Massimo Martinelli, Il Messaggero 22/5/2010, 22 maggio 2010
IL 67% DELLE SPESE DELLA GIUSTIZIA DESTINATO AGLI ”ASCOLTI”
I risultati investigativi parlano da soli: dalle indagini su Fastweb alla cattura dei superlatitanti, fino al grande scandalo della Criccopoli di Balducci, le cornette dei telefoni ”aperte” hanno fornito un aiuto decisivo. Ma parlano anche i numeri, che in questo caso sono preceduti dal simbolo dell’euro. E il bilancio che ne viene fuori farebbe rabbrividire qualsiasi contabile: nel 2007 le intercettazioni sono costate dieci milioni di euro, nel 2008 sedici milioni, nel 2009 (calcolo aggiornato al mese di novembre) ventitrè milioni, circa il 67 per cento rispetto al totale generale delle spese sostenute nel grande comparto Giustizia. Premessa indispensabile: l’aumento delle intercettazioni conferma l’impegno crescente della Procura, come dimostrano le indagini e gli arresti eccellenti. E c’è da aspettarsi che adesso, se le intercettazioni saranno razionalizzate, a giovarsene possano essere le indagini su mafia e terrorismo, che avranno più risorse a disposizione.
Intanto i costi del noleggio delle apparecchiature e delle compagnie telefoniche gravano pesantemente sul bilancio di fine anno. Molte imprese vantano crediti considerevoli, a cui si aggiunge la difficoltà di pagare sia per la carenza di personale sia per la mancanza cronica di fondi. Ancora più preoccupante è il criterio di gestione, che solo negli ultimi mesi il dicastero di via Arenula ha provato a raddrizzare. Perché almeno un terzo di quella somma astronomica finisce in tasca ai gestori telefonici. Che, non si sa bene per quale motivo, vengono pagati ”a cottimo”, cioè ad ogni intercettazione. Mentre, tanto per guardarci intorno, lo stesso servizio in Germania viene pagato ”a forfait”; cioè si stipula un contratto e si paga sempre la stessa cifra, sia che vengano effettuate dieci intercettazioni, sia che ne vengano effettuate cento. In Italia, invece, il business della intercettazioni ha alimentato le casse delle grandi compagnie telefoniche in maniera irragionevole per moltissimi anni.
Uno dei motivi di tanto ascolto è possibile individuarlo nella passione smisurata degli investigatori italiani per questo tipo di strumento. Lo conferma l’istituto internazionale tedesco Max Planck, che già nel 2006 avvisava che l’Italia era in assoluto il paese in cui venivano disposte più intercettazioni: 72 ogni 100mila abitanti. L’Olanda era al secondo posto con 62 intercettazioni, mentre al terzo posto c’era la Svizzera, con 32 intercettazioni ogni centomila cittadini. La chiosa, tutta teutonica del Max Planck, riguardava l’utilità di tanti ascolti. Perché, evidenziava l’Istituto, che pur largheggiando in intercettazioni, l’Italia conserva un elevatissimo tasso di criminalità organizzata con intere regioni che sono ancora sotto il controllo di associazioni del crimine organizzato. Ma queste considerazioni, a leggere i dati del Viminale, lasciano il tempo che trovano. Piuttosto di qualche utilità era il confronto tra il numero elevatissimo di intercettazioni in Italia e quelle che avvengono Oltreoceano, dove si ascolta un telefono ogni duecentomila abitanti. Addirittura meno di quante ne vengono effettuate nel più sobrio paese europeo, l’Austria, con 18 telefonate intercettate ogni duecentomila abitanti. Ma in questo caso, e qualche 007 lo avrà già capito, il dato è drogato. Perché il conteggio del Max Plank non tiene conto dei sistemi più evoluti di spionaggio che sono in voga all’ombra della Casa Bianca, dove sistemi con Echelon o Carnivore sono in grado di tenere sotto controllo intere cittadine, apparentemente senza alcuna autorizzazione.
Un discorso a parte merita proprio la privacy, come testimoniato più volte dai richiami del Garante, Francesco Pizzetti, ogni qualvolta si è presentata il rischio di ascolti a strascico, cioè indiscriminati, o di archiviazione dei dati fuori dalle regole. A questo proposito c’è un rapporto dell’Eurispes che afferma, ad esempio, che in dieci anni sarebbero stati intercettati trenta milioni di italiani, che sono più della metà della popolazione. Il conto sarebbe stato fatto in questo modo: sulla base dei decreti di autorizzazione a mettere sotto controllo una linea telefonica, gli esperti Eurispes hanno calcolato che ognuno di quei telefoni ha parlato almeno con cento persone, tra parenti, amici, colleghi di lavoro e fornitori di servizi. Succede che ognuno dice qualcosa; e all’altro capo della linea ogni frase viene soppesata e può dare l’avvio a nuove intercettazioni. Una sorta di effetto domino che gli avvocati chiamano ”intercettazioni a rete”, oppure a strascico, come le chiamano gli avvocati penalisti, che ormai hanno il vezzo di misurare l’importanza dai casi di cui si occupano dal numero di faldoni pieni di chiacchiere che vengono depositati in udienza.