Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 21 Venerdì calendario

MALAWI, GAY E PROMESSI SPOSI

Sono stati portati via tra gli insulti e i lazzi delle centinaia di curiosi assiepati nell’aula di giustizia di Blantyre, giunti per assistere a uno dei processi più importanti nella recente storia del Malawi. Moltissimi hanno esultato nell’ascoltare la pesantissima pena comminata ai due giovani gay Tiwonge Chimbalanga e Steven Monjeza, quattordici anni di carcere con l’aggiunta dei lavori forzati per aver avuto il coraggio di organizzare, lo scorso 27 dicembre, la loro festa di fidanzamento. La massima punizione secondo le leggi locali (ma approvate durante il periodo coloniale inglese), che ancora considerano l’omosessualità un reato. Nel comminare loro la pena per «atti osceni e innaturali», il giudice Nyakwawa Usiwa-Usiwa l’ha espressamente giustificata come un monito per la società, affinché altri non avessero la tentazione di emulare il loro «orrendo esempio». Perché, loro malgrado, quella che per Steven e Tiwonge era una semplice celebrazione del loro amore è diventata una battaglia per la libertà che coinvolge le comunità omosessuali di tutta l’Africa.
Dalla Libia all’Uganda, dal Kenya al Camerun, essere gay o lesbiche è ancora un reato in più di trenta Stati africani, punito con pene che vanno dalle semplici ammende alla morte. Ritenuta da molti una «malattia» portata nel continente dagli occidentali, l’omosessualità è bollata come una pratica contro natura che rischia di corrompere le tradizioni e i valori delle società locali. La sua repressione trova d’accordo tutte le religioni, da quelle animiste alla cattolica, passando per i musulmani. Quello di Steven e Tiwonge è solo l’ultimo di una serie di casi che hanno visto i Paesi africani rispondere con estrema durezza alle richieste di tolleranza e depenalizzazione portate avanti dalle associazioni per i diritti umani.
A febbraio, le voci su un presunto matrimonio gay organizzato nella città kenyana di Mombasa provocarono una serie di manifestazioni e disordini; sempre a febbraio, in Uganda è stata presentata una proposta di legge che, se approvata, punirà l’omosessualità con la pena di morte. Sostenitore del provvedimento, il pastore Martin Ssempa fece proiettare un film porno gay nella sua chiesa per «istruire» i fedeli «su cosa fanno gli omosessuali».
Cortei anti-omosessuali sono stati organizzati in Camerun, mentre in Egitto la polizia prende periodicamente di mira i luoghi di ritrovo per gay. Persino in Sudafrica, l’unico Paese del continente ad aver legalizzato le unioni tra persone dello stesso sesso, le violenze nei confronti delle lesbiche sono all’ordine del giorno. Nel 2008 ne fece le spese una giocatrice della nazionale di calcio femminile, Eudy Simelane, uccisa con 25 coltellate dopo essere stata ripetutamente stuprata da un gruppo di maschi che la volevano «curare». Perseguitati e respinti, molti omosessuali africani si rifugiano nell’anonimato, evitando il più possibile il contatto con la società. Un comportamento comprensibile, ma che può avere conseguenze molto pesanti dal punto di vista sanitario, specie in un continente dove il virus dell’Hiv è estremamente diffuso.
Da ieri anche il piccolo Malawi, un Paese di 12 milioni di anime, metà delle quali vivono al di sotto della soglia di povertà, è salito agli onori delle cronache per la persecuzione contro gli omosessuali. A nulla sono valsi gli appelli dei Paesi donatori, Usa e Gran Bretagna in primis, né la tesi della difesa, secondo cui la relazione tra i due ragazzi sarebbe un fatto privato che non ha alcuna influenza sulla società. Al momento dell’uscita dall’aula, Steven Monjeza è scoppiato in lacrime, provato dalla tensione e dagli insulti come lo scorso 4 gennaio, quando alla coppia era stato rifiutato il rilascio su cauzione. Allora, lo stesso giudice ritenne che, data l’attenzione suscitata dal caso, rimettere piede in strada sarebbe stato estremamente pericoloso per i due ragazzi.
Dopo il fidanzamento, i due si sarebbero dovuti sposare ufficialmente quest’anno, suggellando un amore incompreso e respinto dalla loro stessa gente. Ora, per i due si apriranno le porte del carcere di Chichiri, dove, secondo le parole di Steven Monjeza, difficilmente la loro storia riuscirà a continuare.


Stampa Articolo