m.a.c., Corriere della Sera 22/05/2010, 22 maggio 2010
I GIURISTI E IL DIRITTO-DOVERE DI INFORMARE
«Conoscere per deliberare», sosteneva Luigi Einaudi, intellettuale ed economista di fama mondiale, considerato uno dei padri della Repubblica. Pochi ricordano che Einaudi è stato anche un redattore del Corriere della Sera e che quel suo motto era frutto oltre che del suo rigore scientifico, del suo lavoro giornalistico. Tutto il dibattito su libertà di stampa, libertà di cronaca, e sul divieto di pubblicazione delle intercettazioni che è in corso in questi giorni, mentre in Senato si sta dibattendo la nuova legge, a ben vedere ruota intorno a questa affermazione di Einaudi. Perché come afferma Valerio Onida, ex presidente della Consulta, e presidente dell’ Aic, l’ associazione italiana dei costituzionalisti, il diritto all’ informazione, prima che un diritto-dovere di chi informa, a cominciare dalla stampa, «è innanzitutto un diritto dei cittadini». « un diritto - continua Onida - che attiene all’ essenza stessa della democrazia perché se il cittadino non è informato questo crea di fatto la sua impotenza di decidere e di scegliere». E allora, continua Onida, «non si può prevedere il divieto di informare: il diritto all’ informazione è un diritto costituzionale primario». Almeno in materia di informazione, dovrebbe valere il «vecchio» slogan «vietato vietare»: la lettera e lo spirito della Costituzione possono prevedere poche e ben precise deroghe. Questo in sostanza il giudizio di principio che si leva dagli studiosi di diritto costituzionale. Professori ordinari, presidenti emeriti della Consulta ed ex componenti del Consiglio superiore della magistratura di diverso orientamento e storia personale accomunati però dalla preoccupazione che la nuova legge non violi la libertà di informazione. «Il diritto-dovere di informare - spiega Onida - riguarda fatti veri di interesse pubblico, sia pure espressi con continenza di espressione e cioè non in modo subdolo e specioso secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione». «Naturalmente - aggiunge Onida - ciò non toglie che eventuali abusi vengano sanzionati, ma non ci può essere un divieto preventivo, una censura». « vero che la libertà di stampa, come tutte le libertà previste dalla Costituzione, non è una libertà assoluta», sostiene Piero Alberto Capotosti, presidente emerito della Consulta, ordinario di diritto costituzionale alla Sapienza. «Già adesso la pubblicazione di atti coperti dal segreto è sanzionata, è un illecito: il fatto che non si trovi mai un colpevole, questo purtroppo è una costatazione di fatto e non di diritto». Ma arrivare a «evitare la pubblicazione fino al momento del rinvio a giudizio, al termine dell’ udienza preliminare finisce per essere eccessivo, finisce per costituire una forma di censura: qui non è in gioco la privacy di una terza persona che non c’ entra nulla con le indagini. Un’ indagine è un fatto oggettivo, così come lo sono un arresto, un interrogatorio o gli atti depositati nei vari momenti cautelari che devono essere espletati per impedire la fuga o l’ inquinamento delle prove». E si chiede: «Se i fatti sono di pubblico dominio, che si fa, non si pubblicano fino al rinvio a giudizio?». «La Corte Costituzionale in alcune sentenze ha precisato che la libertà di stampa può trovare dei limiti solo in deroghe tassative e limitazioni ben strette», ricorda Mario Patrono, professore ordinario di Diritto pubblico presso la «Sapienza» di Roma. Mentre Nicolò Zanon, ordinario di diritto costituzionale alla Statale di Milano, si dimostra stupito per la scelta che giudica «strutturalmente irrazionale» di «parificare il comportamento di chi eventualmente viola il segreto, con il giornalista che pubblica». «L’ obbligo di informare - sostiene Zanon - è previsto dall’ articolo 21 della Costituzione: il giornalista deve poter pubblicare ciò di cui è venuto a conoscenza». Anche la privacy «è costituzionalmente garantita - dice ancora Zanon - ma è veramente sbagliato tirare dentro la stampa». Altro discorso è quello dei metodi investigativi che invece dovrebbero essere stigmatizzati come appunto le cosiddette «intercettazioni a strascico», cioè piuttosto indiscriminate (tanto prima o poi un reato abboccherà). Per non parlare del fatto che i magistrati con il «copia e incolla» «scrivono ordini di arresto di centinaia di pagine in cui riportano per filo e per segno i brogliacci delle intercettazioni senza alcuna opera di filtro o mediazione». Ma è Tommaso Edoardo Frosini che insegna all’ Università «Suor Orsola Benincasa» di Napoli a mettere il dito nella piaga. Premette che «la privacy di terzi che incappano in intercettazioni telefoniche indirette deve essere assolutamente tutelata, in particolare quando hanno attinenza alla sfera privata, dei rapporti interpersonali, delle scelte sessuali e così via. Non ci può essere stato di diritto senza questa tutela, è una questione di civiltà giuridica». Ma detto questo - e sicuramente non è poco - Frosini, con altrettanta decisione, mette in evidenza che «la trasparenza della democrazia deve prevedere il diritto della stampa di pubblicare tutto quanto riguarda personalità pubbliche che abbiano responsabilità politiche perché il politico deve essere valutato dall’ elettorato». Ciò è tanto più vero «adesso che nel sistema elettorale italiano non c’ è più il voto di preferenza e quindi conoscere quello che riguarda un politico può attivare quei meccanismi sanzionatori di comportamenti scorretti che altrimenti mancherebbero del tutto». Frosini, che insegna diritto pubblico comparato, sostiene anche che la libertà di stampa «è tipica di tutti i sistemi liberaldemocratici» e fa l’ esempio di quanto è avvenuto anni fa in Gran Bretagna con la pubblicazione di intercettazioni telefoniche di cui era protagonista addirittura il Principe di Galles con Camilla Parker Bowles (quelle rimaste famose del Tampax). La stampa ne venne a conoscenza e le pubblicò e non ci fu nessun tipo di sanzione. «Siamo in Europa, il nostro sistema ormai vive all’ interno dello spazio giuridico europeo: il politico deve saper vivere sotto i riflettori come avviene in Francia, in Inghilterra». Anche in Europa, «Conoscere per deliberare».
m.a.c.
Paolo Conti