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 2010  maggio 23 Domenica calendario

L’ALPINISTA PRODIGIO A 13 ANNI HA SCALATO L’EVEREST

Lo chiamano «prodigio». A 13 anni ha bruciato le tappe dell’alpinismo. Da due giorni è il più giovane «conquistatore dell’Everest» (finora era il nepalese sedicenne Temba Tsheri) e ha chiuso il suo «sogno», raggiungere la vetta delle sette montagne più alte dei continenti. Ha occhi nocciola, riccioli d’oro e si chiama Jordan Romero. Vive nel Sud della California, nella Big Bear Valley. Sul Terzo Polo, a 8848 metri di altezza, è arrivato con l’ossigeno, il papà Paul, medico specialista in emergenze, con alle spalle una vita di avventure non solo in montagna, tre guide di etnia sherpa (Ang, Dawa e Kharma) e la compagna del padre, Karen Lundgren.
Jordan è già un «caso». E non soltanto per la sua salita all’Everest lungo il versante Nord, dove per il freddo e il vento sono fermi da giorni grandi professionisti (non usano l’ossigeno). Fa parte di quella schiera di teenagers acchiapparecord. E di lui si occupano anche sociologi e psicologi che additano la rincorsa al successo come nefasta per la crescita della personalità di un ragazzino. Oppure presumono che sia «vittima» della volontà di rivincita del padre, come accade in attività agonistiche molto meno pericolose.
Forse però Jordan è al centro di un indovinato business. Il suo team, che lui sostiene essere «la mia famiglia», conta su 37 sponsor. La gioia di aver raggiunto il Tetto del Mondo si è subito tradotta sul web come un «grazie a chi mi ha sostenuto». A 9 anni il californiano era in cima al Kilimanjaro e a 10 ha raggiunto la cima di Kosciuszko (Australia), Elbrus e Aconcagua; l’anno dopo eccolo in vetta al Denali (Nord America) e alla Carstensz Pyramid (Oceania). Ora l’Everest. Giostra finita, almeno per le 7 cime più alte dei continenti. Il «prodigio» Jordan pare esagerare in maturità quando ricorda di essere «il solo ad aver voluto questo progetto». Papà e il resto del team avrebbero assecondato la sua idea. Alla base della montagna delle montagne ha scritto: «Siamo pronti, mente, corpo e anima. Sentiamo il vento sulle nostre facce e lo aspiriamo come se ci portasse esprienza». Ora lancia un’altra sfida, sempre legata al numero che nell’antica Grecia era definito «venerabile», cioè il 7. Sfida per gli altri, più che per sè. Da alpinista-bambino a manager.
Il ragazzino californinano torna all’inizio della sua avventura, quando cominciò ad arrampicare sui monti della sua terra, nella Big Bear Valley. E chiama a sè altri ragazzini con l’idea di avvicinarli alla natura e al mondo dell’arrampicata. Sostiene che insegnerà loro ciò che ha imparato, a «vivere in equilibrio con la natura», a cibarsi «in modo saggio». Il team (guide comprese) è pronto ad accogliere gli epigoni di Jordan nel «7 Summits Youth Challenge», per dedicare quest’estate «alla conquista dei sette più alti picchi della mia vallata». Jordan scrive così sul suo sito e offre ogni garanzia di sicurezza. Come adolescente forse annullerà la sua personalità inseguendo record, ma certo è che dall’Everest si è aperto una finestra sul mondo. E si è inventato un futuro, tra sponsor, trekking e arrampicate. Mostrando una sicurezza che tradisce la sua età, così come le sue parole sull’Everest: «Abbiamo aperto le nostre anime alla montagna».