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 2010  maggio 23 Domenica calendario

MA ORA DATECI GLI STESSI POTERI DEGLI AGENTI USA"


«Ribadisco che non conosco la legge sulle intercettazioni perchè non l’ho letta, ma spero che non accada nulla che possa mettere a disagio le ottime relazioni tra il mio Paese e l’Italia». L’ha detto il sottosegretario al dipartimento penale degli Stati Uniti, Lanny A. Breuer uscendo dalla stanza del procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, dopo un incontro durato circa 40 minuti. «Stati Uniti e Italia sono due Paesi - ha aggiunto - che sempre collaborato e raggiunto grandi risultato nella lotta contro il crimine organizzato». «Posso aggiungere - ha concluso - che la lotta al crimine ha avuto grandi successi con l’uso delle intercettazioni». Le parole del sottosegretario seguono le polemiche dopo il primo intervento dell’altro giorno, anche se lo stesso Breuer aveva poi specificato: «Non spetta a me entrare nel merito di decisioni politiche o giudiziarie riguardanti l’Italia».
L’ uomo è cauto, felpato, molto attento a non lasciarsi invischiare nei giochi della politica. Mai una nota polemica. E quindi ha fatto colpo che il prefetto Antonio Manganelli, il Capo della polizia, abbia approfittato di una lezione agli studenti di Avellino per lanciare un messaggio a chi sta rimettendo mano alla legge sulle intercettazioni che «sono uno degli strumenti - ha detto Manganelli - a disposizione degli investigatori. Se si intende ridurli o regolarli diversamente, deve esserci la possibilità di far ricorso ad altri strumenti». Chiarissimo il senso ai politici: se proprio volete ridimensionare il peso delle intercettazioni, per non ammazzare le indagini di polizia, ci dovrete dare qualcosa d’altro in cambio. Già, ma che cosa?
Chi frequentasse in questi giorni i piani alti del Viminale, là dove si sono avvicendate personalità che hanno fatto la storia d’Italia, da Arturo Bocchini che intercettava già le telefonate di Mussolini con la Petacci, a Vincenzo Parisi che è stato il bastione della Prima Repubblica, troverebbe squadernato sulle scrivanie un libro, «Investigare», scritto a quattro mani da Manganelli e da Franco Gabrielli, che è stato il direttore del Sisde e da poco è approdato alla Protezione civile con la prospettiva di succedere quanto prima a Bertolaso. Ebbene, nella sua bibbia, il Capo della polizia affronta la spinosa questione delle intercettazioni, croce e delizia della politica italiana, per dire che «nel dibattito non ci si sofferma abbastanza sul complesso dell’impianto investigativo». Intende dire, come spiega a tutti i suoi interlocutori anche in questi giorni, che non è stato un capriccio questo sovrabbondare di intercettazioni, bensì una necessità.
Il moltiplicarsi delle intercettazioni segue infatti l’evoluzione tecnologica che ha portato gli italiani a vivere con un cellulare all’orecchio. E quindi è divenuto ovvio che gli investigatori tenessero in adeguato conto la novità. Manganelli è infatti uno che tesse l’elogio della modernità: «La scienza al servizio delle investigazioni negli ultimi tempi ha fatto passi da gigante». Vedi le ricerche sul Dna. «Una prova processualmente fortissima».
Il prefetto non dimentica mai di sottolineare, inoltre, che il cosiddetto «impianto investigativo» in Italia è stato trasformato radicalmente nel 1989: è in quell’anno, con l’introduzione del nuovo codice di procedura penale, che nascono i magistrati-investigatori e che la polizia perde la sua autonomia. «Il poliziotto - sono ancora parole sue - non può più interrogare i testimoni se non su delega. Non fa più le indagini di propria iniziativa. Non ha più lo strumento del fermo di polizia». E allora è inevitabile, questa la logica conclusione, che si utilizzino a piene mani le intercettazioni perché sopperiscono a tutto quello che non possono più fare.
Ha fatto scalpore l’intervento di quel sottosegretario americano che ha intimato bruscamente l’Italia, leggi o non leggi, a non abbassare la guardia nel contrasto al crimine organizzato. Quell’America che il prefetto Manganelli ben conosce, avendo lavorato per tanti anni al fianco dei migliori investigatori dell’Fbi. «Ma quello è un altro mondo», diceva ieri ai suoi collaboratori. «In America l’indagato non può rifiutarsi di rispondere oppure, peggio, mentire. Rischia una condanna pesantissima per oltraggio alla corte. Molte volte è più pesante la condanna per avere detto il falso più di quella per il reato di partenza».
I due «impianti investigativi», insomma, sono troppo diversi per fare raffronti. Facile dire che qui si eccede con le intercettazioni e che lì sono parsimoniosi; la verità è che i poliziotti americani hanno poteri che i nostri se li sognano.
Altro discorso, invece, è l’abuso di chi fa a fette la privacy, ovvero «la divulgazione mediatica di fatti, persone, conversazioni che nulla hanno a che vedere con le indagini». Su questo punto, il prefetto non ha proprio nulla da dire se cessa qualche malvezzo. Anzi.

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