Mario Deaglio, La Stampa, 20/5/2010, 20 maggio 2010
La prova di forza di Berlino - Tutti si aspettavano che sulle vicende dell’euro l’Europa, prima o poi, avrebbe battuto un colpo
La prova di forza di Berlino - Tutti si aspettavano che sulle vicende dell’euro l’Europa, prima o poi, avrebbe battuto un colpo. Il colpo invece l’ha battuto la Germania da sola, dopo mesi di indecisione, evitando così di rinchiudersi in se stessa e rivendicando chiaramente la leadership in campo monetario e finanziario. Il colpo battuto dai tedeschi ha assunto la forma di un secco divieto alla vendita allo scoperto, «nuda», di titoli di Stato della zona euro, ossia la forma più aggressiva di speculazione che ha perseguitato e sta ancora perseguitando i Paesi europei e soprattutto i loro debiti pubblici; lo stesso divieto si applica alle azioni di alcune tra le principali banche e istituzioni finanziarie tedesche. Al di là della sostanza, sulla cui efficacia di lungo termine qualche dubbio è lecito, impressiona la forma: la Germania ha agito da sola, seguendo una falsariga approssimativamente concordata nei giorni scorsi con gli altri Paesi della zona euro, ma senza informarli preventivamente e si prepara ad accompagnare questa misura concreta con la proposta di altri otto «punti» che venerdì il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble sottoporrà al Consiglio dei ministri economici e finanziari. Si tratta di una serie di misure punitive per gli Stati con i deficit o i debiti troppo elevati, analoghe a quelle che si applicano alle imprese in stato fallimentare, che comprendono la sospensione del diritto di voto in vari organi dell’Unione Europea. Per conseguenza il quadro istituzionale dell’Unione Europea potrebbe rapidamente cambiare e soprattutto l’intesa di fondo tra Germania e Francia, finora asse portante della costruzione economica e politica europea, potrebbe subire importanti modificazioni. I francesi, in particolare il ministro delle Finanze Christine Lagarde, non hanno nascosto la loro irritazione per non essere stati consultati; né i mercati la loro costernazione per essere stati «bacchettati». Le Borse europee sono scese di 2-3 punti percentuali e quelle americane hanno mostrato ribassi di dimensioni più ridotte ma il cambio dell’euro si è stabilizzato recuperando in maniera abbastanza sensibile. Può darsi che i tedeschi abbiano agito «per disperazione», come ha scritto qualche commentatore, ma l’importante è che la gravità della situazione abbia indotto qualcuno ad agire (e non poteva che essere la Germania, date le sue dimensioni economico-finanziarie) e che sia stata interrotta la serie degli inconcludenti balletti di Bruxelles e dei comunicati fatti di buone parole senza vera sostanza. L’allegro mondo della speculazione senza rete ha trovato un limite istituzionale che potrebbe essere il primo di una serie di «paletti» destinati a trasformare radicalmente i giochi mondiali della finanza e a reintrodurre, o comunque rafforzare, il controllo pubblico. Le misure di contenimento dei deficit pubblici, che pressoché tutti i governi stanno mettendo a punto in gran fretta per fronteggiare la situazione, assumono così una diversa prospettiva: non si tratta più di fatti nazionali ma di un insieme di misure di emergenza che lentamente si compongono in un disegno europeo, il che dovrebbe renderle più accettabili a un’opinione pubblica che sicuramente non li ama, come dimostrano le resistenze politico-sociali manifestatesi in questi giorni nei Paesi per i quali la cura è particolarmente drastica, come la Grecia e la Spagna. Non si tratta tanto di difendere un determinato cambio dell’euro (l’attuale diminuzione fa balenare un pericolo inflazionistico non trascurabile ma introduce anche uno stimolo produttivo in quanto rende le merci europee più competitive nei confronti di quelle asiatiche o americane) ma piuttosto di evitarne la volatilità e di impedire che diventi una sorta di giocattolo in mani altrui. In questo quadro, la «cura italiana» delineata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non appare particolarmente drastica (del resto la situazione debitoria italiana, pur grave, non è allarmante) ed appare rivolta alle aree grigie, o addirittura nere, dell’economia e della società. Tremonti intende incidere su forme di evasione legate a consumi vistosi, e su sprechi pubblici che suonano insultanti per il normale cittadino, dal costo della politica ai falsi invalidi. Appare ingeneroso uno scetticismo preconcetto anche perché nella lotta all’evasione in questi due anni il ministro dell’Economia qualche risultato significativo l’ha portato a casa. Certo incontrerà difficoltà parlamentari, in quanto gli interessi delle aree grigie e nere sono trasversali e non sono estranei ad alcun partito, compreso il suo. E il presidente del Consiglio, che fino a non molto tempo fa negava l’esistenza della crisi o ne minimizzava la portata, si trova in condizioni sensibilmente migliori dei suoi colleghi greco e spagnolo: pur non potendo ridurre le imposte, come gli sarebbe piaciuto, non è costretto ad alzarle. Ma di certo appare del tutto tramontata, dall’Europa oltre che dall’Italia, quell’atmosfera di consumismo ottimista e sorridente che è stato a lungo il sottofondo di gran parte dell’azione di governo e uno degli aspetti più evidenti del berlusconismo. mario.deaglio@unito.it Stampa Articolo