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 2010  maggio 24 Lunedì calendario

AUTO, I SINDACATI USA PRESENTANO IL CONTO

C’era una volta un sindacato così potente da attirarsi le accuse di difendere una "aristocrazia operaia" privilegiata. Tra alti salari, polizze sanitarie e fondi pensione, il costo del lavoro fu accusato di avere contribuito ad affondare l’industria automobilistica americana. Travolte dalla bancarotta, due case automobilistiche si convertirono alla "socialdemocrazia di Stato".

Aiuti pubblici, e l’ingresso del sindacato come azionista in cambio di sacrifici pesanti. Questo accadeva nel biennio tremendo della grande recessione a Detroit. Ma quella pagina di storia è ormai alle spalle. E l’organizzazione dei lavoratori scalpita per tornare a un ruolo più "normale".
La tregua sindacale nell’industria automobilistica americana è ormai agli sgoccioli. "Abbiamo fatto la nostra parte nel momento del sacrificio, vogliamo la nostra parte nella stagione dei guadagni", ha dichiarato Bob King, nuovo presidente del sindacato United Automobile Workers (Uaw). Il messaggio è rivolto al management di General Motors, Ford e Chrysler. Le tre case automobilistiche stanno risalendo la china ha ricordato King anche grazie alle pesanti rinunce che furono accettate dai loro dipendenti.
I messaggi bellicosi di King sono giunti non a caso in coincidenza del primo bilancio trimestrale in utile alla Gm, un fausto evento che non si verificava dal secondo trimestre del 2007.
La Gm ha annunciato 865 milioni di dollari di utile netto, e un cash flow di un miliardo, nel primo trimestre di quest’anno. Al ritmo con cui stanno migliorando i suoi conti non è irrealistico prevedere che Gm potrà chiudere la procedura di bancarotta (Chapter 11), uscire dall’amministrazione controllata, e fare un’offerta pubblica di collocamento in Borsa alla fine di quest’anno.
Questo sarebbe il preludio alla restituzione di (almeno) una parte dei fondi ottenuti dallo Stato. Un altro segnale di ottimismo, la Gm lo ha trasmesso annunciando alle autorità di governo che vorrebbe ritornare a gestire anche il finanziamento dei crediti rateali.
Nell’abisso della crisi, il ramo finanziario di Gm, la Gmac, era stato scorporato e incluso in un’altra partita di salvataggi, quelli riservati alle banche.
Tutti questi segnali di buon auspicio non fanno che aumentare l’insofferenza della base operaia, convinta di avere sopportato il peso più duro della recessione.
I sacrifici salariali sono stati davvero consistenti. Quegli operai che vengono pagati su base oraria (e formano il grosso degli aderenti al sindacato) hanno accettato tagli alle buste paghe che vanno da un minimo di 7.000 dollari a un massimo di 30.000 all’anno, tra salario diretto e altre prestazioni come assicurazione sanitaria e versamenti previdenziali. Ora King avverte il management che almeno una parte di quelle concessioni andranno restituite ai lavoratori.
Il leader sindacale quando parla oggi ha un peso negoziale nuovo, ben diverso da quello del 2007. Uno degli effetti della crisi fu che nella gestione della bancarotta di Gm e Chrysler la confederazione Uaw accettò di diventare azionista delle due società. Attraverso il suo fondo pensionemalattia, il sindacato è azionista della Gm col 17,5% del capitale e della Chrysler con il 55% (cioè la quota di maggioranza).
La Ford è in una situazione diversa perché è l’unica delle tre case americane ad avere evitato la bancarotta, e la prima ad avere ritrovato l’utile. Ford ha ormai infilato quattro trimestri consecutivi con bilancio in utile.
Proprio con la Ford il sindacato ha aperto il primo contenzioso. King rimprovera all’azienda di avere concesso ai suoi manager aumenti molto superiori rispetto all’insieme dei lavoratori. E anche per quanto riguarda gli operai, l’Uaw contesta alla Ford di avere unilateralmente erogato degli aumenti alla manodopera che è remunerata su base mensile, lasciando indietro invece gli operai pagati all’ora che sono a maggioranza tesserati del sindacato. Una delle conseguenze della recessione è stata la creazione di un doppio sistema retributivo.
Lo stesso sindacato accettò il principio di "due classi operaie" con regimi distinti. I tagli più pesanti furono riservati ai nuovi assunti, con un salario di 14 dollari all’ora che è quasi la metà rispetto alla manodopera con maggiore anzianità. Idem sul fronte dei contributi sanitari e pensionistici, anch’essi più modesti per i nuovi assunti. Oggi questo sistema complica le trattative sui rinnovi contrattuali, che devono avvenire nel 2011.
I sacrifici accettati dagli aderenti all’Uaw hanno ormai consentito alle tre case americane di ridurre il loro costo del lavoro quasi allo stesso livello delle giapponesi che hanno fabbriche sul territorio Usa, come la Toyota.
Secondo l’economista Sean McAlinden, esperto del settore che lavora al Center for Automotive Research, "nel 2007 su ogni veicolo che usciva dagli stabilimenti Gm l’azienda pagava 1.400 dollari in più, rispetto al costo del lavoro della Toyota su un modello analogo fabbricato in uno degli stabilimenti che la casa nipponica ha sul territorio nordamericano". La spiegazione di quella differenza stava in gran parte nel "pacchetto" di prestazioni sanitarie e previdenziali, più generoso alla Gm per effetto degli accordi sindacali: assicurazione sanitaria e accantonamenti sul fondo pensione costavano 950 dollari in più per ogni vettura prodotta, nel confronto GmToyota.
Lo stesso McAlinden ha misurato gli effetti delle concessioni fatte dal sindacato Uaw nel corso del 2008: "Alla fine di quell’anno dice l’economista il costo salariale annuo delle tre case di Detroit era sceso a 69.368 dollari per i lavoratori a paga oraria. Le case straniere con fabbriche negli Stati Uniti (giapponesi, sudocreane e tedesche) a quel punto avevano ormai un costo salariale leggermente superiore, 70.185 dollari annui per lavoratore".
McAlinden stima che in futuro la dinamica del costo del lavoro diventerà ancora più favorevole alle case americane. La ragione va cercata proprio nella natura degli accordi sindacali. Visto che la confederazione Uaw ha accettato un regime salariale più modesto per i nuovi assunti, via via che le case di Detroit rinnovano la forza lavoro e inseriscono operai più giovani, il loro vantaggio rispetto alla concorrenza si accresce. Tra il 2013 e il 2015 la Toyota potrebbe arrivare a trovarsi in una situazione rovesciata: saranno i suoi salari ad essere più elevati di 10 dollari orari rispetto a quelli di Gm. A meno che Toyota reagisca a sua volta cambiando la sua politica retributiva.
Lo scenario di previsioni tracciato da McAlinden prescinde però dai segnali di King. Se la Uaw apre una nuova stagione di rivendicazioni, i conti andranno rifatti.
La base operaia è in subbuglio anche perché non sopporta di vedere il trattamento riservato ai manager. Il costo del lavoro complessivo di Gm e Ford è tuttora leggermente superiore alle case giapponese, a causa dei privilegi dei capi. La residua differenza, sottolineano i dirigenti sindacali, è dovuta al management che nelle aziende americane continua a guadagnare di più.
La riapertura di un negoziato salariale a Detroit non è priva di rischi. Le aziende sono ancora convalescenti, la ripresa dei consumi è moderata, un aumento del costo del lavoro potrebbe annullare il recente recupero di competitività.
Un’altra incognita è l’atteggiamento dell’Amministrazione Obama, sensibile agli umori dell’opinione pubblica. Gm e Chrysler hanno ricevuto 62 miliardi di dollari di aiuti statali. Pochi rispetto a Wall Street ma pur sempre un salasso per il contribuente. Un’ondata di aumenti salariali potrebbe essere considerata impropria per un settore che si è salvato grazie ai sussidi pubblici.