Giusi Fasano, Corriere della Sera 19/05/2010, 19 maggio 2010
«FERMI PIU’ DI DUE ORE AL PRONTO SOCCORSO UN POSTO TERRIBILE»
«Quando ha saputo che non sarebbe più guarito mi ha detto: "Adesso sai che facciamo? Se mi invitano da qualche parte noi andiamo. Sempre". Era il suo modo di affrontare la vita e quindi anche la morte».
Era diventato un nomade della cultura, Edoardo Sanguineti. Viaggiava in continuazione per non correre il rischio di fermarsi troppo a pensare. così, signora Luciana?
«Sì, è così. Era un modo per dimenticare quello che gli avevano detto i medici qualche mese fa e cioè che non c’era più niente da fare per i suoi aneurismi. La diagnosi era stata nefasta. Ne aveva troppi. Poteva soltanto conviverci».
Non più la sensazione del tempo che passa ma quella del tempo che finisce...
«Un tempo infinito e bellissimo per me e per lui. Sa che ci siamo conosciuti nel lontanissimo 1953, sposati nel ”54 e da allora non ci siamo mai lasciati?». Mai? «Neppure un giorno. E, come dicevo, in questi ultimi mesi abbiamo viaggiato come non avevamo fatto mai. Presentazioni di eventi, serate fra teatri e poesie, musica e letteratura, convegni, dibattiti. Sempre in movimento, sempre assieme giorno e notte... Siamo stati a Siracusa, poi a Venezia, a Catania e a Roma».
Come voler bruciare tutte assieme le energie rimaste.
«Un dottore gli aveva detto: vada tranquillo, ma sappia che può saltare in aria da un momento all’altro. Ha vissuto questi mesi come se avesse una bomba in corpo». Fino all’alba di cui non ha visto la luce. «Saranno state più o meno le cinque. Edoardo si è svegliato dolorante, mi diceva "aiutami, sto male". Si teneva la pancia come volesse trattenere il dolore. Si lamentava. Io per un po’ ho cercato di coccolarlo, di fargli forza. Gli dicevo "stai tranquillo, coraggio, tirati su" ma lui era gelido e non riusciva nemmeno più a stare in piedi. Ho quasi dovuto prenderlo in braccio per farlo alzare mentre arrivava l’ambulanza». Poi la corsa in ospedale. «Che posto terribile, il pronto soccorso. Si sa come vanno le cose in quelle sale d’attesa... Meno male che io ho avuto la fortuna di non esserci mai andata da paziente. Eravamo soli, lui ed io. Quando siamo arrivati ed è stato visitato una prima volta da un infermiere gli è stato dato il codice giallo: significa che il paziente può attendere venti minuti prima della visita di un medico. Li ha aspettati tutti, quei venti minuti... Siamo stati lì più di due ore. passato da una visita all’altra, ecografia, tac, prima che si accorgessero che era da operare immediatamente. Il codice a quel punto è diventato rosso». Lui era cosciente? «Sì, era lui che faceva le domande al medico sull’operazione. Io ero tranquilla perché quel dottore lo conosco ed è un ottimo medico, ma purtroppo è capitato quello che è capitato. La questione è che non bisogna mai andare in ospedale. Dicevo ai medici del pronto soccorso "non schiacciategli la pancia, non vedete che ha un aneurisma che si vede anche dall’esterno?" Niente da fare, quelli dicevano che dovevano visitarlo». E adesso c’è un’inchiesta in corso. «Io non l’avrei voluta, a dire il vero. E soprattutto non vorrei l’autopsia anche se so che a questo punto è impossibile evitarla. A me sembra un inutile tormento in più per Edoardo».
Ricorda le ultime parole che vi siete detti?
«Cercavo di fargli coraggio mentre lo portavano di corsa in sala operatoria. Andavano così veloci che faticavo a stare dietro alla barella. Lui ascoltava il medico che lo tranquillizzava e io dicevo parole che non erano certo un saluto. Non c’era motivo di salutarsi, ero convinta di rivederlo da lì a poco». Poi l’attesa e l’annuncio della fine. «Che momento pazzesco. Più di 57 anni di vita assieme finita così, d’un tratto, senza nemmeno un saluto. Se ci ripenso ora sa qual è il ricordo più bello che ho di lui? Il giorno in cui lo vidi per la prima volta, per strada. Il professore assieme al quale stava passeggiando ci presentò e io me ne innamorai».
Giusi Fasano