Alberto Bisin, La Stampa 19/5/2010, pagina1, 19 maggio 2010
L’INGUARIBILE MALATTIA ITALIANA
In Italia, ad ogni occasione in cui i governi hanno qualcosa da farsi perdonare dai cittadini, il ministro delle Finanze di turno promette fuoco e fiamme contro l’evasione fiscale. Qualcuno forse ancora ricorda, nel 2006, le proposte dell’allora viceministro Visco al riguardo, in cinquantacinque (55!) punti. E le stime del ministro Padoa-Schioppa nello stesso periodo: 100 miliardi di euro da recuperarsi in 5 anni. Oggi è il turno del ministro Tremonti che, in occasione di una prevista stretta fiscale, promette: «Dovranno preoccuparsi solo i falsi invalidi e gli evasori».
Purtroppo l’evasione in Italia è elevata ed è rimasta abbastanza costante negli anni. Per quanto le stime statistiche di fenomeni per loro natura sotterranei, come l’evasione e l’economia sommersa, siano necessariamente imprecise, si può dire che in Italia il sommerso sia nell’ordine del 26% del Prodotto interno lordo (al 2003), e che sia leggermente cresciuto nel corso del decennio precedente (23% nel 1990).
Si può anche osservare che queste percentuali sono paragonabili a quelle di Grecia (28% al 2003) e Spagna (22%), mentre sono enormemente superiori a quelle ad esempio degli Stati Uniti (8-9%).
Sulla maggior efficienza del fisco americano rispetto a quello italiano pesano certo molti fattori: dalla qualità generale della pubblica amministrazione Usa allo specifico sistema di raccolta dati e di controllo delle dichiarazioni fiscali, dalla severità (e, ancora, l’efficienza) del sistema giudiziario americano al sistema di valori dei cittadini americani stessi, che non sono certo dei santi ma hanno più senso civico di noi italiani.
Ma la questione dell’evasione e del sommerso in Italia non si spiega solo con una certa inettitudine della nostra amministrazione fiscale e giudiziaria, ma piuttosto con una carenza di volontà politica. Questo perché l’evasione e il sommerso in Italia non sono distribuiti più o meno omogeneamente sulla popolazione. Più che altrove, infatti, in Italia sono i lavoratori indipendenti ad essere in grado di evadere o eludere le tasse. La lotta all’evasione significa quindi scontrarsi con lobby potenti come ad esempio quelle dei commercianti e delle professioni. Ma i disincentivi politici alla lotta all’evasione sono ancora più netti se si considera la distribuzione geografica dell’evasione. La realtà, per quanto «incorretta politicamente», è che una larga parte dell’evasione, soprattutto dell’evasione totale, è al Sud del Paese, e cioè nelle regioni più povere. Una indagine dell’Agenzia delle Entrate stima, per il periodo 1998-02, che l’imponibile Irap evaso sia nell’ordine del 38% per Sicilia, Campania, Puglia, Sardegna (e addirittura del 48% per la Calabria), mentre sia nell’ordine del 17% in Piemonte, Emilia Romagna, Veneto (e addirittura del 11-12% in Lombardia), in linea con Francia e Germania. Per quanto si prendano questi dati con le pinze, si capisce come il problema dell’evasione sia intimamente legato a un problema ancora più vasto e complesso come la questione meridionale (e la connessa questione del controllo criminale di una parte significativa dell’economia del Sud). Il federalismo fiscale potrebbe senz’altro essere almeno in parte una soluzione, ma purtroppo poco si intravede di buono nella Legge Delega approvata il maggio scorso dal Parlamento.
Ma come se non bastasse, vi è un’altra ragione per cui è difficile politicamente agire sull’evasione in Italia. La pressione fiscale sull’economia intera è ormai a livelli difficilmente sopportabili, oltre il 40% (quella sul lavoro è al 44% contro il 34% della media comunitaria nel 2007). Dato il sistema fiscale italiano, tassare per intero gli evasori significherebbe schiacciare il freno sull’economia del Paese. Sono proprio i lavoratori indipendenti e le industrie del sommerso ad avere infatti maggiore flessibilità nel ridurre ore lavorate ed impiego. Dico questo, naturalmente, non per argomentare che sia desiderabile chiudere un occhio sull’evasione, assolutamente no, se non altro per fondamentali ragioni di giustizia ed equità (che ha ben esposto ieri Antonio Scurati su queste colonne). Lo dico invece per spiegare perché il problema dell’evasione sia legato a quello della spesa pubblica. I costi in termini di crescita economica di una seria lotta all’evasione sarebbero fortemente ridotti solo qualora la spesa pubblica fosse tagliata sufficientemente in modo da lasciare spazio a una diminuzione significativa della pressione fiscale.
Fa bene quindi il ministro Tremonti, oggi, a collegare la lotta all’evasione ad una riduzione del «peso della mano pubblica» dove «c’è una vasta area di spesa improduttiva» con un «uso non appropriato del denaro pubblico». Purtroppo la lotta all’evasione non è possibile senza affrontare di petto la questione meridionale e senza attaccare la spesa pubblica lì dove fa male: le pensioni, per dirne una, e non certo solo quelle d’invalidità.