Michele Serra, la Repubblica, 23/5/2010, 23 maggio 2010
Interisti
Una coppa piena di memoria - C´è una tribù di italiani stagionati, tanti dei quali non milanesi, operai e professionisti, ricchi e poveri, di destra e di sinistra, devoti e miscredenti, molti maschi poche femmine, che ieri sera avevano gli occhi lucidi per una ragione speciale, e comprensibile solamente a loro. Questa ragione speciale è il tempo, misura non equanime della vita, perché ai ragazzi porta nuove occasioni, agli adulti le toglie, passo dopo passo. Quasi mezzo secolo fa, quando l´Inter di Herrera vinse la sua seconda e ultima Coppa dei Campioni, eravamo ancora per mano ai nostri genitori. Dio santo: per mano ai nostri genitori... Al colpo secco di due gol (Milito! Milito!), il tempo si attorciglia come un cavo spezzato, la vittoria in bianco e nero del ´65 e questa qui che ci sfinisce di colori, di dettagli, di replay, di musiche pompose, quasi si toccano, come se il tempo che le separa – il tempo di quasi una vita – fosse solo un misterioso equivoco. Era ieri, no? Non era solo ieri, dopotutto? I ragazzi non possono capire questo flash stordente che ci imbambola, a noi interisti veterani. La loro vittoria è integra e nuova, chiassosa e naturale, la nostra è intrisa di memoria, una sorpresa non più attesa, una meravigliosa capriola dentro la vita, è mio padre (juventino) che al ristorante chiede l´autografo a Luisito Suarez perché io non ne ho il coraggio, è la bandiera nerazzurra colorata a mano in cucina, è la figurina di Gerry Hitchens (mediocre centravanti gallese) che per casuale sortilegio mi fa dire, a cinque anni, «ma è ovvio, io sono interista». Ora è come se quel tempo infantile tornasse a lampeggiare, in qualche parte della casa, qualche telefonata, qualche abbraccio, qualcuna delle madornali cazzate che noi tifosi di calcio pensiamo e diciamo. Tornano le voci e le facce di chi se ne è andato, e non c´è uno solo di noi che non abbia pensato, un minuto dopo il fischio finale: peccato che lui, lei, loro non siano qui, adesso, la notte del 22 maggio del 2010, a sfinirsi dalla contentezza insieme a noi (ho ancora nel cellulare il numero di Facchetti... oh come sarei orgoglioso e felice, se ci avessero intercettati...) Ma sì che lo sappiamo, che il calcio è solo un dettaglio, e l´Inter (come tutte le squadre "del cuore", ma pensa tu in quale melassa retorica ci si va a invischiare) è solo uno struggente pretesto. Sono cose soprattutto da maschi, sapete di quale grana grossa siamo fatti, sono parodie di guerra buone per alzare la cresta e strillare "vittoria" o balbettare "sconfitta" senza che i danni siano indecenti. Ma evidentemente funziona, questo pretesto, se ci ritroviamo spesso e volentieri a scandire la vita con le date sportive, le Olimpiadi, i Mondiali, le vittorie di Coppa, gli scudetti, quella partita, quel gol. Per i nostri padri e le generazioni precedenti furono le guerre vere, le chiamate alle armi, i campi di prigionia, i bombardamenti a incidere il calendario come tracce indelebili, colpi di mannaia, buchi nei muri, lettere scritte per rassicurare la famiglia che poi divennero lettere di addio. Se per noi europei adulti è invece lo sport, soprattutto lo sport a darci una cronologia di facile uso, dobbiamo solo esserne felici: non ne portiamo grande merito, ma dobbiamo ringraziare. Ci è andata strabene, anche meglio, per noi nati nei Quaranta, Cinquanta, Sessanta, di come sia poi andata a qualche ventenne e trentenne italiano saltato su una mina nel deserto. Anche nel mondo classico – caso mai ci servisse un alibi – le Olimpiadi scandivano il tempo con solennità perfino maggiore delle guerre, e i campioni sportivi erano la traccia più percepibile della presenza degli dei. Noi, più smagati ma non del tutto rassegnati, non abbiamo il Discobolo ma le figurine, il culto familiare della maglia beneamata, la bacheca personalizzata dove affastelliamo il ricordo di una sera, di una cena con partita, di un gol che ci fece scoprire nel calcio, proprio nel gioco del calcio, almeno una bava di gloria, un riverbero della perfezione (per me, il gol di Mazzola a Budapest, Vasas-Inter 0-2. Spodestato, di qui in avanti, dal secondo gol di Milito a Madrid). Passa il tempo ma non l´illusione di tenerlo in pugno. Quella, finirà solo quando finirà l´Inter (la Juve, il Milan, la Roma, il Torino, tutte): cioè mai. Comunque, non prima di noi.