Stefano Livadiotti, L’espresso 20/5/2010, 20 maggio 2010
LADY CONFINDUSTRIA ORA BALLA DA SOLA
Antonio D’Amato aveva spaccato a metà gli imprenditori. Emma Marcegaglia è riuscita nel miracolo di ricompattarli: oggi sono tutti uniti, ma contro di lei... la perfida battuta che circola ai piani alti del quartier generale romano della Confindustria. Formalmente, il numero uno di viale dell’Astronomia si prepara a celebrare l’assemblea annuale forte del voto bulgaro del parlamentino dell’Eur, che giovedì 25 marzo ha dato il via libera al suo secondo biennio con 111 voti su 112. solo apparenza, però. A parte che in giunta siedono 205 persone, nel galateo confindustriale vale la regola dell’unanimismo. Ma il dissenso, se non previsto negli organismi ufficiali, in questo caso sta pericolosamente montando. In un momento per giunta molto delicato, se è vero che l’ingresso nella seconda parte del mandato segna, per il presidente in carica, l’avvio di un declino inesorabile.
Il fatto è che fin dalla sua nomina Emma Marcegaglia ha deciso di puntare tutto su Silvio Berlusconi, fresco trionfatore alle elezioni. E per non avere intralci ha commissariato la Confindustria, che conosce come le sue tasche, azzerando di fatto la tecnostruttura. Ma alla fine è rimasta con un palmo di naso. Il premier, che non la voleva proprio (per fargliela accettare Fedele Confalonieri e Giorgio Squinzi hanno sudato sette camicie) ha incassato il collateralismo della Confindustria e, con la scusa della crisi, non ha restituito il favore. Per due anni la Marcegaglia è rimasta a secco. Tanto che oggi cerca di intestarsi il merito del potenziamento degli ammortizzatori sociali, voluto dal governo per scongiurare la piazza. E dire che lei per far contento Berlusconi aveva perfino accettato di mettere una fiche da 10 milioni nel salvataggio dell’Alitalia. Lui ha ricambiato a modo suo, assicurandole un ricco guadagno con il business della Maddalena, dove le aziende della famiglia Marcegaglia hanno ottenuto a prezzo stracciato la gestione dell’area del G8. Poi s’è presentato all’assemblea del 2009 e l’ha messa alla berlina, chiamandola "velina" e rivelando che la sera prima era andata a portargli il suo discorso, quasi come uno scolaretto intimorito dal preside. Il tono era scherzoso; il messaggio molto meno: il capo sono io. La Marcegaglia, insomma, sembra proprio essersi infilata in un cul de sac. E i suoi colleghi non paiono intenzionati a farle sconti. Tanto più che, secondo loro, ha fatto tutto da sola. Sulla carta, oggi in Confindustria c’è addirittura più democrazia che in passato, se è vero che il direttivo è arrivato a contare 80 membri (44 invitati) e ha dovuto cambiare sala. In realtà, però, secondo un’accusa ricorrente, la Marcegaglia ha gestito la Confindustria come se fosse il gruppo di famiglia. Dove, secondo i suoi stessi racconti, le strategie vengono discusse al tavolo della prima colazione, con il papà e il fratello.
Come la Marcegaglia intendesse il suo ruolo di presidente si è capito fin dall’inizio. Cancellare il passato è stata la sua prima parola d’ordine. Così si è subito interrogata sulla possibilità di tagliare le immagini della Ferrari dal video sul made in Italy proiettato alle missioni internazionali di Confindustria. Quella nei confronti del suo predecessore, Luca di Montezemolo, diventerà col tempo un’ossessione: nei giorni scorsi ha fatto capire al capo dei giovani, Federica Guidi, che avrebbe gradito la sua cancellazione dal panel del convegno di Santa Margherita.
Poi sono partite le epurazioni. Carlo Calenda, un brillante quarantenne che è stato assistente di Montezemolo (oltre che direttore degli Affari esteri), ha capito l’aria che tirava e tagliato la corda ancor prima dell’arrivo della Marcegaglia (in un batter di ciglia s’è ritrovato ingaggiato come direttore generale di un gruppo da 250 milioni di giro d’affari). stato invece accompagnato alla porta senza troppi complimenti il direttore generale, Maurizio Beretta, da anni infaticabile frequentatore di corridoi dei ministeri e forse oggi il più forte lobbista in circolazione in Italia (s’è prontamente sistemato alla guida della Lega Calcio). Così come il ministro dell’Interno, Gabriele Manzo, che per memoria storica e conoscenza dei meccanismi confindustriali vale più di tutti gli altri messi insieme: e infatti un’ora dopo era in squadra con Paolo Scaroni, gran capo dell’Eni, ed è tuttora super corteggiato. Stessa storia per il capo dell’ufficio stampa, Vincenza Alessio, oggi a palazzo Chigi.
Alla fine sono rimasti quattro amici al bar. L’uomo forte si chiama Rinaldo Arpisella ed è la guardia del corpo del numero uno degli imprenditori nel mondo dell’informazione. Un passato da cronista, Arpisella è uno di famiglia: vive in simbiosi con la Marcegaglia, ma ha anche un filo diretto con il padre Steno. Autentica macchina da guerra, incline a vedere complotti ovunque e dotato di una memoria da elefante, è temutissimo dalla struttura e detestato dagli imprenditori, che finiscono per attribuirgli anche gli articoli di giornale (pochi, per la verità) nei quali non riesce a mettere lo zampino. Se non è sempre accanto alla Marcegaglia è solo perché lui ha una fifa blu di volare, mentre lei adora i jet privati e gli elicotteri. A guidare la struttura è il vice direttore generale, Daniel Kraus, un abile e ambizioso burocrate che tanti anni fa si è garantito la gratitudine degli imprenditori del Nord assumendosi tutte le responsabilità di un brutto pasticcio in Assolombarda. Kraus ha tagliato l’erba sotto i piedi al nuovo direttore generale, Giampaolo Galli, chiamato a sostituire Beretta come quarta scelta (dopo che erano saltate le candidature di Enzo Moavero, Giampiero Massolo e Stefano Micossi). Poi c’è Giancarlo Coccia, un giovanotto di poche parole che cumula un numero imbarazzante di incarichi, ma di fatto è solo il fidato assistente della Marcegaglia. Infine, Patrizia Longhini, segretaria personale della Marcegaglia, che come Arpisella si divide tra la Confindustria e il quartiere generale del gruppo di famiglia.
Il leader e i suoi cari (che tra loro si odiano) fanno ciò che ritengono meglio per il bene di Confindustria. E pazienza se magari le regole vorrebbero altrimenti. Nei mesi scorsi, per esempio, la Marcegaglia ha cominciato a preoccuparsi per la situazione dei conti confindustriali, che non potranno più beneficiare del contributo del disastrato "Sole 24 Ore" (il quotidiano di casa che ha messo il suo editore Marcegaglia al terzo posto nella classifica dell’uomo dell’anno, dopo aver peraltro assegnato la vittoria prima a Sergio Marchionne e solo in un secondo momento a Giulio Tremonti). Così, la Marcegaglia ha messo in contatto la struttura che gestisce il tesoretto confindustriale (circa 65 milioni di euro) con la sua consulente personale, Luciana Costi, che si è presentata con una proposta elaborata dalla Farad Investment Advisor e basata sull’acquisto di fondi della banca austriaca Medici. Il responsabile del settore s’è rifiutato di dare il via libera all’operazione, in netto contrasto con la prudenza richiesta dal regolamento interno. Ha perso il posto seduta stante, ma ha salvato viale dell’Astronomia: dopo poco, infatti, la banca e i suoi fondi sono stati trascinati nel baratro del crack Madoff. Così come sono saltate le regole sugli appalti. Per esempio, sul fronte della sicurezza, dove s’è da poco insediato Diego De Simone, ex capo-scorta di Antonello Montante (un rampantissimo imprenditore siciliano che ostenta confidenza con le procure di mezza Italia e al G8 delle imprese è riuscito a far mettere in posa gli otto presidenti a cavalcioni delle sue biciclette). Ebbene, per la commessa relativa alla vigilanza sul palazzone dell’Eur, sulla foresteria di via Veneto e sulla Luiss (valore: circa 5 milioni di euro) è stata fatta una gara, alla quale hanno preso parte tre concorrenti. Alla fine però il contratto è andato a una piccola azienda (56 addetti) di Pomezia, la Argo srl, che fa capo a un gruppo siciliano specializzato nella sicurezza e nelle scommesse sportive.
La Marcegaglia e gli imprenditori a lei fedeli (Squinzi, Montante, Edoardo Garrone, Cristiana Coppola, Diana Bracco, Vincenzo Boccia, Cesare Trevisani, Antonio Costato) hanno fatto insomma il bello e il cattivo tempo. Finché non s’è risvegliata la pattuglia della grande impresa di matrice pubblica (da Eni a Telecom, passando per le Fs), che ormai contribuisce per metà al finanziamento di viale dell’Astronomia. A quel punto la Marcegaglia, che per venire a capo delle rivalità locali tra cordate di imprenditori ha fatto ricorso come mai era successo prima ai probiviri (ottenendo sempre decisioni a lei favorevoli), ha incassato le prime sconfitte: la perdita della roccaforte di Assolombarda, andata a un uomo di Scaroni (Alberto Meomartini) e quella di Venezia, conquistata dal tandem Eni-Enel. Così, per ottenere un armistizio, che peraltro appare fragile, ha dovuto sacrificare il responsabile dell’energia (e suo ex compagno di scuola) Costato, alfiere nella battaglia al caro-tariffe.
Troppo impegnati nelle beghe di potere interne, Marcegaglia & C. hanno poi sottovalutato le insidie esterne. A partire dal cosiddetto Patto del Capranica, che riunisce Confcommercio, Confesercenti, Cna, Confartigianato e Casartigiani e rappresenta 2 milioni di piccole aziende. La prova generale in vista dei futuri confronti s’è avuta con il rinnovo del vertice dell’Unioncamere, dove il blasonato confindustriale Andrea Mondello ha dovuto cedere il passo a Ferruccio Dardanello. Poi è stata la volta della Camera di commercio di Milano. Ora potrebbe toccare a Roma. E in ballo ci sarà presto anche il pacchetto dei consigli provinciali dell’Inps. Sembra poca cosa. Ma è lì che si decide sulle richieste delle aziende per l’accesso alla cassa integrazione. E cioè sugli interessi concreti degli imprenditori.