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 2010  maggio 23 Domenica calendario

Natalia Ginzburg (Natalia Levi in Ginzburg), Palermo 14 luglio 1916: Roma, 8 ottobre 1991 • Nata in via della Libertà, quattro fratelli più grandi, Gino (1901), il maggiore, le passava quindici anni, poi c’erano Paola (1902), Mario (1905) e Alberto (1909) • Il padre, Giuseppe Levi, famiglia di banchieri triestini ebrei, medico in una clinica a Firenze, poi trasferito a Sassari dove era stato nominato professore di anatomia, infine a Palermo (stessa cattedra)

Natalia Ginzburg (Natalia Levi in Ginzburg), Palermo 14 luglio 1916: Roma, 8 ottobre 1991 • Nata in via della Libertà, quattro fratelli più grandi, Gino (1901), il maggiore, le passava quindici anni, poi c’erano Paola (1902), Mario (1905) e Alberto (1909) • Il padre, Giuseppe Levi, famiglia di banchieri triestini ebrei, medico in una clinica a Firenze, poi trasferito a Sassari dove era stato nominato professore di anatomia, infine a Palermo (stessa cattedra). La madre, Lidia Tanzi, nata a Milano ma vissuta a Firenze, era sorella di Drusilla, amante e poi sposa di Eugenio Montale • Infanzia a Torino, dove il padre era stato chiamato all’università, in una casa in via Pastrengo molto grande: dieci o dodici stanze, un cortile, un giardino e una veranda a vetri, buia e umida • Studiò in casa per tutti e cinque gli anni delle elementari, come i suoi fratelli, perché il padre temeva che nelle scuole pubbliche potesse prendersi delle malattie • «Le cose che mio padre apprezzava e stimava erano: il socialismo; l’Inghilterra; i romanzi di Zola; la fondazione Rockefeller; la montagna e le guide della Valle d’Aosta. Le cose che mia madre amava erano: il socialismo, le poesie di Paul Verlaine, la musica, e in particolare, il Lohengrin" (Natalia Ginzburg) • Mussolini aveva da poco preso il potere. «Mi fu spiegato cos’era il socialismo, cioè mi fu detto che era uguaglianza di diritti per tutti. Mi parve una cosa che fosse indispensabile fare subito. Trovai strano che ciò non fosse ancora stato attuato. Ricordo con precisione l’ora e la stanza in cui mi venne offerta questa frase, che mi sembrò lampante e indispensabile» (Natalia Ginzburg) • Da quando aveva imparato a leggere, s’era messa a scrivere una poesia al giorno e di tanto in tanto anche romanzi. Siccome i fratelli, sapendo di questa sua attività segreta, s’erano messi a frugare nei suoi cassetti per poi canzonarla per le sue poesie, Natalia aveva preso a scriverle in un diario che fissava con due spille da balia alla sottoveste • Da via Pastrengo la famiglia si trasferì all’ultimo piano di uno stabile in via Pallamaglio (oggi via Morgaro) • Gino andò infine a lavorare nella ditta dell’amico Adriano Olivetti (che poi sposerà la sorella Paola) • A undici anni Natalia venne mandata a frequentare il liceo Alfieri. «Io ero un impiastro per varie ragioni. Non sapevo vestirmi da sola, né allacciarmi le scarpe; non sapevo rifarmi il letto né accendere il gas; non sapevo lavorare a maglia... ero inoltre assasi disordinata e lasciavo la mia roba in giro» • A tredici anni lesse gli Indifferenti di Moravia, le passò la voglia di scrivere poesie, le sembrava di aver esaurito tutti gli argomenti possibili e tutte le rime esistenti. Si mise a leggere L’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale di Benedetto Croce, aveva infatti sentito dire che era il filosofo e l’intellettuale italiano più importante dell’epoca, voleva avere il giudizio di una persona competente (i fratelli la canzonavano sulle sue poesie). Così un giorno senza dire niente a nessuno, infilò in una busta una scelta di versi e l’indirizzò a Benedetto Croce, Napoli. La lettera fu effettivamente recapitata. Il filosofo le rispose che era troppo giovane, per la vera poesia bisognava essere adulti • A scuola andava male, in terza liceo fu bocciata in latino, greco e matematica. Qualche giorno dopo scrisse il suo primo racconto, Un’assenza. Aveva diciassette anni. Uno dei suoi fratelli le disse: «Dammi il tuo racconto, lo faccio leggere a Benedetto Croce che sta di là in salotto». Natalia glielo diede. Non c’era Benedetto Croce in salotto, ma un amico del fratello, Leone Ginzburg • Leone Ginzburg, nato a Odessa il 9 luglio 1909, di origine ebraica. Fin da piccolo trascorreva l’estate a Viareggio con la madre e la sorella. Allo scoppio della I Guerra Mondiale la madre, Vera Ginzburg, lo aveva lasciato a Maria Segre, la governante che lo accudì come una madre. Alle fine del 1919 i Ginzburg lasciarono la Russia e si trasferirono a Torino. Leone fu mandato al liceo Massimo d’Azeglio dove conobbe, tra gli altri, i fratelli di Natalia, Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Norberto Bobbio e Vittorio Foa • «Però è molto brutto. Si sa, gli ebrei sono tutti brutti» (Giuseppe Levi, il padre di Natalia) • Il padre e i fratelli di Natalia, e anche Leone, furono arrestati in quegli anni fascisti. Una volta scarcerato, Leone era tornato a lavorare insieme a Giulio Einaudi. La casa editrice, di cui Leone era socio fondatore, era stata registrata alla Camera di commercio nel novembre del 1933. Leone era inoltre molto amico di Benedetto Croce • Il 12 febbraio 1938 Leone e Natalia si sposarono ed andarono a vivere nella casa di via Pallamaglio • «L’ho sposata; scrive dei bei racconti» (Leone Ginzburg a Giulio Einaudi); «Non abbiamo più molta voglia d’amici, perché tutti i nostri pensieri li raccontiamo alla persona che vive con noi, mentre mangiamo insieme la minestra alla tavola illuminata: agli altri, ci sembra che non valga la pena di raccontare più niente» (Natalia Ginzburg) • Nella seconda metà del 1938 entrarono in vigore le leggi razziali fasciste. A Leone e Natalia fu ritirato il passaporto, Leone perse la cittadinanza italiana e diventò apolide. Il 15 aprile 1949 nacque Carlo, primo figlio di Natalia, il 9 aprile 1940 nacque Andrea, il secondogenito. Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra. Leone e Natalia furono mandati al confino in Abruzzo, a Pizzoli. Leone non poteva lasciare il paese senza permesso e doveva andare ogni giorno a presentarsi al posto di polizia • «Cara Natalia, la smetta di fare bambini e scriva un libro più bello del mio» (Cesare Pavese a Natalia Ginzburg dopo aver pubblicato il romanzo Paesi tuoi) • Nel maggio del 1941 Natalia scrisse il racconto Mio Marito, nel settembre del 1941 incominciò a scrivere il suo primo romanzo, La strada che va in città, che poi pubblicò con la Einaudi con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte • «da allora, per sempre, quando usai la prima persona m’accorsi che io stessa, non chiamata, non richiesta, m’infilavo nel mio scrivere» • Il 30 marzo del 1943 nacque Alessandra, la terza figlia di Leone e Natalia • Quando il 25 luglio si diffuse la notizia della caduta di Mussolini, Leone tornò subito a Roma per consultarsi sul da farsi con i vertici del Partito d’Azione • Il 20 ottobre Leone scrisse a Natalia di lasciare Pizzoli, la polizia fascista era ancora attiva e i soldati tedeschi l’avrebbero presa. Passarono tre settimane a Roma, fingendosi fratello e sorella per le tessere annonarie. «Lo arrestarono, venti giorni dopo il nostro arrivo; e non lo rividi più». Il 5 febbraio del 1944 fu trovato nella sua cella, senza vita. Forse il suo cuore non aveva retto alle botte inferte dai tedeschi. Natalia riuscì a entrare clandestinamente nel carcere per vederlo un’ultima volta. Morto • «La paura, quando è sempre paura, diventa qualcosa di diverso. Diventa coraggio, no, assuefazione. Ecco. Insomma, quando uno ha avuto troppa paura, non è che ne ha ancora. O impazzisce, o si ammazza, o non ne ha più» (Natalia Ginzburg) • Dopo la Liberazione Natalia venne ad abitare a Roma, in una pensione valdese in via Balbo. Voleva cercare lavoro ma «salvo allevare i miei propri bambini, fare le faccende domestiche con estrema lentezza e inettitudine, e scrivere romanzi, non avevo mai fatto niente». Fu assunta alla Einaudi dove si occupò di manoscritti e traduzioni • La sera scriveva. Uscirono racconti e poesie. Smise di usare uno pseudonimo e si firmò Natalia Ginzburg. Nell’estate del 1945 cominciò ad andare da uno psicanalista. Alla fine dell’estate decise di ritornare a Torino, dove si trasferì in una parte dell’appartamento che i genitori le cedettero • Natalia lavorava ora nella sede torinese dell’Einaudi, dove divideva la stanza con Cesare Pavese, anche se quest’ultimo, diventato intanto direttore editoriale dell’Einaudi, per due anni passò lunghi periodi a Roma • «Se tu fossi felice, avresti scritto un racconto più bello» (un amico dopo la pubblicazione nel 1947 del racconto di Natalia E’ stato così) • Insieme a degli amici Natalia andò a Parigi per partecipare a un convegno dei Partigiani della Pace. Quando scese dal taxi si scatenò una tempesta di flash: i fotografi l’avevano scambiata per Anna Magnani • «La coscienza critica dell’Einaudi» (Natalia secondo Giulio Einaudi) • Nel settembre del 1949 Natalia incontrò a Venezia Gabriele Baldini, giovane della borghesia romana che aveva conosciuto quattro anni prima • Insegnava letteratura inglese a Trieste a aveva la passione per la musica (avrebbe voluto fare il direttore d’orchestra). Natalia iniziò a frequentarlo assiduamente. Lui 30 anni, lei 33 • Si sposarono nella primavera del 1950, anche se lei mantenne il suo cognome in Ginzburg • Nell’estate del 1950 Pavese si uccise con il sonnifero. Fu un grave lutto all’Einaudi, dove erano tutti molto amici, e in particolare per Natalia. Cesare era stato il migliore amico di suo marito Leone e anche il suo • Nel 1951 Natalia si recava spesso a Roma, perché il marito adesso insegnava lì. Vi si trasferì nel 1952, in un appartamento ai Parioli • Gabriele, stile di vita completamente diverso da Natalia: ascoltava musica tutto il giorno, mentre lei ogni tanto chiedeva un po’ di silenzio per poter lavorare; amava portare in tavola cibi e vini raffinati, mentre lei era abituata a una cucina semplice e abbondante; lui amava viaggiare ed era curioso di conoscere nuove città; lei sarebbe rimasta sempre in casa. Lo accompagnava alle inaugurazioni di mostre, a teatro, all’opera solo per dovere. «Io non capisco niente di musica, m’importa molto poco della pittura, e m’annoio a teatro. Amo e capisco una sola cosa al mondo, ed è la poesia». All’opera si addormentava e Gabriele la svegliava quando arriva un’aria che le piaceva • Il 4 settembre del 1954 Natalia diede alla luce Susanna, nata idrocefala. La portarono subito in Danimarca per farla operare: sopravvisse, ma rimase gravemente inferma. Dopo la morte di Natalia andò a vivere con la sorellastra, Alessandra • Alla fine del 1955 si licenziò dalla Einaudi e chiese di avere una consulenza • Nell’ottobre del 1957 la madre, a 79 anni, morì d’infarto • Nel gennaio del 1959 nacque il figlio Antonio, ma aveva gravi malformazioni e sopravvisse solo un anno • Natalia si trasferì due anni a Londra assieme al marito, che era stato nominato direttore dell’Istituto Italiano di cultura di Londra. Nel 1961 l’incarico di Baldini a Londra terminò, e i due tornarono nella casa a Piazza Campo Marzio, comprata poco prima della partenza: un grande salotto col camino, alti soffitti con travi a vista e rivestimenti in travertino in alcune stanze. Il giorno dopo il matrimonio della figlia Alessandra, a ottobre del 1962, Natalia iniziò a scrivere quello che sarebbe diventato il suo capolavoro e il suo bestseller: Lessico famigliare • Scriveva a mano, nelle prime ore del mattino, quando tutto taceva, seduta sul divano. Nel 1963 vinse il premio Strega, a sorpresa. La sera della votazione Natalia non credeva di vincere: indossava un vestito di maglia nera con un filino d’argento, un po’ di cipria sulle guance. Quando fu chiaro che avrebbe vinto, il figlio Carlo iniziò ad applaudire fragorosamente. Seguì un applauso generale • Nel giugno del 1969 Gabriele Baldini si ammalò. Morì a 49 anni per un’epatite virale all’Ospedale San Giacomo di Roma • Eletta alla Camera nel 1983 come indipendente del Pci • Alla morte di Elsa Morante, di cui era stata grande amica, ereditò i suoi gatti siamesi • Morì di tumore nel 1991, subito dopo aver finito di tradurre Una vita, di Maupassant • «Non so cosa posso fare dopo Una vita» (Natalia poco prima di morire)