Corinna De Cesare, Corriere della Sera 21/5/2010; Maria Teresa Veneziani Corriere della Sera 21/5/2010; Francesca Bonazzoli, Corriere della Sera 21/5/2010., 21 maggio 2010
Oro. Il nuovo splendore (3 articoli) – Affari d’oro. John Paulson, il finanziere che anticipò il crollo delle Borse riuscendo in piena crisi a realizzare venti miliardi di dollari in profitti, ha scommesso sulle miniere e i lingotti
Oro. Il nuovo splendore (3 articoli) – Affari d’oro. John Paulson, il finanziere che anticipò il crollo delle Borse riuscendo in piena crisi a realizzare venti miliardi di dollari in profitti, ha scommesso sulle miniere e i lingotti. Il tempo gli ha dato ragione. Il prezzo dell’oro continua a salire indipendentemente dal dollaro e negli ultimi giorni è arrivato a sfiorare anche 33 euro al grammo (1.248,95 dollari per oncia). Il momento è storico: l’incertezza del futuro e i rischi dell’inflazione portano dritti dritti al metallo giallo. l’effetto bene rifugio, in qualsiasi parte del mondo. La Cina in sei anni ha raddoppiato le sue riserve auree, e l’India lo scorso novembre ne ha comprate 200 tonnellate (6,7 miliardi di dollari) dal Fondo monetario internazionale. «Con la crisi – spiega Marcus Grubb, managing director investment del World Gold Council – gli investitori cercano di difendere la propria ricchezza. Ecco perché si compra sempre più oro, l’abilità del lingotto di mitigare i rischi, ha portato ad aumentarne la domanda». Ma quali sono le conseguenze nel mercato retail? E soprattutto che momento è per il settore orafo? Il nostro Paese, primo esportatore al mondo di oro, ha visto scendere il fatturato del comparto del 16,5% nel 2009, a quota cinque miliardi e mezzo di euro. E i distretti di Alessandria, Arezzo e Vicenza hanno visto calare pia n piano l’export fino ad arrivare a un -23,1%. Sperimentando un nuovo crollo negli Stati Uniti (-28,5%) e nel Regno Unito (-30,4%). «Non è facile – ammette Giuseppe Rajola, presidente del consiglio di amministrazione dell’omonima azienda familiare di Torre del Greco, specializzata nella lavorazione di pietre e corallo – in passato l’euro forte ci ha penalizzati e nell’area dollaro abbiamo praticamente smesso di vendere. In Spagna e in Grecia, le zone più colpite dalla crisi, avevamo una rete capillare di distribuzione. E ora dobbiamo combattere pure la concorrenza dei cinesi di Taiwan». Si apre su questo sfondo la 63esima edizione di Vicenza Oro Charm, la mostra internazionale che dal 22 al 26 maggio riunirà gli storici distretti orafi italiani e gli operatori di tutto il mondo. Circa 1400 aziende con delegazioni commerciali provenienti da ventisei Paesi diversi, si incontreranno tra i padiglioni di Fiera Vicenza. Già da oggi invece con Vicenza Oro About J, si darà il via agli incontri tra i 140 buyer e le eccellenze della gioielleria. « Il mercato dell’oreficeria è in difficoltà da diverso tempo – spiega Roberto Ditri, presidente di Fiera Vicenza – l’aumento del prezzo dell’oro per noi è solo un dettaglio. Con questa manifestazione vogliamo dare un’iniezione di fiducia a tutto il settore, metteremo a disposizione una serie di supporti per portare il Made in Italy nel mondo. I segnali di ripresa ci sono, cercheremo di aiutare l’oreficeria a coglierli, sfidando la concorrenza » . Come quella della Cina, sempre più esperta nella manifattura e sempre più a «caccia» di oro. C’è chi sostiene che la domanda di lingotti del dragone possa addirittura raddoppiare nei prossimi dieci anni. E del resto basta guardare la richiesta globale di metallo giallo per capire qualcosa di più: la quota cinese è passata dal 5% del 2002 all’11% del 2009. Nel mercato al dettaglio però l’Italia continua ad esportare verso Pechino e dopo una flessione dell’export nel 2008 del 10%, siamo tornati a crescere a ritmi sostenuti (+23,7% l’esportazione in Cina nel 2009). Ci segue a ruota nelle esportazioni l’India, maggior «consumatore» di oro al mondo, che nel mese di febbraio ha continuato la sua corsa all’export registrato un aumento del 37,5% a quota 713,52 milioni di dollari. Che ne sarà invece della corsa dell’oro? «Il lingotto è il miglior investimento del decennio – commenta Maurizio Milano, responsabile analisi tecnica del Gruppo Banca Sella e vice presidente IFTA (International Federation of Technical Analysts) – ma anche se non emergono segnali di esaurimento del trend rialzista di più lungo periodo, nell’immediato le quotazioni del metallo giallo potrebbero iniziare un movimento correttivo. Incorporando così il forte rialzo del dollaro e il permanere di un quadro decisamente deflazionistico. A meno di precipitazioni della crisi nell’area euro, non si vedono ragioni perché la corsa dell’oro debba ancora proseguire nelle prossime settimane» (Corinna De Cesare). ***** Lusso «democratico». E il gioiello ibrido seduce anche l’uomo – Michelle Obama, simbolo del lusso democratico contemporaneo. Grace Kelly, immagine del bon ton aristocratico, modello dell’alta gioielleria vintage. Madonna la dissacrazione delle regole nel modo di portare il gioiello. Sono le tre icone di riferimento della fiera Vicenzaoro che, con le 1.400 aziende presenti, indica i trend in fatto di oreficeria, gioielleria, argenteria e orologi. Il mercato non si può concedere errori e così la fiera di Vicenza da tre anni sponsorizza una ricerca che scova le tendenze. Osservatrice delle abitudini dei consumatori è Paola De Luca, direttore creativo e co-fondatrice di TJF Group chiamata ad anticipare i dati del Trendbook, la guida mondiale di previsione su moda e gioielli che la sua azienda mette a punto ogni anno. Romana, 40enne, De Luca ha alle spalle una ventennale esperienza da designer di gioielli per nomi come Fendi e Giorgio Armani. Come è cambiato il gioiello? «Si è democratizzato – spiega ”. Il settore della gioielleria per lungo tempo conservativo, da circa un decennio si è aperto alla moda. Il gioiello si è emancipato dal valore intrinseco della materia per diventare accessorio moda, legato a un brand e a uno stile di vita». I cambiamenti sociali condizionano il gusto e quindi i consumi. «L’austerity ha dato vita all’ibrido, qualcosa di nuovo che in gioielleria si ottiene miscelando materiali alternativi, la pelle o la stoffa con l’oro e i diamanti. Dal nuovo sentimento ecologista nasce poi tutto il filone del riciclo, del riuso dei gioielli del passato’ continua la designer-cacciatrice di tendenze – con i giovani designer che rimanipolano o reinterpretano i gioielli déco, lo stile sfarzoso ed opulento che esaltava al massimo la femminilità, tra gli Anni 30 e 40. Gioie tondeggianti e appariscenti, oggi rilanciate anche dalla moda burlesque e dal film Tournée di Mathieu Amalric, che fanno grande sfoggio di bachelite, un plexiglass lussuoso, in tutti i colori». La recessione fa tornare l’oro bene rifugio. «Il lingottino, oggetto di moda per Dior, è andato a ruba sul mercato cinese mentre in Occidente il gioiello di altissima gamma diventa da collezione, come un oggetto d’arte». Intanto il web globalizza i gusti. «I designer emergenti catturano gli stili più informali dalla strada e danno del filo da torcere ai marchi consolidati, che devono ripensarsi», nota Paola De Luca. «I gioielli dei giovani del web sono rubati dal mondo di Alice di Lewis Carroll. Farfalle, scarabei, libellule, ma anche oggetti di design e colori smaltati sul metallo. La generazione Kidult (adolescenti per sempre) ama giocare con il gioiello che diventa qualcosa d’altro. Si compra la base e si completa, con i charmes, per farne ora una collana, ora un portachiavi. L’evoluzione è l’oggetto tecnologico multifunzione, che ha portato Swarovski a siglare un accordo con Philips per una linea di prodotti high-tech, dall’orologio alla chiave Usb». Fino ai 45 anni l’uomo non ha più tabù in fatto di gioielli e infatti il mercato maschile cresce. «Gemelli d’oro, d’argento, metallo, bracciali, cordino con diamanti pendenti bianchi e neri, e l’orecchino. Non più uno solo, ma due», osserva De Luca. «Per le giovani donne i gioielli di tendenza sono le microcatene soffici che vestono come un foulard e le "Chanel" collane di perle multifilo». Il nuovo bon ton del gioiello? «Madonna e Lady Gaga sono esempi di kitsch diventati stile. Il bon ton del gioiello è nel buon gusto di chi lo indossa. Nel dubbio, vale la regola di Michelle Obama "Less is more", non importa quanti ne hai ma come li porti. Mai la parure, ma un oggetto bello, importante. Scegliete collana o anello che non devono mai offuscarsi l’un l’altro». Il gioiello è sexy? «Ispirazione per creatori e consumatori restano le donne Gustav Klimt, ingioiellate con grande sensualità» (Maria Teresa Veneziani). ***** Sulla tela l’ambiguo scintillio del potere ” Nella storia dell’arte i gioielli giocano una parte ambigua: da una parte sono segno di potere, prestigio e ricchezza; dall’altra sono simbolo della transitorietà dei beni terreni, in opposizione alle virtù spirituali ed eterne. In questa accezione moraleggiante compaiono, per esempio, tra gli ornamenti dell’Amore profano (e di Venere); come attributo della Vanità; e nelle composizioni di nature morte dette Vanitas, assieme a fiori, orologi, clessidre e teschi. Così, se in un quadro vediamo una donna con dei gioielli abbandonati ai suoi piedi, questa altri non è che Maria Maddalena pentita di aver seguito le lusinghe mondane; ma allo stesso tempo, fino al Quattrocento, si poteva vedere anche la Vergine Maria rappresentata come una principessa, adorna di corona e monili preziosi, secondo il gusto del gotico internazionale. Dipingere gioielli, in ogni caso, non è facile: se lo si fa, è per esaltarne la bellezza, la luce e la fattura fine e dunque bisogna essere dei virtuosi del pennello, come erano i fiamminghi del Seicento, per esempio Pieter Claesz, detti anche «pittori fini», mentre l’arte moderna, che al contrario non ama il dettaglio, la rifinitura e la precisione della verosimiglianza, non se ne è lasciata troppo sedurre. Anche Klimt, che adorava il colore dell’oro, li dipinse poche volte e sempre con la foggia di pesanti collari o bracciali, che ricordano la struttura massiccia della corona ferrea. Sono state piuttosto le perle a riscuotere la generale preferenza dei pittori moderni. I maggiori esempi di gioielli d’oro si trovano pertanto nell’arte antica abbinati alle effigi dei sovrani. E infatti si può quasi affermare che sono dipinti più spesso sugli uomini che sulle donne, cui fino al Settecento si addiceva la modestia nell’apparire e il decoro nel vestire. Prendiamo per esempio i ritratti dei sovrani di Spagna, che fra Cinquecento e Seicento, il Siglo de oro, erano i più ricchi e potenti del mondo: le donne sono dipinte o con abiti magnifici o con vesti da suora come la regina Marianna in lutto. Esibiscono gioielli solo nei ritratti di grande ufficialità, come quello dell’infanta Isabella Clara Eugenia dipinto da Sofonisba Anguissola. Qui la principessa, vestita di nero, colore che l’austerità della corte di Spagna aveva eletto a sinonimo dell’eleganza, fra il collare e la cintura d’oro tempestata di diamanti, perle e pietre preziose, sfoggia anche un «gioiello di devozione», ovvero una spilla in oro che riproduce in miniatura la statua di un santo francescano conservata nel convento madrileno de Las Descalzas Reales cui Isabella Clara Eugenia si affiliò come terziaria dopo la morte del marito Alberto d’Austria. I re e i principi di Spagna mostravano più spesso lo sfarzo dei loro gioielli, primo fra tutti il Toson d’oro, decorazione di uno dei più prestigiosi ordini al mondo istituito nel 1430 da Filippo III di Borgogna e portato al collo da tutti i reali di Spagna, appeso a un nastro di seta rossa. L’onorificenza/gioiello rappresenta la pelle (il tosone) di un ariete e allude al vello d’oro della mitologia. Ma gli uomini sfoggiavano anche impugnature delle armi da parata elaborate come gioielli per non dire dell’oro che impreziosiva le decorazioni a sbalzo di elmi, scudi, armature e tessuti. Fra le pagine de «La princesse de Clèves» scritto nel Seicento da Madame de La Fayette, l’amie-amoureuse di La Rochefoucauld, si legge questa descrizione degli abiti che si scambiarono in dono Francesco I e Enrico VIII: «Quello che il defunto re mandò al re d’Inghilterra era di raso cremisi, ricamato con pietre e diamanti, ed il mantello era di velluto bianco ricamato d’oro». L’uso di abiti tessuti con fili di seta intrecciati a fili d’oro era un’esibizione di lusso ancora maggiore di quella dei gioielli perché gli abiti erano destinati a essere distrutti dal tempo e dagli insetti. Il ritratto che Rubens fa a Maria Serra Pallavicino, assisa come un idolo in un’ampia veste tessuta e ricamata con l’oro, è una dichiarazione, quasi intimidatoria, dell’enorme ricchezza dei banchieri genovesi che prestavano i soldi al re di Spagna. Ma è nel Settecento, il secolo dell’eccesso decorativo, che i gioielli vengono esibiti in gran copia da uomini e donne, quasi in strati molteplici, come fossero abiti. Se nel Seicento una gran dama come la regina di Svezia veniva ritratta da Voet con un semplice girocollo di pietre preziose terminante in un perla a goccia, nel secolo dei Lumi è un profluvio di pizzi e catene d’oro, fiocchi e spille che coprono parrucche, dita, collo, busto, insomma ogni parte del corpo disponibile fino a un eccesso stucchevole. però solo ai nostri giorni che un artista è riuscito a far coincidere l’opera di gioielleria con l’opera d’arte stessa chiudendo così il cerchio dell’opposto significato simbolico che hanno avuto i gioielli nella storia dell’arte: con il suo «For the Love of God», un teschio tempestato di diamanti, Damien Hirst porta all’estrema sintesi simbolica prestigio e vanitas. «Questo teschio prezioso – ha spiegato l’autore stesso – dimostra che non viviamo per sempre, ma esprime anche un sentimento di vittoria sulla morte» (Francesca Bonazzoli).