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 2010  maggio 21 Venerdì calendario

2 ARTICOLI - FACEBOOK L’AMICO-NEMICO

«Avete presente Ulisse? Sì, Ulisse e le sirene. Beh, il nostro rapporto con Facebook è quello là: vogliamo starci vicino vicino ma senza esserne catturati. E come si fa?». Già, come si fa. Alessandro Acquisti sono vent´anni che dall´Italia agli Usa studia le regole dell´attrazione dei social network. E adesso, professore alla Carnegie Mellon, l´Università di Pittsburgh, ha lanciato negli Usa l´allarme privacy & web finito sul New York Times: non bisogna essere degli hacker per risalire attraverso i social network a tutti i nostri dati sensibili, basta miscelare le informazioni disponibili in un grande calcolatore.
Ulisse per godere del canto delle sirene senza lasciarsi portar via dal mare si fece legare al palo della nave. Possiamo sperare in qualche soluzione più pratica?
«La prima regola che consiglio ai miei studenti è una vecchia legge della privacy. Quando state per mettere una qualsiasi informazione online immaginate che un bel giorno possa finire sulla prima pagina del Times o di Repubblica: siete disposti ad accettarlo?».
Scusi ma così non andiamo da nessuna parte: il successo di Facebook nasce proprio dallo scambio di informazioni. O no?
«Il suo successo ha due spiegazioni principali. Punto primo: a differenza degli altri social network, che pure erano nati prima, come MySpace, Facebook ha sempre continuato a creare nuove applicazioni, a offrire nuovi modi alla gente di spedere tempo sulla piattaforma, prima l´instant messaging, poi i giochini, poi l´uso delle foto, al punto che oggi è diventato il depositario più grande al mondo di immagini fotografiche».
Punto secondo?
«Quel capolavoro strategico che per la privacy è un disastro. Facebook nasce come un gioco da college, all´inizio potevi entrare nella comunità solo se avevi una mail con la sigla edu, quella delle università, poi ha cominciato ad aprirsi alle scuole superiori, poi alle società, poi ai regional networks, infine a tutti i maggiori di 13 anni. Ma già nello studio che avevamo condotto cinque anni fa, agli inizi del fenomeno, veniva fuori questa caratteristica principale: proprio per la sua natura ristretta, la maggioranza degli utenti si identificava col proprio nome e cognome. Una rivoluzione per il web, dove fino ad allora la maggioranza circolava con i nickname, i nomi immaginari».
Risultato?
«Con il tuo nome e cognome su Facebook ritrovi il tuo compagno di scuola di 25 anni fa. Ma con il tuo nome e cognome i rischi per la privacy sono ovviamente moltiplicati».
Sempre più gente, scrive il New York Times, proprio per questo è in fuga. La ragazzina cresciuta sul social network si accorge che magari quella simpatica foto in cui mezzanuda fa la gara di birra è finita nella documentazione del suo colloquio di lavoro.
«La fuga c´è ma i numeri non ci sono. Ho ricevuto una mail che mi invita a partecipare al primo Exit Facebook Day: il 31 maggio, tra dieci giorni. Ma gli stessi organizzatori riconoscono ironicamente di essere neppure lo 0,001 per cento degli iscritti. Che ormai viaggiano verso il mezzo miliardo».
Facebook for ever?
«Forse solo la saturazione del mercato potrebbe provocare uno stop. O una restrizione sulla privacy per legge. Ma la storia ci insegna due cose. Che tramontato un social network ne spunta un altro. E che Facebook ha dimostrato un´incredibile capacità di rigenerarsi».
Oggi per esempio è lo stesso fondatore, Mark Zuckerberg, che dice a Time di avere innalzato i livelli di privacy. E qui torniamo a Ulisse e le sirene. Sappiamo tutti i rischi, eppure siamo tutti sui social network. Perché?
«Ci sono almeno due risposte. La prima è economica: non avere un profilo su Facebook oggi è come non avere il cellulare, ti taglia fuori dalla società, quindi il costo della privacy è cresciuto, sì, ma ripagato dall´opportunità. La seconda è psicologica: gli scienziati parlano di foot on the door, piede nella porta, ed è quel meccanismo per cui quando oltrepassi una soglia lo fai a poco poco, e così anche il cedimento sulla privacy avviene gradualmente, prima mi fido della mail, poi dei pagamenti online, poi faccio tutto con l´iPhone e finisce che in breve tutta la mia vita senza che me ne sia accorto è finita online, col social network in testa».
Un signore, Clark Harris, proprio questo mese ha lanciato uno strano esperimento: trenta giorni di comunicazione solo su Facebook e Twitter. Non uno scambio verbale, neppure con la moglie, e in fondo uno può trovarci anche dei vantaggi...
«C´è poco da meravigliarsi: certo che è possibile. Dovremmo anzi stupirci del contrario: perché tra quarant´anni rischiamo di comunicare quasi tutti così».
ANGELO AQUARO, la Repubblica 21/5/2010

LE GUERRE DEL SOCIAL NETWORK - in guerra con sé stessa, con gli utenti agitati dall´invasione massiccia e crescente della loro privacy, con qualche governo suscettibile, come quello pachistano che ora l´ha bloccata per le immancabili «vignette blasfeme» contro il Profeta, con l´universo dei tecchies, dei grandi smanettatori di Internet sui loro blog frementi e ora pure con Hollywood, che sta finendo di produrre il primo kolossal di denuncia e di critica su Facebook: si chiamerà appunto Social Network, ma senza lieto fine. Dal "grande amico di tastiera", qual era ancora cinque anni or sono quando partì il boom, rischia di trasformarsi nella nuova edizione del Big Brother orwelliano.
Il clima giocoso e innocente da scampagnata su banda larga e da riunione fra i diplomati del liceo classe 1990 sta lentamente intossicandosi in un´atmosfera di sospetto reciproco e collettivo, nel dubbio che quell´entusiastica cessione dei particolari privati della propria vita sia il cavallo di Troia attraverso il quale gli "apostoli" della rete sociale invadano l´esistenza dei cosiddetti "amici" per venderli al miglior offerente. Non amici, ma merce di scambio. Facebook, dietro la faccia, è un´impresa commerciale a fini di lucro, di molto lucro, che ha già attirato sostanziosi investimenti anche dai russi, che hanno pagato 200 milioni di dollari per acquistare l´1,9 per cento della società, dopo che Microsoft, il "grande fratello" dei computer d´altri tempi, aveva già staccato un assegno per 240 milioni. Le stime di reddito per l´anno in corso, ancora anno "di crisi", arrivano a un miliardo e mezzo di dollari, mentre il valore complessivo di mercato, quando nel 2011 Zuckerberg la dovrebbe portare a Wall Street, arrivano al totale siderale di 15 miliardi.
Se si leggono gli articoli sui grandi media di carta, anche facendo la tara all´invidia che le testate tradizionali boccheggiati provano per questi nuove onnivore creature, come il New York Times e il Wall Street Journal, ma anche su blog e sulle riviste specializzate nelle nuove tecnologie come PCWorld o sul sito Cnet, si ha l´impressione che Zuckerberg, lo studente di Harvard che inventò il concetto del social network per spezzare la noia mortifera e la solitudine dei dormitori universitari si stia "morfizzando" nella reincarnazione del grande nemico degli anni ”80 e ”90, Bill Gates. Personaggio non gradevolissimo, e lontano le mille miglia dalla astuta mistica "zen" di Steve Jobs o dalla leggenda di Brin e Page, i due studenti che crearono Google, Zuckerberg è descritto nella biografia non autorizzata e invano aggredita dagli apostoli di Facebook, che ha formato il copione del film in produzione, come un avido, egocentrico, insaziabile affarista teso a sfruttare fino all´ultimo dettaglio il successo della sua creature. Un profilo che si potrebbe facilmente applicare a dozzine di Ceo, di presidenti proprietari di molte aziende di successo, non noti per il loro fraterno ecumenismo. Il motto americano secondo il quale «nice guys finish last», le persone gentili arrivano ultime, non è mai passato di moda.
Ma ai frequentatori e ai fedeli, poco importa, o importava, se il patron della loro chiesa fosse un egolatra antipatico o un piacevole mattacchione. Interessava che Facebook offrisse, al più oscuro adolescente foruncoloso in una roulotte nel Nebraska ai leader politici come Hillary Clinton o Silvio Berlusconi approdato anche lui - almeno in nome - sul libro delle facce, la vertigine della comunicazione e del rapporto con il resto del mondo fisicamente irraggiungibile. Molti, se non tutti, erano disposti a pagare il prezzo di questa rottura dall´assedio dell´isolamento o dalla fatica della comunicazione tradizionale, con quale cessione di riservatezza, sedotti dall´ovvio elemento di esibizionismo e di protagonismo (le migliaia di "amici" che mi cercano) che offriva. Ma è il prezzo che comincia a diventare troppo alto. A pretendere una resa sempre più totale della propria identità, della propria vita, della propria privacy e in un mondo impalpabile, come Internet, ma dotato di una memoria totale.
Nulla sarà mai davvero dimenticato o cancellato, in Rete, non la spiritosa foto dell´orgetta per l´addio al celibato, non la frase audace diretta all´amico di banda larga in India o a Malta.
 nato anche l´inevitabile acronimo, vizio americano, il TMI, che sta per «Too Much Information» e su questo eccesso è scoppiata la guerra di Facebook. Pretende troppi dettagli, troppe notizie private, troppe informazioni in cambio della vertigine dell´"amicizia" e della "comunicazione", ha scritto uno dei quotidiani che vegliano sul mondo di chips e bytes, il californiano San Josè Mercury. Troppo ficcanaso questo libro dei volti, dove la sonda scava sempre più in profondità nell´iscritto per mettere sempre meglio a fuoco il cliente, le sue abitudini, i suoi gusti e dunque venderlo a un maggior profitto ai commercianti che vogliono mirare con precisione il proprio messaggio, anzichè buttarlo a pioggia. Facebook è un "work in progress", un meccanismo, un programma che evolve ogni giorno e che fa dei propri "amici" di fatto le cavie sulle quali sperimentare i continui cambiamenti, per vedere quali funzionino e quali vadano abbandonati. Tutti sono insieme partecipanti e porcellini d´India, nel più grande laboratorio del mondo.
Quando ha introdotto in questi giorni un nuovo gimmick, chiamato «personalizzazione istantanea» al momento di iscriversi, organizzazioni politicamente influenti come MoveOn, che tanta parte ebbe nel mobilitare gli elettori per Obama nel 2008, e singoli commentatori da Silicon Valley sono scattati in piedi, accusandola di «subdolo attacco alla privacy», dietro le carinerie superficiali e le vanità dei fedeli. La controffensiva di Facebook, dopo alcune repliche stizzite e molto nel carattere del fondatore a chi osava criticare il nuovo Moloch di Internet, si è manifestata nella promessa di rendere più facile la difesa della privacy per gli iscritti e nello sfornare una nuova, gigantesca edizione della propria «politica della riservatezza», che ha raggiunto quest´anno le 5830 parole, 23 pagine, più della Costituzione americana. Promesse abbondano, ora, perchè l´armata di Zuckerberg ha paura, sa che questa di passare dal campo dei "buoni", a quello dei "cattivi" è una minaccia seria per la propria chiesa.
Ad ascoltare i portavoce e gli addetti alle pubbliche relazioni di Facebook, che sono moltissimi, forse in proporzione diretta agli attacchi, questa "guerra" è una pura invenzione dei media e del bloggers e degli invidiosi, alla ricerca di qualche incrinatura nella corazza e certamente i casi shock come quelli dell´insegnante inglese Emma Jones, suicida dopo avere scoperto vecchie foto di lei completamente nuda messe in rete dall´ex fidanzato, sono tragedie rare e troppo aneddottiche per tirarne generalizzazioni. Ma il conflitto fra la caccia a sempre maggiori informazioni personali da sfruttare commercialmente e il timore di denudare la propria anima, prima ancora che il proprio corpo, davanti a un miliardi di occhi è inevitabile. Sono nati già almeno tre siti che offrono programmi semplici per limitare l´invadenza di Facebook, ma il vero motore che muove questo nuovo impero sarà difficile da bloccare, perché non è l´ingordigia di Mark o l´invadenza del Grande Fratelli. Sono coloro che si offrono al rischio e misurano il proprio valore dal numero di "amici" che riescono a reclutare. E non esiste un programma di computer che possa proteggere gli uomini da loro stessi.
VITTORIO ZUCCONI, la Repubblica 21/5/2010