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 2010  maggio 24 Lunedì calendario

LE PARTITE DI VITTORIO GRILLI IL "CIAMPI BOY" CHE HA CONQUISTATO TREMONTI

Un Ciampi boy alla testa dell’ala rigorista di un governo di centro destra. Il percorso di carriera di Vittorio Grilli, classe 1957 e direttore generale del Tesoro dal 2005, quando il ministro Domenico Siniscalco, da qualche mese succeduto a Giulio Tremonti alla guida del dicastero dell’Economia, lo nominò nella posizione che rimaneva vacante in seguito alla staffetta di governo, in realtà assomiglia molto a quella di un alto funzionario di Stato. Accademico, riservato, poco incline alle sfumature della politica, tecnico molto preparato, interista, amante del golf e dei vini, per Grilli la nomina al Tesoro rappresentava una sorta di ritorno all’antico in quanto i palazzi di via XX Settembre li varcò per la prima volta nel 1994 lasciandoli solo nel 2000 dopo aver scalato diverse posizioni e aver lavorato a stretto gomito con Mario Draghi, che allora ne era il direttore generale.
In soli due anni Grilli, laureato alla Bocconi e con all’attivo un Phd in Economics presso l’University of Rochester, diventò capo della Direzione I, analisi economicofinanziaria e privatizzazioni e di lì a poco avrebbe inventato i Ctz, titoli di stato zero coupon, senza cedola ma con rimborso di capitale e interessi tutti alla scadenza, che registrarono un notevole successo tra i risparmiatori e le istituzioni. Partecipò, negli anni ”90 e sotto l’ala di Draghi, alla grande stagione delle privatizzazioni entrando anche personalmente in alcuni consigli di amministrazione per conto del Tesoro. Prima alla Bnl, poi nell’Enel e nella controllata Wind, fino all’Alitalia.
Sempre molto lontano dai riflettori della stampa, atteggiamento un po’ altezzoso per via dell’esperienza accademica negli Stati Uniti, ma sempre molto attento a non gettare alcuna ombra sulla propria correttezza professionale, nel 2000 Grilli decide di tornare all’insegnamento in Bocconi. Poi un anno presso una banca d’affari internazionale, il Credit Suisse First Boston, prima di essere richiamato dall’allora governo Berlusconi a sostituire Andrea Monorchio alla Ragioneria generale dello Stato. E poiché quello era un periodo in cui rapporti tra il premier e l’inquilino del Quirinale, Carlo Azeglio Ciampi, non erano dei più idilliaci, l’arrivo di Grilli fu salutato come un segnale di distensione ai vertici delle istituzioni.
Quindi il passaggio alla direzione generale favorito dalla staffetta TremontiSiniscalco. Ma è più con il primo piuttosto che con il secondo che Grilli si trova in sintonia e riesce a creare una vero e proprio sodalizio. Il professore di Sondrio torna in via XX Settembre nell’autunno del 2005 quando Siniscalco ritiene insostenibili le pressioni internazionali sul caso Fazio, e con Grilli avvia subito un rapporto costruttivo. Il direttore generale ha in mano la macchina del Tesoro, qualcuno dice che il successore di Draghi e Siniscalco ha lavorato meno dei predecessori sulla formazione della squadra ma è anche vero che il perimetro delle partecipazioni e l’area di attività si sono ridotte rispetto agli anni ”90 che furono decisivi per l’ingresso dell’Italia nell’euro. La sua permanenza su quella poltrona anche sotto le insegne del governo Prodi e l’arrivo all’Economia di Tommaso PadoaSchioppa non è che un’ulteriore conferma della sua natura "tecnica" e il suo sapersi gestire in un’ottica bipartisan. Grilli tiene la posizione nonostante in quel periodo l’uomo di riferimento per il ministro fosse diventato il sottosegretario Massimo Tononi, giovane banchiere formatosi alla Goldman Sachs, che oggi non rappresenterebbe più il nome di punta in un curriculum a cinque stelle.
Con il ritorno di Tremonti nel quarto governo Berlusconi del 2008 ritorna in auge anche il precedente sodalizio con Grilli che, anzi, si rafforza. Le ultime mosse che hanno caratterizzato la gestione del Tesoro segnalano infatti un ruolo sempre più rotondo di Grilli, che prima o poi lo costringerà a quella ribalta che finora ha sempre tenuto a distanza. C’è infatti l’impronta indelebile del direttore generale del Tesoro in tre eventi recenti che appaiono importanti per il peso nell’economia e finanza italiana. La nomina di Giovanni Gorno Tempini alla guida della Cassa Depositi e Prestiti, l’elezione di Andrea Beltratti a presidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo e, last but not least, al team di Grilli è da attribuire l’idea dello Special Purpose Vehicle volto a garantire 500 miliardi di prestiti governativi ai paesi europei con problemi di bilancio pubblico.
Sul primo tema molto si è già scritto ma ciò che ha sorpreso è stata la capacità, questa volta anche politica, di Grilli nel trovare un candidato per la Cdp che fosse di sua fiducia e al tempo stesso rassicurasse le Fondazioni, socie al 30%. Il precedente amministratore, Massimo Varazzani, infatti, aveva tenuto dei comportamenti troppo autonomi che avevano minato la fiducia sia del presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, sia dello stesso Grilli. Facendo cadere la scelta su Gorno Tempini il direttore generale del Tesoro è riuscito a ottenere entrambi i risultati: è di sua fiducia avendone testato la professionalità negli anni in cui Gorno lavorava alla Jp Morgan, e rassicura le fondazioni in quanto conosce Guzzetti ed ha un rapporto molto stretto con Giovanni Bazoli, che lo aveva prelevato da Intesa Sanpaolo per affidargli la gestione della finanziaria Mittel.
Sul nome di Andrea Beltratti, Grilli si è speso agendo dietro le quinte, tenendosi in contatto con alcuni esponenti della Compagnia San Paolo che erano anche preoccupati per le voci su un eventuale commissariamento che sarebbe potuto intervenire ad opera del ministero. Beltratti era stato un allievo di Grilli ai tempi di Yale, sul finire degli anni ”80, università dove il neo presidente del Consiglio di gestione di Intesa ha conseguito il suo Phd in Economics. Mentre tutti gli osservatori avevano intravisto dietro la candidatura di Siniscalco la spinta del ministro Tremonti, in realtà al Tesoro hanno tifato molto per Beltratti e la conferma è arrivata proprio il giorno della sua elezione. Con una mossa discutibile sotto il profilo dell’opportunità, a poche ore dalla nomina Beltratti ha fatto visita a Tremonti e Grilli, quasi a voler significare che la politica non è rimasta alla finestra e che sul professore della Bocconi campeggia un preciso marchio di fabbrica.
Poi domenica 9 maggio è arrivata la sorpresa, l’accordo tra i paesi aderenti alla Ue su un "Fondo per la stabilizzazione dell’euro" da 500 miliardi a cui potranno attingere i paesi con difficoltà di bilancio. La sorpresa è rappresentata dal fatto che tale fondo è stato pensato in via XX Settembre e proposto in sede europea proprio dal team di Grilli che prima l’ha sottoposto a Tremonti il quale l’ha girato a Berlusconi che sua volta è volato a Bruxelles per convincere Sarkozy e la Merkel della bontà del progetto. L’idea di base è che il Fondo possa finanziarsi emettendo bond con un rating che è la sintesi dei paesi Ue e con questo denaro può poi acquistare titoli del debito pubblico dei singoli paesi, ma solo a fronte di un preciso e rigorosissimo piano di stabilizzazione delle finanze pubbliche. Lo scopo principale del Fondo sarebbe dunque quello di prevenire le crisi sistemiche e fungere da prestatore di ultima istanza dell’area euro. Ma non è stato facile farlo digerire ai tedeschi i quali non volevano veder "diluito" il proprio rating all’interno di un panel europeo meno virtuoso di quello tedesco preso singolarmente.
Alla fine si è giunti a un compromesso, con rating pro quota per i singoli paesi e così all’una di mattina del 10 maggio, prima dell’apertura della Borsa di Tokio, la Ue ha potuto dare l’annuncio di un piano di salvataggio dell’euro per un totale di 750 miliardi di euro, un dispiegamento di risorse mai visto prima. I mercati hanno ballato ancora nelle ultime due settimane, mostrando ancora una certa diffidenza verso l’azione di stabilizzazione e anche perché in più di un’occasione l’Europa non si è mostrata unita nei suoi movimenti. La decisione unilaterale della Germania di vietare le vendite allo scoperto sui titoli del debito pubblico non ha fatto altro che allarmare ulteriormente gli operatori su possibili situazioni a rischio non ancora emerse. Per fortuna proprio venerdì scorso è arrivato il via libera del Parlamento tedesco a tutta l’operazione, decisione che ha riportato un po’ di tranquillità sui mercati.
Ma il comportamento della Germania sta creando più di un malumore tra i governanti europei e a questo punto non si può escludere che al momento buono alla presidenza della Bce possa approdare Mario Draghi piuttosto che il candidato tedesco Axel Weber. Se le cose dovessero girare in questo senso Tremonti avrebbe già la soluzione pronta per il sostituto alla Banca d’Italia: Vittorio Grilli.