Notizie tratte da: Luca Ricolfi # Illusioni italiche: capire il paese in cui viviamo senza dar retta ai luoghi comuni # Mondadori 2010 # pp. 168, 18 euro., 22 maggio 2010
Notizie tratte da: Luca Ricolfi, Illusioni italiche: capire il paese in cui viviamo senza dar retta ai luoghi comuni, Mondadori 2010, pp
Notizie tratte da: Luca Ricolfi, Illusioni italiche: capire il paese in cui viviamo senza dar retta ai luoghi comuni, Mondadori 2010, pp. 168, 18 euro.
CREDENZE. Il senso comune talora inganna. Crediamo che le cose stiano in un certo modo, e invece stanno diversamente.
DISSONANZA. La teoria della dissonanza cognitiva, elaborata nel 1957 dal sociologo Leon Festingert: lo scopo centrale che guida la mente umana non è la costruzione di una rappresentazione fedele della realtà, bensì l’elaborazione di una rappresentazione rassicurante, dove per rassicurante dobbiamo intendere capace di minimizzare ogni sorta di dissonanza, di disarmonia, di squilibrio, tutte fonti di malessere, ansia o stress.
GIUSTIZIA. Sembra che l’inefficienza della giustizia dipenda dalle regole ferraginose e scarsità di risorse. Questo sarebbe vero se, a parità di risorse, per i vari distretti giudiziari fosse più o meno lo stesso. Fatta 100 la produttività media dei 29 distretti di Corte d’Appello italiani, il distretto più efficiente (Torino) produce 176, quello meno efficiente (Caltanissetta) produce 23, quasi un ottavo. La velocità media dei procedimenti del distretto più veloce (Trento) è il quadruplo di quella del distretto più lento (Reggio Calabria). Se la produttività fosse ovunque quella di Torino gli altri 28 distretti potrebbero spendere il 46,2% in meno, o produrre l’85,9% in più.
GIUSTIZIA/2. A Nord un processo penale dura 221 giorni, a Sud 555. A Nord un processo civile dura 323 giorni, a Sud 654. Basterebbe che il Centro e il Sud raggiungessero il livello del Nord per permettere una drastica riduzione dei tempi medi di durata dei processi in Italia. Da 386 (media italiana) a 221 giorni (media del Nord) nel penale, da 484 a 323 giorni nel civile.
GIUSTIZIA/3. Ogni anno, a fronte di 3 milioni e mezzo di notizie di reato, i condannati a una pena detentiva sono circa 150mila, dunque uno ogni 25 notizie di reato.
CERTEZZA DELLA PENA. Garantirla è impossibile. Supponiamo che ci siano 1000 condannati alla reclusione ogni anno e che la pena media sia 3 anni: il numero di posti necessari sarà circa 3mila, perché la durata della permanenza in carcere non è di 1 anno, ma di 3. Quindi: se tutti i condannati in Italia dovessero scontare la pena in carcere, allora ci vorrebbero 150mila posti. Se si mettessero in prigione i condannati a pene da 1 anno in su, i posti necessari sarebbero 103mila, 54 mila quelli per i soli condannati da 3 ani in su, 33mila i posti per i condannati da 5 anni in su. I posti in carcere in Italia, al dicembre del 2007, sono 7mila, 20mila se contiamo anche le case mandamentali e circondariali.
INTERCETTAZIONI. Non possiamo sapere se in Italia ci sono più intercettazioni telefoniche che negli altri paesi, perché in molte nazioni il numero di intercettazioni effettuate non viene reso pubblico. Possiamo sapere, però, se intercettiamo più di un tempo. Le intercettazioni sono raddoppiate tra il 1992 e il 1996, con un +58,5% solo tra il ”95 e il ”96. Fatto 100 il numero di persone intercettate nel 2001,nel 2003 si era già a 243, e la crescita non si è mai interrotta, fino al 428 del 2008. Difficile invece calcolare come siano andate le cose tra il 1996 e il 2001, col centrosinistra al governo, perché i dati non sono omogenei.
IMMIGRATI. ”Per attirare i cittadini migliori degli altri paesi ci basterebbe diventare un paese serio, in cui chi lavora è accolto a braccia aperte e chi sbaglia paga, italiano o straniero che sia”.
IMMIGRATI/2. Il tasso di criminalità degli stranieri regolari è sempre molto maggiore (da 2 a 6 volte) di quello degli italiani, quello degli stranieri irregolari è sempre maggiore (da 6 a 25 volte) di quello degli stranieri regolari. In media il tassi di criminalità degli stranieri regolari è 3,4 volte quello degli italiani, quello degli stranieri irregolari è 8,2 volte quello degli stranieri regolari e 28,3 quello degli italiani. ”A giudicare dai dati, la xenofobia, ossia la paura dello straniero, non si fonda su pregiudizi e convinzioni irrazionali ma su una percezione della realtà sostanzialmente corretta”.
IMMIGRATI/3. Secondo le stime il numero di clandestini in Italia oscilla tra i 500mila e il milione. Il flusso di nuovi irregolari è stimato in 200mila all’anno. I posti nei Centri di identificazione ed espulsione sono 1500. La nuova legge ha portato la permanenza massima nei Cie da 2 a 6 mesi. Nei Cie non si liberano più di 6mila posti all’anno (se la permanenza media è di 3 mesi). Quindi il fabbisogno annuo di posti è circa 33 volte la disponibilità.
IMMIGRATI/4. Solo 1 irregolare su 7 arriva con i barconi. Il grosso dei clandestini sono entrati in Italia con il permesso di soggiorno e, scaduto il permesso, sono rimasti.
VIOLENZE SESSUALI. La stragrande maggioranza degli episodi (il 98,8% secondo l’Istat) non vengono denunciati, perché percepiti come offese lievi o perché avvenuti all’interno delle mura domestiche. Le denunce sono 5000 all’anno. Dobbiamo purtroppo concludere che le donne vittime di violenza potrebbero essere 700mila, con un decimo (70mila) vittime di stupri.
ROMENI. La fama che si stanno guadagnando i rumeni come autori di atti di violenza sessuale sembra sostanzialmente giustificata. Nel 2006, ultimo anno in cui i romeni erano extracomunitari, in bade ai dati sui denunciati per violenze sessuali risulta che la pericolosità degli stranieri è di 10 volte maggiore di quella degli italiani, ma quella dei romeni lo è addirittura di 17 volte.
INDULTO. Le vittime di violenza sessuale sono molto aumentate dopo l’indulto (+15,6%) ma nel 2008 i delitti denunciati sono in regresso (-8,8%). Probabilmente perché molti dei carcerati liberati sono stati riarrestati.
CONSUMI. Nei 6 anni successivi all’ingresso nell’euro, tra il 2002 e il 2008, i consumi italiani in termini reali sono saliti del 4,5%, ma quelli pro capite sono scesi dello 0,2%, mentre il potere di acquisto pro capite è sceso del 2,8% e il potere di acquisto pro capite dei soli italiani è sceso del 3%. L’unico motivo per cui sono saliti i consumi è che è aumentata la popolazione. La morale? Gli europei lavorano meno degli americani, e gli italiani lavorano meno degli europei. Questa è l’origine del nostro declinante tenore di vita.
LA CRISI. La crisi ha colpito più gli autonomi che i dipendenti. Fra il terzo trimestre del 2007 e il terzo trimestre del 2009 l’occupazione dipendenti è riasta quasi perfettamente invariata, mentre quella indipendente, fatta soprattutto di imprenditori, liberi, professionisti e partite Iva, ha perso 400mila posti.
LA CRISI/2. La crisi non ha colpito più i poveri e meno i ricchi. Nei primi due anni di crisi l’occupazione degli italiani è diminuita di 773mila unità, mentre quella degli stranieri è aumentata di 366mila unità, quasi interamente grazie a nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato. Succede che l’Italia riesce a creare solo i posti di lavoro poco appetibili che gli italiani rifiutano e gli stranieri accettano.
CRISI/3. Tra i 12 paesi che sono il nucleo storico dell’area euro, il confronto sull’andamento economico tra il 2007 e il 2009 dice che: l’Italia è 3° in quanto a deficit, 6° come debito pubblico, 8° per occupazione, entrate tributarie e peso delle imposte, 10° come potere di acquisto, disoccupazione, export e Pil, 11° per la produzione industriale.
PIL. Il primo dato pubblicato sul Pil può essere anche lontanissimo dal dato definitivo, che arriva a 1 o 2 anni di distanza. Il primo dato sul Pil del 2005 (comunicato a marzo 2006) indicava una lievissima diminuzione. Il dato definitivo, uscito nell’estate del 2009, dà una crescita dello 0,7%.
PREVISIONI. Sulla crescita mondiale del 2008 il Fmi nella primavera del 2007 prevedeva un +4,9%. Alla fine gli ultimi dati dicono che è stata del 3%. Per l’Italia il Fmi parlava di un +1,7%, poi corretto, in autunno, a un +1,3%. Alla fine è stato un -1%. In nessun altro campo questo margine di errore sarebbe considerato accettabile.
IL LAVORO NERO. Il tasso di lavoratori irregolari sul totale degli occupati al Sud è al 21,2%, al Nord al 10%. Nello stesso tempo quasi il 90% delle popolazione straniera non risiede e lavora al Sud, ma nelle regioni del Centro-Nord. Insomma, l’irregolarità abita soprattutto al Sud, ma l’immigrazione sta quasi tutta al Nord.
LAVORATORI. Nel mercato del lavoro il vero problema drammatico è il dualismo tra iperprotetti e ipoprotetti. Tra gli iperprotetti, pieni di tutele: i 3,5 milioni di dipendenti fissi, finora quasi il licenziabili, dopo di loro i 3,3 milioni di lavoratori fissi delle grandi imprese, seguono i 4,2 milioni di fissi delle medie imprese. Scendendo verso gli ipoprotetti: 2,9 milioni di lavoratori delle piccole imprese, 2,1 milioni di lavoratori a tempo determinato, 0,5 milioni di parasubordinati e 2,3 milioni di lavoratori in nero. Tra le prime due condizioni (statali e grandi imprese) e le ultime c’è un abisso senza paragoni in Europa.
LAVORO/2. Fatto 100 il potere d’acquisto per ora lavorata dei paesi dell’Europa a 15, precediamo Spagna, Germania e Regno Unito, e siamo dietro la Francia. Se poi teniamo conto anche del livello di istruzione della forza lavoro, e quindi calcoliamo il potere d’acquisto per ”qualità”di ora lavorata, sulla base dell’istruzione del lavoratore, sorpassiamo anche la Francia. Significa che noi lavoriamo meno degli altri e la qualità della nostra forza lavoro è fra le più basse d’Europa.
MORTI SUL LAVORO. In Italia i morti sul lavoro sono al minimo storico, e sono diminuiti sia tra il 2006 e il 2007 (-10%) sia fra il 2007 e il 2008 (-7,2%) sia fra il 1° semestre 208 e il 1° semestre 2009 (-13,1%). Nel 1968, alla fine del grande miracolo economico, i morti sul lavoro erano 4.500. Nel 2008 sono stati 1.100.
REDDITI. In Italia le persone che dichiarano più di 120mila euro l’anno sono quasi 250mila, lo 0,6% dei contribuenti (dati del 2007). A fronte di questi pochi ”paperoni” abbiamo 2 milioni e mezzo di possessori di auto di grossa cilindrata (oltre i 2mila cc), 5,3 milioni di possessori di auto di potenza elevata (oltre gli 85 Kw). I numeri ci inducono a pensare che i super-ricchi non siano meno del 6-7% della popolazione. Le dichiarazioni Irpef ce ne mostrano solo lo 0,6%.
STIPENDI. Marx diceva che il valore della forza lavoro non è dato dal valore dei beni strettamente necessari per riprodurla, ma dall’insieme dei beni socialmente necessari in una certa epoca in una determinata società. Negli ultimi 20 anni alle spese della famiglie si sono aggiunti 2mila euro tra tassa sui rifiuti, telefonino, parcheggio, multe per sosta vietata, computer, allacciamento Internet, ticket sanitari, abbonamento per il calcio in tv, bollini blu per l’auto, badanti. Se i salari avessero seguito perfettamente l’inflazione la famiglia tipo, che guadagna 35mila euro all’anno, avrebbe un potere d’acquisto ridotto del 5%.
POVERI. A fine 2008 la Conferenza Episcopale Italiana ha segnalato un aumento delle famiglie in difficoltà. Difficile scegliere un momento peggiore: i prezzi stavano scendendo e il numero delle famiglie in difficoltà diminuiva mese dopo mese. I dati Isae dicono che le famiglie in difficoltà erano 1 su 5 all’inizio del 2008, ma erano scese a 1 su 7 a fine anno, quando il cardinale Bagnasco lanciava l’allarme.
POVERI/2. Quanti sono i poveri in Italia? La risposta può tranquillamente oscillare fra 2 milioni e mezzo e 45 milioni, ossia fra il 4 e il 75% della popolazione, a seconda dei dati che utilizziamo. Dati Istat sulla povertà assoluta (quelli che guadagnano meno del paniere minimo): il 4,9% della popolazione. Povertà relativa (chi guadagna meno della famiglia mediana): il 13,6% della popolazione. Povertà da deficit (spendere più di quanto si guadagna): il 18,1% delle famiglie. Povertà come rischio di diventare poveri (lo calcola Eurostat): 19%. Povertà soggettiva (chi pensa di non guadagnare abbastanza): il 70% degli italiani. Di fronte alle cifre sui poveri, chiediamoci: perché tra le tante definizioni di povertà è stata scelta quella?
POVERI. La Caritas quando deve dare i dati sulla povertà usa quelli della povertà relativa.
RASSEGNAZIONE. ”La diffusione di cifre estreme ha effetti ambivalenti può scuotere le coscienze ma anche indurre rassegnazione, come perlopiù accade quando un nemico è descritto come invincibile”.
TASSE. Secondo i dati pubblicati dall’Ocse la pressione fiscale in Italia nel 2007 è stata del 43,5%, mentre nell’Europa a 15 è del 39,7%. Ma un conto è la pressione fiscale come rapporto fra le tasse effettivamente pagate e il reddito, un conto è la pressione fiscale come rapporto tra tasse dovute e il reddito. Se molti non pagano le tasse i due tipi di pressione fiscale possono divergere anche di molto. In Italia la differenza è di 10-15 punti: il fisco pretenderebbe di ottenere il 58,5% del reddito degli italiani, ma per l’evasione incassa il 43,5%. Secondo questi dati il fisco italiano è tra i più esosi d’Europa. Chiedono di più solo in Danimarca e Svezia.
SPRECHI. Nella sanità Lombardia, Veneto e Friuli hanno un tasso di sprechi vicino allo 0. In Sicilia e Campania la percentuale di soldi pubblici spesi per la sanità ma sprecati è rispettivamente del 43,1 e 43,4%.
PENSIONI DI INVALIDIT. Sono oltre 4 milioni, ci costano 25 miliardi di euro all’anno. L’Inps ha avviato alcune verifiche e ha concluso che le pensioni da revocare siano il 13% del totale. Elaborando le statistiche Istat si arriva invece a cifre diverse: le pensioni da revocare sarebbero il 32% del totale. Il risparmio potrebbe arrivare a 8 miliardi di euro all’anno.
SANIT. Classifiche internazionali sulla sanità: quella dell’Organizzazione mondiale della sanità, realizzata dai governi, quella dell’Helath Consumer Powerhouse, autoproclamatosi associazione dei consumatori. La prima guarda al risultato, lo stato di salute della popolazione, la seconda sul prodotto, la qualità dei servizi sanitari. Le due classifiche si contraddicono sempre. L’Italia in Europa è 2° per l’Oms, ultima per l’Hcp.
WELFARE. La nostra spesa sociale è superiore a quella della media europea, siamo al livello di Francia e Germania. Ma se aggiungiamo alla nostra spesa quelle spese sociali ”mascherate” (come le assunzioni clientelari nel pubblico impiego) possiamo dire che spendiamo in Welfare il 30,4% del Pil. Come la Svezia, la prima in Europa per la quota di Pil destinata allo stato sociale.
SCUOLA. La nostra scuola elementare non è forte come crediamo. Nel confronto internazionale (con 12 paesi europei) siamo 1°per la lettura, 4° per le scienza, 8° nella matematica. Siamo così al centro classifica. Ma gli studi dicono che la lettura è molto influenzata dalla frequentazione alla scuola materna, da noi molto più frequente che altrove. Quindi l’unico successo delle elementari sembra figlio degli asili. Finché l’Invalsi conduceva le indagini sui livelli di apprendimento (il 2007), risultava che il vero anello forte della nostra scuola sono le medie, mentre l’anello debole sono proprio le elementari.
UNIVERSIT. La spesa per educazione terziaria mette l’Italia al penultimo posto tra le nazioni dell’Ocse, davanti solo alla Repubblica Slovacca. La spesa per studente ci vede 20° su 27 nazioni. Ma se teniamo conto degli studenti che effettivamente frequentano l’università, la nostra spesa per studente è tra le più alte del mondo, superata solo da Stati Uniti, Svizzera, Svezia. A livello di quota di Pil, noi spendiamo effettivamente il 30% in meno per studente iscritto (lo 0,7% contro l’1,1% della media dei grandi paesi europei) ma produciamo anche il 50% di laureati in meno. Quindi il problema principale non è l’assenza di fondi, ma la scarsa produttività dell’investimento universitario.
REGIONI. Se analizziamo la spesa pubblica ”discrezionale” delle Regioni, quella dovuta a scelte politiche (servizi pubblici più sussidi vari) scopriamo che le regioni che assorbono più risorse pubbliche per abitante sono la Valle d’Aosta (10.860 euro), il Trentino-Alto Adige (7.899) e il Lazio (6.763). La spesa discrezionale è minore in Veneto (4.613), Lombardia (4.638), Puglia (5.004). Vivere in una regione autonoma da un vantaggio, in termini di spesa pubblica, pari a 1.500 euro all’anno.
FEDERALISMO. In realtà la spesa sanitaria pro capite del Sud (Lazio escluso) è inferiore a quella del Nord: 1.733 euro per abitante contro 1.748 (dati del 2007). Difatti il federalismo può anche essere conveniente per il Mezzogiorno. Dipende da come lo si fa. Se si sceglie come costo standard quello della Regione migliore, la Lombardia, i costi nazionali scenderebbero di 6,4 miliardi, e il Sud ci rimetterebbe 1,5 miliardi. Se invece il costo standard per il servizio sanitario fosse quello della Toscana, virtuosa ma non la migliore, i costi totali salirebbero di 650 milioni, e al Sud dovrebbero tagliare qualcosa solo Molise e Abruzzo.
UNIT D’ITALIA. Fino a qualche anno fa si pensava che, nel 1861, il Sud avesse un ritardo di Pil pro capite, rispetto al Nord, del 15-20%. Una recente ricostruzione dice che invece il divario tra Nord e Sud sia nato tutto dopo, precisamente tra il 1880 e il 1951. Gli unici periodi della storia d’Italia in cui il Sud è riuscito a crescere meglio del Nord sono il 1951-1971 e il 1995-2005.
NORD-SUD. Il Pil pro capite al Sud è del 48% inferiore al Nord. Se guardiamo al reddito familiare disponibile il divario scende al 26%. Per i consumi la differenza si riduce fino al 20%. Se consideriamo anche i prezzi, il potere di acquisto di una famiglia del Sud è del 5% superiore a quello di una del Centro Nord, cifra che diventa appena inferiore (-5%) se si corregge per la maggiore numerosità della famiglia-tipo meridionale.
PARTITI. In tutto il dopoguerra la sinistra è stata al governo solo 2 volte su 16 legislature, per 7 anni su un totale di 60. I fatti della nostra storia raccontano che la forza elettorale dei partiti di sinistra è stata sempre compresa tra il 40 e il 50%. Nessun leader di sinistra è mai riuscito a convincere il 50% dei votanti più uno.
SINISTRA. Le indagini dell’Osservatorio Nord Ovest dicono che gli elettori di Pd e Idv sono soprattutto laureati, diplomati, pensionati, dipendenti pubblici, lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Quelli di Pdl e Lega sono autonomi, precari, disoccupati, giovani lavoratori, casalinghe. Il Pd tendenzialmente rappresenta la società delle garanzie, ossia l’insieme dei soggetti che possono già contare su più tutele. Il Pd invece rappresenta la società del rischio, l’insieme dei soggetti più deboli o più esposti alle incertezze del mercato.
ASTENUTI. Pdl e Pd ottengono insieme (alle ultime europee) il 61,4% dei voti validi, ma questi ultimi rappresentano solo il 62,2% del corpo elettorale. Quindi la somma dei due partiti maggiori d’Italia vale appena il 38,2% del corpo elettorale, più o meno quanto la somma di astenuti, schede bianche e schede nulle.
NOTIZIE. Un evento sempre notizia bile ha due caratteristiche: suscita forti emozioni nel pubblico; ha una frequenza superiore ai 1.000 casi all’anno, cioè si verifica in media 3 volte al giorno. Quando un fenomeno si verifica mediamente 3 volte al giorno sono rarissimi i giorni buchi, in cui non c’è nemmeno un caso. Eventi sempre notiziabili: i morti sul lavoro (1207 casi nel 2007), i suicidi (2867), le violenze sessuali (4897). Probabilità di un giorno senza notizie di: morti sul lavoro (3,7%), suicidi (0,04%), violenze sessuali (1 su 1,5 milioni).