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 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

L’ULTIMA DI SANGUINETI «DETESTO OBAMA»

Ho intervistato Edoardo Sanguineti mercoledì scorso a casa del critico letterario Filippo Bettini, che lo ha ospitato a Roma in occasione de Festival Mediterranea per un concerto a lui dedicato. L’intervista è durata circa due ore. Quando è entrato in casa di Bettini, ho notato che Sanguineti camminava a fatica, muovendosi lentamente con le stampelle. Però, era sorridente. Mi ha parlato del suo problema alla carotide ma non era affatto demoralizzato da questo problema, anzi.
Mi dica qualcosa del suo rapporto con il Pci.
Cominciai a ricevere una prima proposta nel ”68. Mi chiesero se volevo aderire, perché avevano libero un posto di senatore, ma non avevo l’età, ero troppo giovane. I posti alla Camera, invece, erano già stati definiti. Io però mi misi a disposizione per i comizi. Il primo lo feci con Pajetta, a Torino, e si andò in una zona torinese rossissima. Quando Pajetta seppe che avrei fatto il comizio insieme a lui era tutt’altro che lieto. Aveva l’aria afflitta di chi dice «cosa mi è capitato; questo scrive versi, fa il professore, dio sa cosa viene a dire». Pajetta scriveva appunti su grandi fogli, e poi parlava a braccio. Si voltò e mi disse: «Senti, parli prima tu o parlo prima io?» Io gli risposi che per me era uguale. Lui disse che andava bene. Poi mi chiese: «Quanto tempo vuoi parlare?». E io risposi che doveva deciderlo lui. E Pajetta mi disse: «Ti vanno bene tre minuti?». Accettai senza controbattere. E allora attacco io, e parlo per i fatidici tre minuti, e Pajetta ascoltava con attenzione, senza dare segni di scontentezza o di approvazione. Dopo di me prende la parola lui, «come ha detto bene il compagno Sanguineti», e così fui promosso sul campo. Da allora ho fatto comizi dappertutto. Nel ”68 andai a Salerno, ma ogni anno, ovunque mi trovassi, facevo tre o quattro comizi al giorno durante le elezioni.
Un ricordo elettorale di Salerno ce l’ha?
Sì. Il comizio più bello fu quello con Alfonso Gatto negli anni ”70. Eravamo sul palco io e lui e fu molto bello, ma subito dopo lui morì tragicamente. Gatto l’avevo sentito leggere a Torino quando ero ragazzino, leggeva pieno di pathos, spiccavano i suoi occhi verdi.
Tra lei e Gatto non si sa chi fumasse di più.
Gatto fumava come una bestia.
Ma neanche lei scherzava.
Sì, ho sempre fumato tantissimo. Passavo i compiti ai compagni di classe e loro si sdebitavano con le sigarette. Ho smesso da parecchi anni, ma tutti dicono che è troppo tardi. Ho sempre fumato tre pacchetti al giorno. Mio padre non fumava, però memore di quando fumava da giovane, non mi disse nulla, e mi metteva le sigarette ben esposte per farmele trovare.
Come fu accolto all’Università di Salerno?
A Salerno fui a partire dal ”68. Ho fatto il ”68 due volte: una volta a Torino, e una volta a Salerno. E giù venne un giovane che mi accoglieva ufficialmente da parte del Partito, uno che poi passò con i socialisti, che fecero man bassa di intellettuali. Il Rettore era lo storico Gabriele De Rosa, democristiano. Quando arrivai mi dissero che era meglio mi presentassi al Rettore. Per noi il Rettore era una figura magica e irraggiungibile. Telefonai all’ufficio rettorale e mi presentai. Mi rispose De Rosa in persona e mi disse: «Ciao Edoardo, vieni, vieni subito a trovarmi». Diventammo molto amici, era molto bravo. Sono rimasto all’Università per cinque anni.
Torniamo agli anni del suo impegno in Parlamento.
Feci parte della commissione degli Interni. Ricordo che si fece la riforma della Polizia: la Polizia fu smilitarizzata e si aprirono i sindacati autonomi. Tutte cose molto importanti.
E Leonardo Sciascia se lo ricorda? Era in Parlamento proprio in quegli anni lì.
Sì, Sciascia era già in Parlamento, ma avevamo rapporti pessimi, a stento ci salutavamo, perché avevo litigato con lui quando si era dimesso dal Comune di Palermo. Feci un articolo contro di lui violentissimo. Cosa credeva Sciascia, che arrivando in Comune lo scrittore tutti avrebbero detto «stiamo in silenzio, adesso parla lo scrittore»? Diceva che era noioso stare nelle istituzioni. E cosa si aspettava? Io invece lavoravo moltissimo, ero fra i pochi a mangiare in Parlamento. Solo qualche volta si andava da qualche compagna che offriva un po’ di vino e si chiacchierava tra amici.
Cosa imparò in Parlamento?
La cosa importante di quegli anni fu la commissione presieduta dalla Anselmi sulla P2. Io non ci partecipavo ma ebbi un’opinione straordinaria di lei. Gelli era la chiave di volta per capire tante cose.
E di Berlinguer che ricordi ha?
Ottimi. Lo ricordo in una fase molto difficile, quando fece il famoso discorso sulla fine della spinta propulsiva del comunismo sovietico. Era l’unico che potesse dirlo senza essere accusato di essere uno mascalzone.
Lei invece a Mosca si sentiva a casa?
A Mosca andai molto presto. Ci sono stato molte volte. Smisi invece di andarci quando arrivò Gorbaciov. Avevo una pessima opinione di Gorbaciov.
Perché?
Per una serie di ragioni. Intanto l’obiettivo delle sue riforme era inconsistente. Ricordo che con la moglie andavano dal Papa, andavano a comperare toilettes eleganti. Certo, l’Urss non avrebbe resistito molto, perché era soffocata dalla situazione economica, ma lui ebbe tutto il destino che meritava la sua imprevidenza.
E il comunismo cinese?
Nei primi viaggi che facevo ero molto filocinese. Mao mi prese molto, anche se non partecipai mai a un movimento filocinese. Rimasi molto colpito dalla rivoluzione culturale. A me capitò anche di essere a Pechino nell’anno di Tien An Men. Capii che stava succedendo una rivoluzione molto profonda. E che sarebbe nata la Cina di oggi. C’erano statue dedicate agli americani, a gente di Taiwan. Secondo me quei giovani erano manipolati dal Partito. Credo però che il programma di Mao di dare un piatto di riso a tutti fosse un miracolo.
So che lei è molto critico nei confronti di Barack Obama.
Io detesto Obama, anzitutto perché ha sbagliato ad accettare il premio Nobel per la pace. Anche perché le intenzioni non erano mica così chiare. Obama ha continuato la politica di Bush, anzi, l’ha peggiorata, perché l’ha ammantata di buoni sentimenti. L’astuzia del capitalismo americano è stata quella di dire ”mettiamo un presidente di colore”. Anche la famosa riforma della sanità è un bluff pazzesco, perché non si è calcolato tutto quello che lui deve alle assicurazioni e alle società farmaceutiche americane. Quella di Obama è una pseudoriforma. Gli americani difendono Taiwan, con la Cina dicono che deve abbassare il cambio della loro moneta e aumentano le tasse sulle importazioni. Ma in questo momento, bisogna dirlo, i cinesi comprano tutto, anche debito pubblico. L’economia mondiale è la Cina.
Sanguineti, come lo immagina il mondo fra cinquant’anni?
Io sono di un ottimismo catastrofico. La catastrofe è imminente. Ho dei dubbi su quanto si possa ancora andare innanzi. Perché il mondo, anche tecnologicamente, ha tutte le armi per spostare i capitali all’istante come vuole, dove vuole, quando vuole, e nessuno sa chi manovra tutte queste cose, forse non lo sa nemmeno chi li manovra. Penso che la catastrofe sia imminente e sicura.