Peppino Caldarola, Il Riformista 19/5/2010, 19 maggio 2010
SE LO STATALE RESTA SENZA PADRINI POLITICI
Sono gli statali i nuovi orfani della politica italiana. una situazione del tutto inedita che spezza un legame di ferro fra il pubblico impiego e alcuni partiti che per decenni ha contrassegnato la vita pubblica e l’attività dei governi. Nella Prima Repubblica era la Dc a detenere l’egemonia sugli impiegati. Ma anche socialdemocratici e socialisti si davano da fare. Molte carriere politiche sono state costruite sul consenso degli statali. Sindacati confederali, soprattutto la Cisl, e sindacati autonomi avevano intere correnti democristiane come punti di riferimento e alcuni leader politici traevano tessere e voti dalla pubblica amministrazione.
Nella Seconda Repubblica non c’è stato l’erede del grande partito trasversale degli statali. La rivoluzione politica ha mutato i criteri della rappresentanza. I partiti sono diventati enormi aggregati elettorali che puntano al voto di opinione trascurando gli interessi organizzati. successo a sinistra con gli operai, è successo a destra e al centro con gli impiegati pubblici. Una rivoluzione silenziosa che si è andata affermando lentamente. Fino a due anni fa la stessa struttura del centrodestra cercava di replicare il mondo andato in frantumi con la crisi dei grandi partiti. All’aggressivo nordismo della Lega si contrapponevano settori della ex Casa delle libertà insediati nei grandi ministeri e nel Sud e soprattutto An e l’Udc di Casini combattevano nella vecchia trincea.
Fini e la sua corte hanno cercato a lungo di allargare quel margine di influenza che anche il vecchio Msi aveva nel pubblico impiego. L’Udc di Casini e Follini, all’epoca a forte trazione siciliana, seguiva a ruota. Gli epici scontro con Tremonti, che nel ”94 costarono al ministro il posto nel governo, avevano al centro il rigorismo del Tesoro che appariva punitivo verso molti ambienti ma soprattutto sui temi dell’impiego pubblico e della sicurezza. Allora vinse Fini e Tremonti fu sostituito dal mite Siniscalco. stata l’ultima vittoria del partito ”romano” che non ha mai più goduto del diritto di replica.
Negli ultimi due anni la destra è cambiata ancora. Il partito del predellino si è trasformato in una formazione plebiscitaria che ha praticamente rinunciato alla rappresentanza tradizionale degli interessi. Se il messaggio mediatico di Berlusconi si è orientato verso i temi della libertà, dell’individualismo, dell’ottimismo, del cattolicesimo conservatore e della lotta all’immigrazione, la pratica di governo ha puntato al popolo dei condoni e della tolleranza fiscale. Sull’altro versante si è fatto sentire prepotente il messaggio nordista della Lega con la sua polemica contro i palazzi romani, il mondo dei privilegi burocratici, il Sud sprecone.
Intanto la vecchia An, ultima roccaforte del mondo del pubblico impiego, che all’inizio dell’avventura del PdL sembrava coriacea e compatta, si spegneva come una vecchia candela. I colonnelli ex missini si trasformavano nella più affollata ”intendenza” del Cavaliere dimenticando vecchi elettori e antiche appartenenze e lobbies politiche. Fini iniziava la sua navigazione solitaria tendente a riformare la destra sul piano politico culturale quasi indifferente al proprio antico insediamento politico. L’altro bacino di voti e di lobbismo dell’impiego pubblico, rappresentato dall’Udc di Casini, si trovava invece d’improvviso sospinto all’opposizione incapace di dare una risposta alle domande dei propri vecchi elettori.
Qui inizia una nuova storia e gli statali iniziano a scoprire che sono politicamente orfani. Una prima avvisaglia, in verità, l’avevano avuta nei primi furenti mesi di Brunetta al ministero. Per la prima volta un ministro armava l’opinione pubblica contro i propri dipendenti senza che nessuno si levasse a difenderli. Il doppio lavoro, la fuga dagli uffici negli orari di servizio, i pensionamenti anticipati, per decenni lungamente tollerati, erano indicati fra gli sprechi più gravi della pubblica amministrazione senza trovare resistenza nelle vecchie lobbies. Negli ultimi mesi la destra riscopriva persino gli operai, soprattutto li scopriva la Lega Nord, ma abbandonava definitivamente gli statali. Uno dei più potenti serbatoi elettorali si accorge di non avere più santi in paradiso e di poter diventare la vittima predestinata della manovra economica post-Grecia.
Come reagiranno gli statali di fronte a questa nuova realtà? La domanda se la stanno ponendo innanzitutto i sindacati ma anche la politica sarà costretta prima o poi a fare i conti con il declassamento del pubblico impiego che si abbatte rovinosamente senza una riforma che ristrutturi l’intera amministrazione. una situazione nuova che non a caso ha fatto rizzare alcune antenne nello stesso centrodestra. D’improvviso il ministro Brunetta ha scoperto i rischi di una manovra punitiva verso gli statali e ha cominciato a sollevare dubbi e a dire dei no alla ricerca di nuovi consensi. Poca cosa rispetto al primo segno di divorzio fra la destra e un’intera categoria sociale. Inizia una stagione in cui si scompongono e si ricompongono interi blocchi elettorali. Chi saprà approfittarne avrà tra le mani la prossima vittoria elettorale.