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 2010  maggio 20 Giovedì calendario

DDL INTERCETTAZIONI

Se un giornale pubblica delle intercettazioni pagherà una multa che sfiora il mezzo milione (464 mila euro), e il giornalista che firma l’articolo, oltre a pagare fino a 20 mila euro, si becca pure due mesi di galera. Questo dice il ddl sulle intercettazioni che è in discussione presso la Commissione Giustizia del Senato. Con una precisazione: il primo di questi provvedimenti (quello sugli editori) è stato votato, il secondo - quello relativo ai giornalisti - è stato «accantonato» fino a lunedì. In un primo momento dal Senato ne avevano annunciato l’approvazione, poi è arrivata la smentita. E subito dopo la seduta notturna che doveva completare le votazioni è stata sconvocata. Qualcuno ha parlato di «giallo». «In verità - commenta il finiano Fabio Granata - sul bavaglio alla stampa c’è l’intenzione di frenare un po’. Credo che la norma non risulti graditissima anche al Quirinale».
La tensione resta alta. «Si tratta di misure di una gravità tale che nemmeno la Spagna franchista era arrivata a tanto», ha commentato il vicecapogruppo del pd Luigi Zanda. E’ dall’altro ieri che la Commissione, presieduta da Filippo Berselli, va avanti a marce forzate, perché la maggioranza ha deciso che la controversa legge debba approdare in aula, per il voto finale il primo giugno.
Va da sé che il clima è infuocato e che se la determinazione della maggioranza è forte, il dissenso dell’opposizione ma anche della Federazione della stampa (il sindacato dei giornalisti) lo è altrettanto. Nello specifico, le norme passate in Commissione, prevedono uno sbarramento a qualunque forma di diffusione del contenuto delle intercettazioni e degli atti giudiziari. La prima minaccia è quella rivolta agli editori - come si diceva - comminando la salatissima multa. Ci sono, invece, pene differenziate per i giornalisti (sempre che la norma venga votata così com’è): se pubblicano un atto giudiziario (cosa già ora proibita per legge) rischiano l’arresto fino a due mesi e una multa da 2 a 10 mila euro. Se, invece, pubblicano intercettazioni, la galera resta sempre quella ma l’esborso raddoppia, da 4 a 20 mila euro, con l’aggravio della sospensione dalla professione.
Si tenta anche di arginare la possibile fuga di atti giudiziari dai palazzi di giustizia, e così c’è anche una norma ribattezzata «anti-talpe»: chiunque riveli notizie che riguardano atti o documenti processuali coperti da segreto, rischia il carcere da 1 a sei anni.
E’ passato anche il cosiddetto «emendamento D’Addario» (con riferimento alla signorina che registrò una privatissima conversazione con il premier): chi registra in sonoro o in video, dice la norma votata, deve farlo con il permesso esplicito delle parti interessate, e questo vale anche per le riprese nelle aule processuali. Con alcune «esimenti», però, e cioè: non verrà condannato chi compirà questo tipo di registrazione per ragioni connesse con la sicurezza dello Stato, oppure se si tratta di un giornalista professionista nell’esercizio del diritto di cronaca (il cosiddetto emendamento «salva-iene»), se vengono realizzate nell’ambito di una controversia giudiziaria o amministrativa. C’è, infine, un occhio di riguardo per Santa Romana Chiesa: se le intercettazioni riguardano un chierico, «il pm invia l’informazione al cardinale segretario di Stato».
Secondo il capogruppo dell’Idv Luigi Li Gotti «questo provvedimento rappresenterà un intervento devastante e un arretramento vistoso nella lotta al crimine. Ma la maggioranza continua a far finta di nulla e prosegue imperterrita nel mantenere fermi i punti chiave del provvedimento». Duro anche il Pd: «La battaglia in aula la faremo tutta - dice Anna Finocchiaro - e comunque vedremo qual è il testo che arriva».