Laura Pezzino, Vanity Fair n 20, 26 maggio 2010, 26 maggio 2010
PEGYY GUGGENHEIM SONO IO
Strani, i pescaresi. Sulle colline a 50 chilometri dal mare, tra vigneti e campagne in abbandono, si può incontrare un ristorante che qualcuno col senso dell’ironia ha chiamato Marlon (ma serve succulenti arrosticini di agnello) e una baronessa dai capelli fulvi che ha
deciso di farsi costruire un ipogeo in cemento armato.
Nei tempi che furono, gli ipogei (costruzioni sotterranee) servivano principalmente da sepolcri (come le catacombe). Quello voluto da Lucrezia De Domizio Durini, invece, è un’opera d’arte e proprio in questi giorni compie 5 anni.
Sorge a qualche chilometro dal borgo di Bolognano dove si trova la Casa di Lucrezia, un palazzo che lei ha trasformato in un’abitazione-museo. Qui, un cane di nome Miomio dorme tra opere di Fontana, Rotella, Burri, Pistolotto, il meglio dell’arte contemporanea.
Lucrezia De Domizio Durini, 74 anni, minuta, vestita di nero in inverno, di bianco in estate, con una vera passione per gli stilisti giapponesi, è un guru negli ambienti dell’arte italiana e
internazionale.
Amica dei più importanti artisti e collezionisti. si paragona a donne come Peggy Guggenheim e Gerirude Stein e si definisce «un’operatrice culturale». «Mentre il critico analizza l’oggettività dell’arte, l’operatore ha una sua filosofia. Non si occupa delle opere,
fa una Tac all’artista, vuole conoscere la sua vita. E l’angelo che lo segue». E una specie di mecenate dei giorni nostri. Fin dagli anni ’60, le abitazioni sue e del secondo marito, il barone Giuseppe Durini, sono state un cenacolo d’intellettuali. Vi hanno transitato tutti, da
Kounellis a Kiefer, a De Dominicis. stata lei a scoprire talenti come Marco Bagnoli e Vitantonio Russo, sempre lei ha penato per prima in Italia i Milo di Warhol. Ha vissuto per l’arte. «La mia è stata una vita travagliata: vedova giovane e con una figlia, negli anni ’50 mi trasferii a Addis Abeba dove fondai una casa di moda. Tornata in Italia, mi sono votata all’arte. Poi l’incontro con Joseph Beuys ha cambiato tutto».
Beuys, artista tedesco morto nel 1986, è tra i più importanti esponenti dell’arte europea del secondo dopoguerra. Partecipò alle prime manifestazioni del movimento d’arte Fluxus (il gruppo neodadaista che nacque nel 1961 in Germania, ma al quale aderirono diversi americani, tra cui John Cage e Yoko Ono). Amico di Andy Warhol che, dice la baronessa, «lo considerava un dio», fu il primo artista vivente ad avere una mostra al Moma di New York. «Era il 1973 e c’ero anch’io. Beuys chiese a mio marito Buby (biologo e appas-
sionato di fotografia, ndr) di fotografarlo durante quel viaggio. Abbiamo trascorso 25 giorni con il gotha della pop art: Lichtenstein, Jasper Johns, Robert Indiana. Tutti loro vedevano Beuys come un grande sciamano pur avendo un’ideologia e una filosofia completamente diverse».
La zona in cui sorge l’ipogeo (che si sviluppa su due piani e ospita eventi e conferenze culturali, «non mostre: non sono una gallerista, io», spiega Lucrezia) è all’intcrno della Piantagione Paradise. Voluta dallo stesso Beuys, si estende su un terreno di 30 ettari ed è conosciuta anche col nome di «Difesa della natura», perché espressione di un concet-
to di arte che mette al centro l’uomo e la natura.
Ogni due anni, la baronessa organizza il Free Intemational Forum, un momento di confronto di linguaggi, discipline e problematiche sociali, umanitarie e ambientali. Quest’anno si terrà il 2 e il 3 luglio, e Lucrezia ci ha mostrato in anteprima l’opera che inaugurerà. «Si tratta della Casa dell’Arte, una vera e propria abitazione che ho ricavato da
uno dei lanti ruderi del centro di Bolognano». Qui tutto, dal lampadario al lavello, all’arredamento del bagno, è un oggetto di allo design. Tutto, dalle forme ai materiali, ai colori, è simbolo di qualcos’altro: la fratellanza tra gli uomini, l’amore verso la natura e l’umanità. Il paesino abruzzese è pieno di queste opere e anche di vere e proprie «ve-
trine dell’arte» realizzale Jalki baronessa. Un esempio è la Casa Ciclo (il nome viene dal suo colore), dichiarata monumento nazionale. «L’arte mi ha resa ricca spiritualmente, ma povera materialmente. Non ho mai ricevuto un soldo dalle istituzioni, ho speso tutte le ricchezze di mio marito,scomparso anni fa, per comprare spazida consacrare all’arte, costruire piazze.E infine l’ipogeo».
Il denaro, però, non le interessa: racconta che, pochi giorni fa, una grande gallerista americana le ha telefonato offrendole un milione e 200 mila euro per un’opera di Beuys che lei tiene in casa.«Ma io non posso vendere Beuys. La mia missione è tramandare il suo pen-
siero, e non posso farlo se mi sporco con queste cose».
Vive modestamente nella sua casa museo, nessuna mondanità. Nel 1993 ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e della Letteratura francese, e nel 2001 l’equivalente riconoscimento dal nostro Paese. «Sono ambiziosa. Ma non per il presente, per
il futuro. Sono stala sempre vicino alla morte (Buby è scomparso in una tragedia in mare, da cui lei si è miracolosamente salvata, un ’altra volta è stata vittima di un incendio, ndr), amo la morte come la vita. Certo non vorrei che accadesse domani perché ho tanti progetti,
ma se morissi tra un’ora so che è come avere riempito un bicchiere d’acqua: più di questo non potevo fare».