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 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

NEL NOME DEL PANE

Woody Allen ne fa un elogio in uno dei suoi più recenti film, («Scoop», 2006) mentre è a tavola con un’occhialuta Scarlett Johansson. Luigi Comencini l’ha utilizzato come metafora dell’Italia del dopoguerra («Pane, amore e fantasia», 1953). A Palermo invece è la via siciliana al fast food: con polmone emilza di vitello. Insomma, sullo schermo come nella vita quotidiana, il pane continua ad essere uno dei cibi più amati al mondo.
Si spendono più di 18 miliardi di euro l’anno per comprarlo (312 euro a testa) con un consumo giornaliero di circa cento grammi per persona. Un prodotto alimentare sano, semplice e così apprezzato, da entrare persino nei nostri consueti modi di dire («è buono come il pane»). E tra michetta, coppia ferrarese, rosetta romana, pane di Altamura, il nostro Paese ne conta oltre 400 varietà diverse. Un settore che anche a livello economico fa la sua parte: basti pensare che in Italia, solo nel segmento della panificazione, esistono 25 mila piccole aziende con un indotto di 450 mila lavoratori. Oltre un valore della produzione lorda vendibile che sfiora i tre miliardi di euro.
Le sfide dell’«arte bianca»
Ma non finisce qui. Perché con la crisi alle porte e un prezzo della pagnotta aumentato del 20% al chilogrammo (Istat, da aprile 2005 ad aprile 2010. Punte di incremento del 50% negli ultimi anni secondo il Codacons), c’è chi il pane se lo fa da sé. Grazie ai macchinari che impastano, cuociono e sfornano numeri anche questi di un certo peso: 620 milioni di euro di fatturato del comparto nel 2009. Di questo e molto altro ancora si discuterà al Siab, il Salone internazionale che dal 22 al 26 maggio a Verona (www.siabweb.com), racconterà le nuove tecnologie e le sfide dell’arte bianca. Dai nuovi macchinari al marketing, dalla scoperta delle ricette internazionali alle nuove strategie per il futuro volte a combattere la congiuntura.
Ma com’è cambiato il pane nel corso degli anni? «Il prodotto è sempre lo stesso con alcune particolari varianti – spiega Luca Vecchiato, presidente Fippa, Federazione italiana panificatori ”. Adesso vanno tanto l’avena, l’orzo, i cereali. Ma in generale gli ingredienti per un buon pane sono sempre gli stessi: acqua, farina, sale e lievito». cambiato tutto il resto, con i produttori industriali, la globalizzazione e i forni artigiani trasformati in vere e proprie boutique da happy hour.
«Non c’è più l’ora del pane, come succedeva tanti anni fa – continua Vecchiato ”. Adesso si sforna a tutte le ore e si realizzano anche altri prodotti. Pizza,
A ciclo continuo
dolci, biscotti, tant’è che le nostre botteghe sono ormai mete preferite della pausa pranzo». Come dimostra una ricerca Swg sul consumo dei prodotti da forno: il 32% degli italiani mangerebbe sempre (o spesso) in panificio, con un risparmio atteso di quasi due euro a pasto. Nel 2007 erano appena il 12% e il 52% dichiarava che in un panificio non avrebbe mai voluto mangiare. Insomma le cose stanno cambiando e sicuramente una grande scossa al settore l’ha data la legge Bersani del 2006, che ha liberalizzato tutto il comparto. Dagli orari di produzione alla licenza per aprire un forno (ora non più necessaria). anche così che il pane è diventato multietnico e nelle grandi realtà metropolitane sono arrivate la Pyta e il Kebab, prodotti tipici del Medio Oriente. Insieme ai panificatori stranieri, che in alcune città cominciano ad essere numerosi. A Milano ad esempio, stima Fippa, sono ormai il 15% del totale.
Contro l’obesità e gli sprechi
Ma le novità di prodotto passano anche per vie normative: in linea con una propria raccomandazione del 2003 ad esempio, l’Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito che il consumo giornaliero di sodio non deve superare i 2,4 grammi. arrivato così il pane mezzo sale, contro l’obesità, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari. Senza dimenticare il segmento del pane biologico: i sistemi produttivi restano del tutto uguali nella loro modalità, ma cambia la materia prima utilizzata, dalle farine all’olio. Il pane in pratica viene realizzato con frumento tenero coltivato col metodo di produzione biologica. Abolita tutta la chimica.
«Il pane è il simbolo della vita – spiega Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria dell’Università di Bologna’ viene prodotto con il lievito, fa parte della nostra cultura, soprattutto quella mediterranea. Attenzione però all’eccessiva diversificazione. Abbiamo innumerevoli tipi di pane e questo può aiutare di certo i panificatori ad aumentare il giro d’affari, ma non aiuta a eliminare gli sprechi». Una questione definita «scandalosa» dal presidente della Cei Angelo Bagnasco, quando il Corriere della Sera ha quantificato i numeri del problema. Nella sola città di Milano si buttano ogni giorno 180 quintali di pane, 5.250 al mese tra sfilatini, michette e ciabattine. Il professor Segrè ha messo a punto un modello (www.lastminutemarket.org) che aiuta a salvare dalla spazzatura le eccedenze della grande e piccola distribuzione. In Italia si potrebbero recuperare all’anno 244.252 tonnellate di cibo per un valore di oltre 928 milioni di euro. Pane compreso.
Corinna De Cesare