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 2010  maggio 22 Sabato calendario

NON LA SPECULAZIONE L´UNICO COLPEVOLE

Ultimamente è riaffiorato il timore di un double dip, un nuovo rallentamento della crescita, che ha scosso i mercati. Non si capisce la strategia che i governi intendano adottare per ridurre la montagna di debito pubblico. In alcuni paesi europei, il nuovo debito si è sommato quello pregresso, frutto di politiche fiscali dissennate. La crisi ha poi mostrato tutte le crepe di Eurolandia: moneta unica, ma nessun coordinamento fiscale, né meccanismi per trasferire risorse ai paesi in crisi (per la Grecia, c´è voluto il Fondo Monetario). L´euro, senza flessibilità e concorrenza nei mercati del lavoro e dei servizi, ha accentuato la divergenza di competitività tra la Germania e gli altri paesi; e poiché la maggior parte del commercio avviene all´interno dell´Eurozona, non si può sperare in una ripresa trainata dall´export. Il deprezzamento dell´euro non dovrebbe preoccupare, ma essere il benvenuto.
La mobilità del lavoro tra i paesi di Eurolandia è risibile; quella dei capitali, limitata da un crescente protezionismo: impossibile, come negli Usa, sostenere le aree in crisi spostando i fattori di produzione verso quelle a maggior crescita. Il sistema bancario europeo rimane sottocapitalizzato, specie in previsione di sofferenze che potrebbero ancora manifestarsi con uno scenario di rallentamento; e dipendente dal sostegno della Bce che lo finanzia a costo zero, accollandosi parte dei rischi di credito. Per l´Eurozona, la crescita non è una strada credibile per uscire dalla crisi del debito pubblico: inevitabilmente, i governi hanno cominciato ad aumentare le tasse e tagliare le spese per rassicurare gli investitori; accentuando però lo scenario di stagnazione.
Quanto a debito pubblico, Gran Bretagna e Stati Uniti non stanno meglio. La prima, se non avesse svalutato massicciamente la sterlina, probabilmente sarebbe nelle condizioni della Grecia. E la attendono anni di rigore fiscale. Negli Usa, l´effetto dello stimolo fiscale straordinario si va esaurendo, come gli acquisti di titoli da parte della banca centrale: si avvicina il momento di invertire la rotta, e risanare le finanze pubbliche, o rischiare l´inflazione. Ed ecco i timori del double dip.
In questo scenario, è tornata in auge la caccia alle streghe: quando c´è una crisi finanziaria, si incolpa sempre la speculazione (meglio se straniera). Non è certo una novità. Anche negli anni ”20, la crisi era colpa degli speculatori (e dei complotti plutocratico-giudaico-massonici): conosciamo bene le vere cause. Populismo e demagogia caratterizzano i tempi di crisi. Quando però arrivano a influenzare la politica di un grande paese, come nel caso tedesco, col divieto delle vendite allo scoperto di certi titoli, c´è da preoccuparsi: è un segnale di panico, impotenza e confusione. Che spaventa gli investitori.
La volatilità dei mercati finanziari non è un prodotto della speculazione: lo ha mostrato Rudiger Dornbusch più di 30 anni fa. Le decisioni di investimento e le politiche economiche impiegano tempo per esercitare i loro effetti; e poiché il prezzo dei beni e i salari reagiscono lentamente, i prezzi delle attività finanziarie sembrano eccessivamente volatili perché dipendono non solo dallo stato attuale dell´economia, ma anche dalle condizioni future.
Si dice che la speculazione generi profitti immeritati e che i derivati equivalgano a scommesse. Ma come si potrebbero ridurre i rischi indesiderati in un´economia che fosse priva di "speculatori" pronti ad accollarseli, in cambio di un possibile, elevato guadagno? In assenza di speculatori disposti ad accettare "scommesse" rischiose, la volatilità dei prezzi sarebbe ancora maggiore; e maggiore sarebbe il rischio che ognuno dovrebbe sopportare, non potendolo trasferire.
Il problema non è la speculazione, ma la mancanza di trasparenza e di liquidità dei mercati, che li rende manipolabili. Il compito della politica è farli funzionare bene. Se funzionano, la speculazione è uno strumento utile. Se non funzionano, non serve gridare all´untore.