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 2010  maggio 20 Giovedì calendario

IL POTERE DEI MANAGER E LA NUOVA MEDIOBANCA

Dove andrà la nuova Mediobanca presieduta da Renato Pagliaro? Per rispondere bisogna tornare per un momento a sette anni fa, quando Vincenzo Maranghi, mentore di Pagliaro, venne costretto dalle banche azioniste a lasciare la guida della banca di piazzetta Cuccia. Dimettendosi, Maranghi prese atto del processo storico che aveva fatto perdere a Mediobanca il ruolo di Sole del sistema planetario della finanza italiana, ma le condizioni per un ordinato trapasso, che lui dettò e i suoi avversari accettarono, costituiscono la premessa istituzionale della nuova stagione. Tali condizioni si riassumono nella piena autonomia del management quale antidoto ai conflitti d’interesse tra Mediobanca e i suoi soci, bancari e non.
Non era semplice rispettare subito e in toto quell’accordo. La defenestrazione di Maranghi era avvenuta all’insegna dei soci finalmente padroni. Oggi, con Cesare Geronzi alla presidenza di Generali e con il management in tutte le postazioni chiave di Mediobanca, sembra di tornare al passato. Ma il passato non torna.
L’impronta dei maestri rimane e consente, per esempio, la cooptazione meritocratica di una nuova classe dirigente dall’interno, una rarità nelle grandi banche. Ma con il consolidarsi dei colossi privatizzati, la svolta della Fiat, il fiorire di nuovi capitalisti padroni in casa propria, le concentrazioni bancarie, il mondo è cambiato un’altra volta, e la stessa Mediobanca si trova con una compagine azionaria diversa. Tra i soci industriali sono scomparsi gli Agnelli e gli Orlando. Restano Pirelli e Ligresti, che proprio nei mesi scorsi hanno avuto bisogno di ristrutturare i propri debiti. Si consolida il tandem Berlusconi-Doris. Tra i soci bancari italiani sopravvive Unicredit, mentre spuntano le fondazioni. E poi c’è il gruppo francese, guidato da Vincent Bolloré.
 ancora vivo il ricordo di come, nel 2006, i francesi avessero dato informale mandato a un banchiere d’affari milanese di collocare il proprio pacchetto a 20 euro per azione, avendo pagato i titoli 12 euro l’uno. L’ipotetico compratore avrebbe avuto immediatamente il 15% di Mediobanca non sindacato e l’opzione irrevocabile sull’altro 10% alla scadenza del patto dov’era provvisoriamente bloccato. Si racconta di un’offerta a Banca Intesa che tuttavia nega di averla anche solo trattata. Le ultime risultanze assembleari non accreditano ai francesi più di un 3-4% oltre la quota sindacata. Vuol dire che, negli anni buoni, si sono alleggeriti, e che davanti a un’offerta conveniente potrebbero chiudere un affare finora non esaltante.
Rispetto al 2003, insomma, l’azionariato pare meno orientato al potere e più all’investimento. Una trasformazione che dà al management maggiore libertà (basti pensare che ora nel comitato nomine i manager sono saliti da 2 a 3 su 6), ma anche minori coperture. Benché governata da uomini di scuola maranghiana, Mediobanca non può e non vuole tornare ai primi anni 90. Può essere, ritessendo la tela prendendo atto dei rapporti di forza.
Mediobanca ha l’opportunità di orientare non trascurabili risorse, patrimoniali e relazionali, verso lo sviluppo degli affari che è cominciato nel 2003 con l’uso del marchio dell’Ambrogino per accreditare il private banking, il retail on line e l’espansione all’estero. Perno di tali risorse è la partecipazione del 13,2% in Generali.
Per l’Antitrust, da sempre, Mediobanca esercita il controllo di fatto sulla compagnia, e la presenza dei gruppi assicurativi Mediolanum, Premafin-Fonsai e Groupama nel sindacato configura un conflitto d’interessi. Tutto andrebbe a posto, dice il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, con una riduzione secca della quota Generali. Ma in mancanza di fatti nuovi, che possano aprire lo spazio a rimedi pro-concorrenziali, l’Antitrust esprime solo auspici. D’altro canto, la presa burocratica di Mediobanca sul Leone si indebolisce mano a mano che crescono le partecipazioni di Caltagirone, De Agostini, Del Vecchio, Benetton, Fondazione Crt, Ferak, Kellner.
Il fatto nuovo potrebbe manifestarsi se e quando le Generali lanciassero una scalata sull’azionista Mediobanca. L’idea è vecchia, mai praticata. Ma rifiorisce nella finanza parlata - che è un po’ come il calcio d’agosto, più chiacchiere che partite - e viene attribuita a Cesare Geronzi - che l’ha commentata con un «Voi sognate» rivolto ai giornalisti. In effetti, l’operazione incontrerebbe almeno tre difficoltà: a) i conglomerati bancario-assicurativi non hanno avuto fortuna e nel mondo li hanno già smontati; b) Generali dovrebbe riconoscere un premio cospicuo a Mediobanca, diluendo i propri soci nel caso volesse procedere tramite scambio azionario oppure chiedendo loro un aumento di capitale se volesse procedere per cassa; c) l’Antitrust avrebbe l’occasione e, forse, il dovere di prendere provvedimenti perché le compagnie concorrenti entrerebbero direttamente a Trieste così come l’avrebbe nel caso venissero proposte, quali «operazioni di sistema», le acquisizioni di compagnie italiane come Mediolanum e Fonsai.
Sulla partecipazione in Generali grava un’incognita regolatoria. Secondo le proposte di Basilea III, oggetto di consultazione delle parti interessate, il valore di libro di una partecipazione finanziaria, quando superi il 10%, andrebbe dedotto dal patrimonio di vigilanza della banca. Oggi, applicando la direttiva Ue sui conglomerati finanziari, la Banca d’Italia fissa al 20% la stessa soglia quando si tratti di quote di assicurazioni detenute da banche. dunque probabile che la bozza di Basilea venga corretta. Ma alla peggio Mediobanca potrebbe sempre distribuire azioni Generali, comprate con utili non distribuiti, come dividendo fino a scendere al 9,99% e al tempo stesso potrebbe portare a riserva gli utili ordinari così conservando la forza patrimoniale.
Nel momento in cui il sistema eliocentrico finisce, va a esaurirsi anche la logica secondo la quale un reticolo vasto di partecipazioni basterebbe a garantire gli affari a piazzetta Cuccia. Significativo, al riguardo, è l’opinione personale del neopresidente a favore della separatezza tra banca ed editoria. Resta invece decisiva, nella competizione con le banche universali, la capacità di dare consigli validi e soldi in proprio, oltre a organizzare le risorse degli altri.
Massimo Mucchetti