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 2010  maggio 17 Lunedì calendario

BIG «COSI’ CI DIFENDIAMO DALLA SPECULAZIONE»

Che cosa si pensa della guerra delle monete in una multinazionale italiana, e come la si affronta? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Pansa, 48 anni, docente alla Luiss di Roma e condirettore generale di Finmeccanica con delega, fra l’altro, alla finanza. Pansa è un interlocutore interessante non solo perché Finmeccanica fattura 18 miliardi, ma anche perché la difesa, nella quale opera, lavora su contratti pluriennali, che obbligano a guardare oltre il breve termine, regno della speculazione.
L’euro è sotto attacco. Reggerà come moneta?
«Se guardassi solo alla sovrastruttura finanziaria, che ha governato il mondo negli ultimi anni, direi di no…».
Un momento, che cosa è questa sovrastruttura?
« Un insieme fatto da investment banking internazionali, hedge fund, fondi sovrani e dagli investitori istituzionali che li seguono. Questa sovrastruttura ritiene che alcuni paesi non ce la facciano, e scommette contro l’euro. I mercati, si sa, non amano le monete senza un governo, che peraltro criticano non appena interviene a regolarli salvo invocarlo non appena si alza il vento. Ma se guardo alla struttura economica alla base dell’euro e ai 200 anni di storia industriale dei grandi paesi europei, dico che la moneta uni--
ca reggerà».
E allora come vi regolate?
«Poiché ha 73 mila persone e lavora sul lungo termine, Finmeccanica non può farsi impressionare dalle oscillazioni del cambio. Non le perde d’occhio, certo, ma saggezza vuole che ancori, sia pure senza meccanicismi, la propria esposizione alle monete in cui sono denominati i suoi principali investimenti e ai loro flussi di cassa».
Avete debiti lordi per 4,4 miliardi di euro e netti per 3,1. In quali valute?
« Tre miliardi in euro. E poi l’equivalente di un miliardo è in dollari e di poco meno di mezzo in sterline».
Come avete retto il 2009?
« Aumentando la vita media del debito da meno di 4 a 10 anni avendo contratti con scadenza media a 6-7 anni. A fine 2008 eravamo sbilanciati a breve perché dovevamo pagare la Drs Technologies, appena presa in America. Chiusa l’operazione, ci siamo rifinanziati con 6 emissioni di bond a medio e lungo termine e questo alza il costo medio del debito dal 4,7 al 5,5%».
Ma conviene?
«L’interesse dei gruppi manifatturieri non è speculare sui tassi, ma assicurare i flussi di finanziamento a produzione, ricerca e vendite. Se l’Ecofin non avesse trovato l’accordo per salvare la Grecia e noi, per ipotesi, avessimo dovuto rifinanziare un debito in scadenza, avremmo rischiato
anni su Finmeccanica pagavano 334 punti base sull’euribor, il 12 gennaio seguente 180 punti, il primo luglio 49. Eppure, nulla era cambiato perché i gruppi come Finmeccanica cambiano il profilo di rischio molto lentamente, nel bene e nel male».
Cds distorsivi, dunque?
«Sono un vero problema. Determinano, senza un adeguato rapporto con la realtà, i corsi delle obbligazioni già emesse influenzando pesantemente le nuove e gli spread sui prestiti bancari: peggio, assolvono le banche dal dovere di valutare il merito di credito. I Cds non sono l’oracolo».
E le agenzie di rating?
«Nemmeno. Ma quelle, almeno, aggiornano le valutazioni ogni tanto, questi tutti i giorni».
Finanza sotto accusa.
«La finanza crea mercati spessi e liquidi, utili al finanziamento dell’economia reale. Serve quando offre copertura diretta ai rischi produttivi, commerciali e valutari. Tutto il resto è scommessa tra soggetti che usano le attività delle imprese come carte del proprio gioco mescolandole con leve debitorie sproporzionate. Perché mai devono essere coperte dalla legge e garantite dai contribuenti? Per i debiti di gioco non onorati non si va dal giudice. Che cosa sono tante operazioni in derivati se non scommesse, gioco?».
Ma così fermerebbe tutta la finanza, buona e cattiva.
«Infatti. La soluzione equa è obbligare chi scommette sui derivati a depositare in banca il denaro corrispondente. Se non lo ha, non scommette. Chi non ha un serio obiettivo industriale, non giocherà più e staremo tutti meglio».
Intanto, la speculazione sui cambi dilaga. Detto dell’euro, come vede il dollaro?
«Gli Usa devono anch’essi aggiustare l’economia, in particolare la bilancia commerciale e i conti pubblici. Ma rispetto ai paesi di Eurolandia hanno il vantaggio di avere un’autorità politica forte e centralizzata e di battere la principale moneta di riserva senza i vincoli che la Bce per l’euro».
La sterlina?
«Le condizioni finanziarie del Regno Unito sono fragili, ma la sua storia che non conosce onta di fallimenti conserva credibilità alla moneta».
Lei lavora nelle tre principali aree valutarie dell’Occidente. Che cosa le dice l’esperienza?
«Vedo un triangolo: al vertice, il grande creditore, la Cina, alla base, i due grandi debitori, Usa ed Europa. Oggi la Cina investe in dollari ed esporta negli Usa, soprattutto. Ha interesse a un dollaro forte. Ma l’Europa potrebbe emettere bond pubblici in quantità tali che non potrà non avere un rapporto con Pechino e gli altri emergenti ricchi. Si tratta di capire se i due grandi debitori collaboreranno».
Obama e i leader europei sono sempre al telefono…
«In realtà, finora c’è stata soprattutto concorrenza: un errore che indebolisce entrambi nei confronti dei paesi creditori a tutto vantaggio della sovrastruttura finanziaria che, oggi, attacca l’euro, ma domani potrà spostarsi sul dollaro».
Massimo Mucchetti