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 2010  maggio 23 Domenica calendario

TELEFONATE, CIMICI E BOBINE. COSI’ IL PREMIER SPIAVA A ARCORE

Chi è senza intercettazioni scagli la prima pietra. E infatti risulta che anche Silvio Berlusconi, oggi campione di garantismo e difensore della privacy, intercettava. Per non dire che spiava suoi dipendenti e i suoi ospiti per telefono e dal vivo, tanto ad Arcore che a palazzo Grazioli.
E poi faceva sbobinare queste intercettazioni private; e dopo averle trascritte con il sistema del taglia & cuci, almeno una volta dispose che il testo di uno di quei colloqui fosse consegnato alla Procura di Brescia.
Nell´ambito del potere e delle sue male arti, si sa, la rettitudine e la coerenza sono valori del tutto accessori. Ma siccome oggi il presidente Berlusconi ritiene che la legge-bavaglio sia un fattore di civiltà e che come tale vada difesa "con i denti", è bene sapere che una quindicina di anni orsono il Cavaliere fece allestire nelle sue residenze un vero e proprio sistema di registrazioni, due radiomicrofoni e due miniregistratori che si attivavano automaticamente appena captato un suono o un rumore. Tali strumentazioni, altrimenti e un po´ sinistramente dette "cimici", erano ben nascoste secondo una specie di "campionatura", come si legge in atti pubblici, e comunque furono utilizzate "in svariate occasioni".
L´uomo di fiducia, il tecnico preposto a tale ufficio era l´allora responsabile dell´immagine tv e oggi potente "regista" dei sopralluoghi e delle pubbliche apparizioni del premier, di stanza a Palazzo Chigi: Roberto Gasparotti, che di questo parlò nel giugno del 1997 con i giudici bresciani.
Lo scopo che allora spinse Berlusconi a fare esattamente ciò che oggi la sua legge vorrebbe punire con estrema severità era quello di beccare un non meglio identificabile, né mai a quanto risulta effettivamente identificato "dipendente infedele": "A un certo punto il Dottore pensava che tra le persone dello staff ci fosse qualcuno che facesse la talpa, che passasse cioè notizie riservate ai giornalisti. Eravamo tutti in allarme, così a me è venuta questa idea" ha spiegato Gasparotti. Tra i suoi compiti rientrava anche la conservazione del materiale: "Per la storia" precisò il Cavaliere, che com´è noto non difetta di autostima.
La storia delle soffiate ai giornalisti in verità tiene e non tiene, il clan berlusconiano era appena stato scosso dalla vicenda di Stefania Ariosto, la ex donna dell´avvocato Dotti che aveva denunciato le mazzette di Previti. Sta di fatto che nella percezione della cronaca la vicenda resta associata al ritrovamento di una microspia nel radiatore dietro la scrivania di palazzo Grazioli; quindi all´epopea del leggendario "cimicione" che a sua volta rievoca con qualche spasso l´indimenticabile foto dell´ostensione del medesimo tra le dita del Cavaliere.
A proposito del "cimicione", il culto della memoria applicata all´attualità maliziosamente si limiterebbe al commento dell´allora ex ministro e odierno ministro dell´Interno Maroni: "Secondo me la microspia è stata messa o da Berlusconi o da qualcuno dei suoi per fargli fare la figura della vittima". C´è da aggiungere che anche la successiva inchiesta giudiziaria non portò a molto.
E tuttavia, rispetto alla centrale di spionaggio domestico, non sembra così campata in aria l´ipotesi che le apparecchiature funzionassero da ben prima di quel controverso rinvenimento; se non da sempre. Registrare all´insaputa degli interlocutori, del resto, e divulgarne a tradimento le chiacchiere è tentazione irresistibile dei potenti, e se in America Nixon ci lasciò le penne, non è detto che in Italia non abbia fatto la fortuna di molti.
Nel caso in questione le intercettazioni dovevano colpire e sporcare Di Pietro. Perciò un giorno Berlusconi, con l´assistenza di quell´altro paladino della privacy che era l´avvocato Previti, convocò ancora una volta ad Arcore il costruttore D´Adamo, e mentre i silenziosi microfoni di Gasparotti facevano il loro dovere, con strenua abilità si sforzò di farsi dire che Tonino aveva buscato un sacco di soldi da certo Pacini Battaglia, altro fantastico personaggio di quella non proprio limpida stagione. Sapendo che era una trappola, il dialogo è ancora oggi abbastanza divertente anche perché Silvio fremeva e D´Adamo diceva e non diceva. Condensato in otto cartelle, Gasparotti recò l´istruttivo colloquio ai giudici, che però lo accolsero con il massimo scetticismo.
Quando Di Pietro lo venne a sapere, alla fine di gennaio del 1998 - erano i giorni dello studio ovale alla Casa Bianca - fece il diavolo a quattro. Scrisse una lettera ai presidenti di Camera e Senato, vi accluse il verbale di Gasparotti e visto che c´era mise anche in guardia sulle "usanze" della casa gli ospiti passati, presenti e futuri del Cavaliere.
In questa categoria Tonino non poteva immaginare che di lì a dieci anni il Fato avrebbe compreso le allegre ragazze dei festini che com´è noto non furono né perquisite né intercettate, ma che con i loro cellulari e registratorini acchiapparono lì dentro ardenti voci e recondite visioni igieniche e presidenziali. Chi la fa l´aspetti, viene da pensare - che poi, prima di mettere in cantiere una legge-capriccio, sarebbe pure una prova di buon senso.