Francesco Paolo Casavola, Il Messaggero 22/5/2010, 22 maggio 2010
LA SCIENZA NEL MISTERO DI UN DONO
Il trapianto di un nucleo sintetico nella cellula di un batterio è il nuovo passo della scienza, compiuto da Craig Venter e dai suoi collaboratori, dopo aver realizzato un trapianto di nucleo da un batterio ad un altro. Il prossimo traguardo sarà presumibilmente produrre un batterio totalmente sintetico. Vasta eco è seguita alla notizia di questo evento scientifico, e non solo nel mondo degli studiosi e ricercatori, ma anche in quello della più generale opinione pubblica. il caso di chiedersene il perché. Quanto agli uomini di scienza, essi non possono che sentirsi gratificati di un ennesimo risultato raccolto su una via intrapresa da lungo tempo, che non è più quella della mera conoscenza, da cui derivavano, secondo una terminologia convenuta, le scoperte, ma della produzione di artifici, secondo quella terminologia, le invenzioni. I greci indicavano questa attività umana, parallela a quella della natura con il verbo tecnologhein. Da cui le nostre tecnologie. E non per nulla la presente fase della scienza più correttamente è da chiamarsi delle tecnoscienze. I filosofi della scienza sapranno spiegare che senza annodare conoscere e fare, la conoscenza resterebbe approssimativa, si completa invece e si approfondisce nella sua utilizzazione tecnologica. Ma fuori della cerchia delle professioni scientifiche si suscitano stati d’animo ambivalenti, di grandi speranze e di timori. Le prime si muovono intorno all’attesa di ottenere dalla scienza un costante miglioramento della vita, fino a quella frontiera della morte, che si vorrebbe vedere abolita. Ancora i Greci chiamavano gli uomini i mortali, invidiando i coabitatori della terra ch’erano ai loro occhi gli dei, appunto perché immortali. Il consenso, in qualche misura acritico, di cui godono per questa parte le tecnoscienze, si modula sulla corda segreta, o per pudore taciuta, di vivere tanto a lungo da beneficiare di una scienza che dispensa la immortalità. Per altro verso si teme che dal regno della natura, l’umanità traslochi progressivamente in quello artificiale, delle molecole sintetiche, delle combinazioni di biologia e di macchinismi, di automi senzienti e pensanti che si autodeterminano, insomma in un’era che già si usa chiamare del post-umano. Entrambe le risposte sono emotive, dipendendo dal confronto primordiale dell’uomo con la trascendenza della divinità. Diventare immortale e diventare creatore sono state aspirazioni variamente represse, ma paradossalmente riemergenti proprio in epoche di trionfo della razionalità scientifica. Ecco perché con qualche ansia si va ad interrogare la religione, a torto disinterpretata almeno nella sua versione del Cristianesimo, come antagonista della scienza. Si dimentica che è proprio del Cristianesimo il postulato che la fede cerca l’intelletto. Ebbene chi attendeva un grido d’allarme della Chiesa ha ascoltato risposte fiduciose nella intelligenza umana, dono di Dio. Potranno nascere obiezioni etiche ai passi della scienza. Ma esse realisticamente porranno il tema ineludibile di quanto l’esistenza umana tragga giovamento o nocumento dalle utilizzazioni dei ritrovati delle tecnoscienze. Ma questo cercare insieme, la religione e la scienza, il bene della comunità umana, è il segno più alto dell’avanzamento morale della modernità. Che sta nel riconoscere i limiti dell’umano, dinanzi ai misteri del senso della vita, dinanzi all’ignoto che sarà sempre l’inabolibile orizzonte delle scienze della natura.