Alain Elkann, La Stampa, 23/5/2010, 23 maggio 2010
VORREI GUARIRE IL MONDO CON UN SORRISO"
In una grande proprietà sulle colline intorno a Firenze, in un grande casale, in una grande cascina trasformata in un palazzo padronale, con l’aggiunta di camere e di spazi come spesso avviene nelle case toscane, abita Roberto Cavalli. La sua abitazione assomiglia a lui, alla sua moda, alle sue piante. Ovunque ci sono fiori, pappagalli, mobili antichi, magari foderati con pellicce, o con stoffe che evocano pelli di zebre o leopardi. Cavalli è rigorosamente vestito con una giacca nera, t-shirt nera e dei blue jeans. E’ di buonumore, da poco è tornato da un lungo viaggio dalle isole del Pacifico dove ha scattato una quantità infinita di fotografie.
La fotografia è la sua nuova passione?
«In qualche modo lo è sempre stata, mi piace fotografare la natura, ultimamente ho scoperto delle orchidee straordinarie».
Verranno stampate sui suoi vestiti?
«Certamente sì».
Lavora da quarant’anni nella moda. Sono troppi?
«No, se uno ha come me la moda nel sangue: 40 anni non sono troppi. Anzi».
Questa passione come è nata?
«Avevo una voglia grandissima di mettere piede nel pianeta della moda, dove però bisogna a navigare e la navigazione certamente non è facile».
In che senso?
«Bisogna imparare la lingua e saper comunicare».
E questo mondo come l’ha accolta?
«Questo mondo mi è piaciuto subito. Mi piaceva l’idea che si potesse collegare la parola Arte alla parola Moda. Io mi consideravo un artista non un designer. I designer creano la silhouette. Io creo motivi, le forme».
Ci sono due periodi nella sua vita Cavalli. Lei ha fatto una pausa di quasi 15 anni, come mai?
«Perché ho fatto resistenza, mi sentivo più creativo, vivendo nella Parigi di quegli anni, e non volevo diventare un industriale, rifiutavo di adeguarmi all’industrializzazione della moda. Poi, nei secondi anni Novanta, quando si è presentata un’apertura ho capito che dovevo cominciare a recitare questa parte, bisognava diventare un attore».
In che senso?
«Quando faccio un’intervista, devo dire le cose che piacciono al mio pubblico. E a un pubblico di massa devo dire che mi piace uscire la notte, che mi piace soltanto bere champagne Dom Périgon oppure stare in Costa Azzurra. In realtà quando uno diventa un personaggio deve essere come gli altri lo desiderano».
I suoi vestiti?
«I miei vestiti sono sempre da tappeto rosso, gli abiti che indossano per le grandi feste. Io personalmente amo invece la natura, il colore. Sono una persona positiva, amo l’allegria e vorrei guarire il mondo con il sorriso».
Lei è in tutto il mondo, quanti negozi Cavalli ci sono?
«Circa una cinquantina».
E quali sono i luoghi del mondo dove Lei ha più successo?
«Ho successo un po’ dappertutto, in Russia, in Medioriente, in India, in Italia. Dove mi conoscono meno è in Giappone».
La moda italiana come va?
«Va bene, ma potrebbe andare molto meglio se ci fosse una maggiore organizzazione. E’ come se nella moda fossimo condannati dalla gelosia gli uni verso gli altri. In queste condizioni, quindi, è più difficile fare sistema, ognuno vuole andare per conto proprio. In Francia invece è diverso, vi sono due grandi gruppi e è molto più facile organizzare un sistema».
Il suo marchio che cosa significa dopo quarant’anni?
«Deve far sognare esattamente come quando cominciai».
La donna deve essere sempre sexy?
«Certamente, e se fosse al volante di una 500 disegnata da Cavalli sarebbe senz’altro più sexy».
In che modo la donna è sexy, portando dei blue jeans, degli stivali, dei vestiti molto stretti?
«Non credo che questo basti la donna è sexy se desidera esserlo».
Fino a che età una donna può esserlo?
«Fino a mille anni. Essere sexy è soprattutto uno stato d’animo».
Lei si è espresso polemicamente sulle sfilate di Milano
«Beh, certo. Io non ho intenzione di spendere milioni e milioni per costruire un palazzo come hanno fatto i miei colleghi, solo per sfilare poche volte l’anno. Vorrei che mi fosse dato uno spazio più bello, più grande, dove poter fare le mie sfilate, ma per il momento questo non sta avvenendo».
Ma dopo quarant’anni la sua famiglia è coinvolta nel suo lavoro?
«Certamente sì, soprattutto mia moglie, e i miei due figli che lavorano con me con ruoli e mansioni diverse. Ma tutti insieme formiamo un’ottima squadra».