tardi che si è scoperto che una marina eccezionale avrebbe permesso alla Gran Bretagna di trarre enormi profitti dalla tratta degli schiavi e dal controllo di terre lontane. Come Machiavelli ci ha insegnato, si vince non solo perché si possiede Virtù, ma anche perché si ha Fortuna, vale a dire perché le circostanze ci sono favorevoli e gli altri commettono errori.
Altri Stati seguirono la Gran Bretagna sulla strada dell’industrializzazione e nel 1914, anche se gli Stati Uniti erano già la più grande potenza industriale, l’Europa occidentale, era il centro mondiale dell’industria e del commercio. Poi due guerre mondiali, che alcuni chiamano la Grande guerra civile europea, distrussero la supremazia del Vecchio continente. Persi i suoi imperi, l’Europa si risollevò dalle macerie, si leccò le ferite e intraprese una crescita economica pur rinunciando ad ambizioni militari (come fece anche il Giappone). Francia e Germania, che si erano combattute per secoli, furono il nerbo dell’esperimento più importante di integrazione regionale mai esistito. Questo esperimento sta ora attraversando una grave crisi, e non per la prima volta. Questa, come le altre, è un agglomerato di vecchi e nuovi problemi. Il modello di capitalismo europeo, il capitalismo del welfare, è in crisi da anni. Sopravvive soprattutto perché è difficile vincere elezioni promettendo di distruggere lo stato sociale. più facile vincere promettendo meno tasse. Così tutti fanno debiti, sia gli Stati che i cittadini. E, fino a che non succede nulla di terribile, tutti sono felici e contenti. Ma quando succede qualcosa di serio, come oggi, occorre agire rapidamente e tutti uniti, cosa che per l’Europa risulta difficile. Negli Stati Uniti il governo federale è debole, perché il presidente deve convincere il Congresso ed entrambi devono convincere cinquanta Stati, ma si tratta pur sempre di uno Stato vero. L’Europa non lo è. Alcuni Stati europei hanno una moneta in comune e una banca centrale, ma l’Unione non dispone dei meccanismi di controllo che di solito si accompagnano alla moneta unica. E le disuguaglianze e disequilibri tra i vari Stati europei sono molto più significativi che quelli tra gli Stati americani.
L’Europa doveva scegliere: o rimanere una zona di libero scambio, o costruire un vero Stato federale.
Il primo era un orizzonte troppo limitato per gli europei ( una zona di libero scambio non ha bisogno di parlamenti, commissioni eccetera). Il secondo era un progetto troppo ambizioso e così si è rimasti in mezzo al guado senza un sistema fiscale comune, senza un welfare europeo e senza un meccanismo centrale che obblighi i vari Stati a seguire simili percorsi. Tutto è costantemente soggetto a negoziati estenuanti. Ognuno degli Stati membri dell’Unione europea è una democrazia, mentre l’Unione europea non è una democrazia, ma un’associazione di democrazie. Concluse le trattative ogni governo torna a casa e cerca di convincere il suo elettorato di avere difeso con zelo gli interessi nazionali (badate: non quelli europei).
Perché sorprendersi? L’europeismo è sempre stato appannaggio di élite (come il nazionalismo nella sua fase iniziale).L’Unione europea non è stata creata dagli europei ma da stati-nazione nel perseguimento del proprio interesse nazionale. Oggi sono pochi quelli disposti a morire per la patria, ma sarebbe assolutamente bizzarro sentire qualcuno dire che sono pronti a morire per l’Europa.Lo spettro di un passato didivisioni continua ad aggirarsi ansiosamente e ostacolare la costruzione dell’Europa. Non si seppelliscono mille anni di inimicizie in pochi decenni.