Ettore Colombo, Il Riformista 20/5/2010, 20 maggio 2010
ANCHE TONINO HA IL SUO INCIUCIO
L’Idv cerca la mossa del cavallo e la trova. Il Pd, che s’era distratto un attimo, la subisce e perde, dividendo in mille direzioni i pezzi sulla scacchiera. La maggioranza, per una volta, respira. Per quanto riguarda la manovra economica, che ieri sera il ministro Giulio Tremonti è andato a illustrare a Palazzo Chigi, il refrain che va di moda in casa Pd è sempre lo stesso: «Prima vediamo i conti veri e poi ne discutiamo», spiegano i tecnici di maggioranza (Michele Ventura) come di minoranza (Pier Paolo Baretta), mentre Enrico Letta, intercettato alla Camera, sottolinea le diversità profonde tra Tremonti e Berlusconi.
Ma il vicesegretario del Pd non esclude che il suo partito possa aiutare a metterci qualche zeppa in più, ma chiede al presidente del Consiglio, e in tono perentorio, di «presentarsi davanti agli italiani e annunciare i sacrifici». In quel caso, si vedrà. Dopo aver visto i conti, appunto. L’atteggiamento, comunque, non è ostile, come dice anche Antonello Soro: «Siamo in una crisi drammatica, ma siamo pronti». Pronti a votare una manovra correttiva vera, fatta di sacrifici chiesti a tutti, non ai soliti noti, come dicono in molti.
Preliminari, per ora. Sul federalismo, invece, la partita è iniziata e il Pd, al solito, è finito in pezzi. Antonio Di Pietro ne ha pensata un’altra delle sue e ieri, di buon mattino, alle undici si è presentato nella sala stampa della Camera dei deputati sottobraccio al ministro leghista Roberto Calderoli. Oggetto affrontanto dall’inedito duo l’annuncio di voto favorevole dell’Idv al federalismo demaniale. Voto che, poche ore dopo, si è materializzato in seno alla commissione bicamerale, presieduta da Enrico La Loggia, che ha dato parere favorevole (contrari soli Udc e Api, astenuto il Pd) al primo decreto legislativo sul federalismo, quello che riguarda il federalismo demaniale. Il decreto, che sarà varato ufficialmente oggi, dal Consiglio dei ministri, fissa i principi generali e le procedure per regolare il trasferimento di parti del patrimonio immobiliare dello Stato a favore di enti territoriali. Ricapitolando: Pdl e Lega votano a favore, Idv pure, Udc e Api contro. E il Pd? Si astiene, ovvio. Bossi respira, Calderoli gongola, Di Pietro c’ha il sorcio in bocca e non fa nulla per nasconderlo. «L’Idv - dice - si assume la responsabilità delle proprie decisioni e dice sì dopo un lavoro condotto senza preconcetti. Chi invece si astiene come il Pd dimostra di non essere né carne né pesce».
Al di là del fatto che, sulla manovra economica, le parti potrebbero invertirsi perché in quel caso è l’Idv che minaccia opposizione dura, mentre il Pd potrebbe avere un atteggiamento «responsabile», ieri, dentro il Pd, al di là delle parole di facciata (per Franceschini «l’astensione è una scelta responsabile perché così c’è spazio per il confronto in Aula», per Letta «è un modo per tenere aperto il dialogo»), è la sagra del tutti contro tutti. E tutti furibondi. Un deputato toscano quasi aggredisce il cronista: «Di Pietro è un buffone e un mascalzone! Va a braccetto con chi brucia la bandiera italiana!». Francesco Boccia, pugliese e lettian-bersaniano doc, oltre che economista, non si tira indietro: «Non è la prima volta che Di Pietro fa il furbo, però ora ci ha stufato. Basta. Non staremo più zitti». Poi cerca faticosamente di spiegare che «le migliorie apportate al testo, dal demanio che non si tocca al Po che resta dov’è, sono state fatte grazie al lavoro del Pd. C’abbiamo messo il sangue, lì dentro». Emanuele Fiano, milanese e franceschiniano, pur mansueto qual è, s’arrabbia: «Dovevamo avere coraggio e votare sì. Letta è anche venuto a presentarsi anche uno slogan equivoco per l’Assemblea: Europa federale, Italia unita. Ma che senso ha?». Daniele Marantelli, deputato lombardo amico personale di Bossi, Maroni e Calderoli ma escluso, e dall’inizio, dalla bicameralie sul federalismo, non si dà pace, anche se si sforza di pesare le parole: «Il Pd dev’essere il partito del cambiamento. Vuol dire pensare che uno Stato federale aiuta, e non peggiora, l’uscita dalla crisi, e rafforza l’unità del Paese, non l’allontana. Abbiamo fatto bene ad astenerci», dice, ma soffrendo e non senza aver lodato il ruolo politico di Bossi («oggi è lui lo stabilizzatore»).
Ma ora con la Lega parla l’Idv: «Il feeling c’è da tempo e su vari temi - spiegano dall’entourage di Di Pietro - e con Calderoli c’è stato un lavoro sottotraccia fitto e continuo». Non tutti, nell’Idv, apprezzano. Ieri, alcuni deputati meridionali se ne lamentavano, ad alta voce.
Dentro il Pd, poi il ”partito del Sud” è fortissimo. «Avrei votato no, ma mi sta bene l’astensione», ragiona Sergio D’Antoni. Idem per un altro ex dc, ma di minoranza, Beppe Fioroni: «Dovevamo votare contro, come Udc e Api. Il federalismo è una cosa seria, ma quello proposto dalla Lega è una presa in giro. Partito del Sud? Direi partito del buon senso». Insomma, per il Pd siamo alle solite. Nel frattempo, Di Pietro fa politica e il messaggio inviato non solo alla Lega ma a tutto il Governo è questo: al governissimo diciamo no, ma a fare le riforme diciamo sì. Come a dire: l’Udc non serve, il Pd neppure, ma - volendo - c’è sempre l’Idv.