Roberto Bagnoli, Corriere della Sera 19/05/2010, 19 maggio 2010
STATALI, I CINQUE MILIARDI DA CONGELARE
Ufficialmente quello dei dipendenti pubblici è un esercito che conta tre milioni e 375.331 lavoratori. Ma se si conteggiano i precari, i «socialmente utili» e tutte le funzioni non contrattualizzate (baroni universitari o i dipendenti delle authority per esempio) come ha voluto fare la Corte dei Conti la cifra sale a tre milioni e 599.000. E la spesa complessiva sfiora i 170 miliardi di euro l’anno (circa l’11% del prodotto nazionale lordo), un po’ più alta dei 166 miliardi e 735 milioni di euro indicati nel conto annuale della Ragioneria di Stato. La retribuzione media lorda annua è di 33mila e 396 euro. Si va da un minimo di stipendio medio per un dipendente ministeriale da 28.557 euro a un massimo 126.258 di un magistrato. Sono escluse le cariche non contrattualizzate che possono moltiplicarsi di parecchie volte come nel caso del direttore generale del Tesoro o dei presidenti delle Authority. I pensionati pubblici ammontano a poco più di due milioni e 600.000 e riscuotono un assegno medio lordo di 19.800 euro all’anno.
Sempre più costosi
Questa è la fotografia del mondo del lavoro del pubblico impiego scattata a fine 2008. Un esercito di lavoratori il cui costo complessivo nessun governo negli ultimi dieci anni è riuscito a fermare. Dal 2002, infatti, è inesorabilmente cresciuto anno dopo anno passando da 137 miliardi e 621 mila euro ai 170 miliardi di cui sopra. Le retribuzioni sono così risultate in aumento quasi il doppio dell’inflazione (il 35% contro il 17%) e molto più degli stipendi del settore privato il cui incremento si è fermato al 20%. Il ministero della Funzione Pubblica ha calcolato che se i dipendenti pubblici (dal 2000 al 2007) fossero stati pagati con gli stessi criteri dei privati le casse dello Stato avrebbero risparmiato oltre 60 miliardi di euro, 7,5 miliardi all’anno.
Enti locali senza freni
Come si vede chiaramente leggendo le tabelle del conto annuale il grosso di questo esercito si concentra nel settore della scuola e università (un milione e 250 mila), nella sanità (700 mila), nelle Regioni ed enti locali (600 mila), polizia e forze armate (470 mila). Rimanendo nel 2008, si nota che sono diminuiti i dipendenti della scuola (-7.800) ma sono aumentati quelli dell’università (+3.300); sono state tagliate 6.000 unità nei corpi di polizia ma sono cresciute di 5.400 nelle forze armate. Anche in questo caso le Regioni sono riuscite a ingrossare ancora di più le loro già grasse trincee assumendo 9 mila dipendenti
Blocco dei contratti
più altri 7.700 nel servizio sanitario nazionale. Secondo i calcoli della Corte dei Conti se non interviene un blocco del rinnovo contrattuale i costi di questo immenso apparato sono destinati a salire. Di quanto? Di 1,6 miliardi nel 2010, di circa 2 nel 2011 e di altri 1,7 nel 2012. Nel triennio fanno un totale di 5,3 miliardi di euro che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti vorrebbe congelare. Altra misura allo studio per rimettere in ordine i conti dopo i fatti della Grecia e la maggior pressione di Bruxelles sul rientro del nostro debito pubblico è quella di allungare i tempi della buonuscita, come in gergo viene definita la liquidazione o il «Tfr» per lo statale.
Buonuscita rinviata
La buonuscita spiega però Michele Gentile, coordinatore nazionale del pubblico impiego per la Cgil, è più leggera della liquidazione perché corrisponde a uno stipendio – ma ridotto del 20% – per ogni anno di servizio. E viene pagata mediamente entro 100 giorni dall’uscita dal lavoro. Se si supera questo periodo di tempo scatta un interesse del 5% annuo. Ora il Tesoro sta ragionando di alzare questo periodo fino a 180 giorni. Non sono bruscolini: ogni anno escono dalle amministrazioni pubbliche oltre 100 mila lavoratori per una buonuscita media di circa 60-65 mila euro. Secondo la Cgil ogni lavoratore o futuro pensionato, se passa questa stretta, finisce per rimetterci 280 euro a testa. E lo Stato risparmia 28 milioni di euro. Il calcolo sul risparmio per le disastrate casse dell’Inpdap, se passa la riduzione fissa a due finestre nel caso di pensionamento, è più complicato. Ci limitiamo a osservare che anche nel settore previdenziale i dipendenti pubblici sono nettamente privilegiati rispetto ai privati: la loro pensione media è di 19.800 euro contro gli 11.600 dei privati. Non solo: i conti della previdenza del pubblico impiego presentano un «buco» di circa 11 miliardi. Il saldo per i lavoratori dipendenti privati è invece positivo anche se di soli 4 miliardi. Il flusso degli assegni previdenziali ai due milioni e 648 mila pensionati pubblici è massiccio: ogni anno è di 53 miliardi. Ma qui intervenire è molto difficile e delicato.
Federalismo generoso
La Corte dei Conti, nel suo ultimo dossier sul tema presentato in Parlamento il 6 maggio scorso, ha insistito molto sulla necessità di applicare «subito e bene» la riforma del ministro Renato Brunetta dando più soldi agli statali più bravi. I giudici contabili ritengono che sia «ormai ineludibile procedere a una misurazione della produttività del lavoro pubblico quale parametro per concedere aumenti retributivi». Ma probabilmente un approccio del genere non è più sufficiente. Ne è convinto Carlo Dell’Aringa, professore alla Cattolica di Milano di economia politica ed ex presidente dell’Aran, l’agenzia per i contratti del pubblico impiego. «Brunetta per carità fa benissimo, ma sono circa 20 anni che si cerca di andare nella direzione della produttività con i risultati sotto gli occhi di tutti». E allora che fare? «Occorre uno choc – spiega Dell’Aringa – bloccando l’autonomia contrattuale degli enti locali per tornare in un secondo tempo a concederla ma con vincoli di bilancio molto forti». Il federalismo per gli enti locali, finora, si è mostrato troppo generoso.
Roberto Bagnoli