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 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

2 articoli - UCCIDEVA CON L’INSULINA PER POCHI EURO – Il serial killer delle cliniche è lui, la squadra Cold case della questura, specializzata nella soluzione di vecchi gialli dimenticati, non ha dubbi: un uomo robusto e dallo sguardo un po’ spento, capelli radi e pizzetto imbiancato

2 articoli - UCCIDEVA CON L’INSULINA PER POCHI EURO – Il serial killer delle cliniche è lui, la squadra Cold case della questura, specializzata nella soluzione di vecchi gialli dimenticati, non ha dubbi: un uomo robusto e dallo sguardo un po’ spento, capelli radi e pizzetto imbiancato. Da alcuni mesi è a Regina Coeli dove, dicono, piange spesso e chiede in continuazione del suo nipotino. «Sta bene? L’importante è che non sappia niente, che non soffra». Ma Angelo Stazzi, 65 anni, infermiere generico con una sciagurata vita sentimentale alle spalle, scellerata al punto che una delle sue compagne l’aveva ammazzata nel 2001 e sotterrata nel giardino della sua casa di Montelibretti, a una trentina di chilometri da Roma, adesso è per la sua sorte che farebbe bene a preoccuparsi. Da ieri è ufficiale: secondo gli investigatori sarebbe stato lui, prima di finire in carcere lo scorso ottobre per quel vecchio «delitto imperfetto» del 2001, a dare volontariamente la morte a 7 pazienti, malati di Alzheimer o di altre patologie, ma non terminali, ospiti della residenza per anziani «Villa Alex», a Sant’Angelo Romano. La svolta nel giallo è arrivata in mattinata, quando alla Procura di Tivoli (con qualche malumore perché la vicenda era trapelata da 48 ore) è giunta l’informativa della polizia. Cento pagine che descrivono scenari agghiaccianti. Dal modus operandi («Li uccideva con overdose di insulina») alla motivazione («un movente da quattro soldi: la mancetta delle pompe funebri per i funerali o la vestizione delle salme»). I decessi sospetti finiti sotto la lente della squadra Cold case diretta dal capo della Mobile, Vittorio Rizzi, inizialmente erano una quindicina: poi, dopo autopsie ed esami tossicologici che hanno evidenziato l’abnorme presenza di insulina, il numero delle presunte vittime si è ristretto a sette. Tutti anziani spirati a «Villa Alex» nel 2009, quando il sospettato – a quanto pare più killer spietato che «angelo della morte» – era in servizio. La più anziana, Anna Maria Montecchio, aveva 92 anni. Nel giro di due giorni a ottobre, poco prima di essere arrestato, Stazzi avrebbe avvelenato due ottantenni. Ma gli avvocati difensori contrattaccano. Intanto ricordano che «il nostro assistito al momento non è neppure indagato» per i sette anziani morti. «Angelo Stazzi non è un omicida, né un killer seriale’ dicono i legali, Cristiano Pazienti e Cristiano Conte ”. Manifestiamo fermo e deciso dissenso per la diffusione di notizie che appaiono prive di riscontri e non sono passate neanche al vaglio dell’autorità giudiziaria». Un mese fa la polizia, dopo una perquisizione in casa dell’infermiere, aveva sequestrato siringhe, farmaci e dosi di insulina. Ma era da prima dell’arresto che, agli occhi degli investigatori, alcuni dubbi sul comportamento di Stazzi sul posto di lavoro si erano dapprima trasformati in sospetti e infine in ansia vera: «Se non lo fermiamo, quanti ne ucciderà?». Un’apprensione che ora si è sparsa anche al Policlinico Gemelli, dove Stazzi è stato in organico per 26 anni, dal 1970 al 1996. Per non parlare delle altre case di riposo dell’hinterland in cui ha lavorato in tempi recenti, come il «Cristo vive» e «Villa Gregna». I parenti di centinaia di anziani e malati che hanno avuto a che fare con quest’uomo all’apparenza scialbo e cupo, da ieri hanno un terribile, angosciante motivo di inquietudine in più. Fabrizio Peronaci L’UOMO CHE TENEVA I NANETTI IN GIARDINO E L’AMANTE SOTTOTERRA – Si gira e si rigira tra le mani ruvide una foto del suo vecchio giardino, ci abbozza su due righe, un disegnino rozzo: mai usato granché penna omatita, del resto. Guarda l’avvocato, poi i poliziotti, infine fa una croce in un angolo di quella specie di mappa dell’orrore e sospira: «Sì, l’ho sotterrata là sotto». Pausa: «A venti metri dal muretto, dove c’era il pollaio». un pomeriggio dello scorso novembre a Regina Coeli, quando Angelo Stazzi confessa e mette un punto a una storia di morte che si trascina nel buio da otto anni. Lì, sotto il pollaio della sua vecchia villetta di Montelibretti (poi venduta a un’ignara famigliola della zona), 37 chilometri da Roma, patio, forno per le pizze, cucinino appena rifatto, nanetti di gesso all’ingresso, c’è ciò che resta di Maria Teresa Dell’Unto. Bella donna, svanita nel nulla il 29 marzo 2001, vittima d’un giallo che decolla e si risolve su Chi l’ha visto. Infermiera al Policlinico Gemelli di Roma, come Angelo, e sua amante, pare, da vent’anni. Plagiata da lui, che le spillava quattrini: per il cucinino della villetta, per dire, 18 milioni delle lire che furono. «L’amavo, ma voleva svelare la nostra storia alle mie figlie, abbiamo litigato, le ho dato un pugno, ha picchiato la testa», strilla Angelo dalla galera. Macché, «è uno che tende a manipolare le donne che frequenta, per quattrini», sospettano i criminologi che lo studiano come una cavia. Presto andrà a processo per quell’omicidio, ma quello che pare il finale non è che il prologo. Perché a marzo la Mobile gli perquisisce la nuova casa, dove vive a Roma con una ucraina, Irina (è vedovo, le figlie sono grandi). Lui non capisce. «Ma che vanno cercando?», chiede a Cristiano Pazienti, l’avvocato che continua a difenderlo. Gli trovano insulina, piccole siringhe: indizi? Passano ancora due mesi e, in una delle più bizzarre fughe di notizie nella storia recente della questura di Roma (dura due giorni e va precisandosi col passare delle ore nei lanci d’agenzia, sempre tra dinieghi ufficiali), Stazzi diventa un serial killer, incastrato dalla «Cold case», la squadretta della Mobile che si occupa di vecchi casi irrisolti come nel telefilm americano: pensionato quattordici anni fa dal Gemelli, ha lavorato part-time in una casa di riposo, Villa Alex, a Sant’Angelo Romano, vicino a Guidonia, poi a Villa Grenga a Fontenuova, e lo sospettano di sette, forse dieci morti di vecchietti. «L’insulina era l’arma del delitto, i cadaveri ne sono imbottiti. Il movente è la pietà, non voleva farli soffrire», dicono all’inizio le voci di dentro. E certo fa effetto. Ma l’immagine dell’«angelo della morte» (altro stereotipo, le vocine non se ne perdono uno) pare fasulla, o almeno contrasta con quella del cinico assassino della povera Maria Teresa, che la Procura di Roma sta portando a giudizio. La nuova inchiesta infatti è in mano alla Procura di Tivoli (competente su Guidonia), e il procuratore De Ficchy è giustamente furibondo per il cancan. Una vita stenta, una Panda scassata per girare nell’hinterland romano sempre a caccia di quattrini, pizzetto bianco sulla faccia quadrata, poca dimestichezza con l’italiano scolastico, una certa tendenza al pianto facile, 65 anni portati da uomo di fatica dei quali 26 trascorsi al Gemelli, da «generico», il rango più basso per un infermiere, dal ”70 al ”96 («attività di servizio non necessariamente in contatto con imalati», tendono a specificare con prudenza nel prestigioso ospedale dove si curò a lungo anche papa Wojtyla): angelo o demone della morte che sia, se la metà delle accuse (non ancora nemmeno formulate) sono vere, Stazzi si iscrive in una cupa tradizione, cominciata addirittura ai tempi di Nerone con Locusta (o Lucusta), avvelenatrice e assassina seriale ante litteram nella storia capitolina. Il 27 maggio del 1500 i fedeli che passavano da Ponte Sant’Angelo per il Giubileo videro penzolare sul patibolo un medico famoso: usava una talpa all’ospedale sapere dell’arrivo dei pellegrini facoltosi; la notte stessa i poveretti venivano ammazzati da qualche intruglio e i loro danari sparivano. Adesso in questa brutta faccenda molte cose ancora non tornano. «Stazzi non mi sembra davvero un manipolatore», allarga le braccia Cristiano Pazienti. L’avvocato punta ad allargare il quadro delle contraddizioni, l’omicidio Dell’Unto sarebbe il solo e sarebbe un «delitto d’impeto». «Nel delitto passionale si uccide chi si ama, qui si ama uccidere», ha sostenuto lo psichiatra Vincenzo Maria Mastronardi a proposito dei serial killer. Se le accuse contro di lui hanno un senso, Angelo Stazzi si colloca in una posizione ancora diversa. Implausibile l’immagine dell’«angelo della morte», l’etichetta del serial killer cacio e pepe è buona solo per i tg. E dunque a farsi largo sarebbe l’ipotesi non di un matto ma di un assassino che ammazza per campare, di un diavolaccio ammaccato che vaga per case di riposo magari d’accordo con qualche agenzia di pompe funebri ad «anticipare» dietro compenso la morte dei vecchietti. davvero andata così? I grandi gialli romani degli ultimi vent’anni suggeriscono cautela, essendo un rosario di cantonate e di soluzioni buone solo per un titolo di giornale. La storia del Novecento suggerisce addirittura cautela doppia: tra il 1924 e il ”27 un mostro terrorizzò la città seviziando e ammazzando bambine. Alla fine arrestarono un uomo: si chiamava Gino Girolimoni. Goffredo Buccini