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 2010  maggio 22 Sabato calendario

C’ E’ LA CRISI? LE BANCHE FANNO IL PIENO DI DERIVATI

Sorpresa, cresce l’ esposizione delle grandi banche italiane sui derivati. Il relativamente apprezzabile salto di "qualità" dei big domestici del credito in un settore controverso e che da troppo tempo attende una regolamentazione è stato registrato dalla Banca d’ Italia nell’ ultimo scorcio del 2009. Il monitoraggio è stato condotto su UniCredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Ubi Banca, il gruppo di testa del sistema cui fa capo quasi il 90% delle operazioni. L’ indagine semestrale illustra le posizioni assunte dalle banche tenendo conto delle diverse tipologie di contratti: derivati finanziari (interest rate swap, currency swap, opzioni, future e forward) e i famigerati Cds, Credit default swap. Questi ultimi, divenuti tristemente famosi per le speculazioni contro il debito pubblico della Grecia, mostrano valori nozionali dei contratti comprati (acquisto di protezione) e quello dei contratti venduti (vendita di protezione) cresciuti del 2,3 e del 4,4%, rispettivamente a 376,2 e 387,1 miliardi di dollari. «Nel complesso dei Paesi del G-10 si è registrata una riduzione del 10%» annota la Vigilanza. Le "prudenti" banche italiane stanno andando contro corrente? C’ è da tenere conto che il valore nozionale dei contratti su Cds in portafoglio alle banche italiane resta marginale rispetto a quello del sistema internazionale e pari all’ 1,5% dell’ intero campione dei Paesi G10. Al 31 dicembre 2009, le banche interessate dal monitoraggio risultavano «venditrici nette di protezione dal rischio di credito per un ammontare di 11 miliardi di dollari», contro i 3 miliardi del semestre precedente. Ma è salita anche l’ esposizione sul fronte dei derivati finanziari, con un incremento dell’ 1% dell’ attività, «coerentemente con quanto osservato nel complesso dei paesi del G-10, dove si è registrato un aumento del 2%». Ma anche in questo caso la "quota" italiana sul totale del G-10 resta modesta, pari all’ 1,6%. I derivati scambiati sul mercato non regolamentato «Over the counter» continuano «a essere posti in essere prevalentemente con istituzioni finanziarie», scrive la Banca d’ Italia. Le categorie di contratti nella quale la quota delle controparti non finanziarie è più elevata sono quelle relative ai cambi (10,3%), mentre per i derivati su azioni (in Piazza Affari ieri è stato tra l’ altro stabilito il nuovo record assoluto di scambi, 29.275 contratti) e quelli su tassi d’ interesse la quota è rispettivamente del 7,7% e del 5,9%. Il problema ha tutt’ altra dimensione negli Stati Uniti: Guy Moszkowski, analista di Bofa-Merrill Lynch, ha stimato che i derivati rappresentano circa la metà del fatturato delle grandi istituzioni. E la riforma in arrivo, secondo stime, potrebbe avere un impatto negativo sugli utili delle banche Usa tra il 17 e il 20%.
Pa.pic.