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 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

I MAOISTI, UNA SPINA NEL FIANCO DELL’INDIA


C’ è nel cuore dell’India un colos­so che fattura più di aziende al­l’avanguardia come Exide, Cesc o Hindustan Motors: è l’’impero maoi­sta’. Una multinazionale del terrore con un volume d’affari all’anno – secondo un’inchiesta del Times of India – pari ad al­meno 260 milioni di euro, che prospera grazie «a droga, saccheggi, rapine, riscat­ti ». E soprattutto «al mercato delle estor­sioni ». Negli Stati in cui i ribelli spadro­neggiano, ogni sacco di patate, ogni cari­co di camion, ogni stipendio ha il suo un prezzo, la sua percentuale. Nello Jharkhand, ad esempio, il ”tasso corrente” è di 5 rupie per sacco di verdure, di un cro­re per un acro di terra coltivati a papave­ri. Una rete tentacolare che sfrutta ogni attività economica. Chi non paga rischia la vita. In questo modo si finanzia la guer­riglia. E si mette sotto attacco quell’entità­galassia di 1,4 miliardi di abitanti, 28 Sta­ti, 626 distretti che costituisce la più gran­de (e composita) democrazia al mondo.

Risale a lunedì un devastante attentato contro un pullman di linea nello Stato del Chhattisgarh, che ha fatto 35 morti. Da ie­ri invece è massima allerta in cinque Sta­ti indiani per uno sciopero di 48 ore pro­clamato dai ribelli maoisti. La sicurezza è stata rafforzata in Orissa, Bihar, Bengala Occidentale, Jharkhand e Chhattisgarh dove i ribelli hanno lanciato una mobili­tazione generale. Il pericolo che viene da separatisti oggi – dopo anni di sottovalutazione – viene de­nunciato apertamente dalle autorità in­diane. Per il premier Manmohan Singh la guerriglia di matrice comunista rappre­senta «la più grave minaccia alla sicurez­za e alla unità del Paese», più ancora del nemico di sempre, il Pakistan. Il colon­nello indiano JK Achuthan ha scritto sul­l’ Indian

Defence Review, prestigiosa rivi­sta militare, che i maoisti vogliono «ripor­tare indietro di cento anni l’orologio del­la storia: il loro obiettivo è annientare la democrazia e smembrare lo Stato india­no ». New Delhi vuole disinnescare la mi­naccia. Per farlo ha lanciato la più grande offensiva militare degli ultimi anni, deno­minata ”’Green Hunt”. La campagna coin­volge oltre 100mila uomini, cui si aggiun­geranno presto altri 20mila effettivi.

Non mancano le critiche. Nel mirino so­no i metodi – spesso brutali – adoperati dai corpi militari. Che finiscono con il col­pire anche i civili, alienando l’appoggio della popolazione locale alle autorità cen­trali. La nota scrittrice e attivista per i di­ritti umani Arundhati Roy ha parlato di «genocidio silenzioso». Nel rapporto ”Tor­ture in India 2010”, pubblicato dal Centro Asiatico per i Diritti Umani (Achr), si de­nuncia il moltiplicarsi di casi di sevizie nel­le carceri. Un dato su tutti: i prigionieri de­ceduti dietro le sbarre sono aumentati del 40% dal 2000 a oggi. Non solo: l’impiego massiccio di uomini per stanare i maoisti espone i militari a rappresaglie e imbo­scate. Come quella dello scorso aprile, quando sono stati assassinati 76 militari nello Chhattisgarh. Solo pochi giorni pri­ma, dieci poliziotti erano stati uccisi nel­lo scoppio di una bomba nell’Orissa.

Una piaga quella del separatismo assai in­sidiosa perché rischia di mandare in fran­tumi la stabilità di un Paese-mosaico. Nel 2003, secondo le autorità di New Delhi, i maoisti ”infettavano” 9 Stati e 55 distretti. Il bilancio della loro presenza attuale ri­manda un quadro ben più allarmante: la guerriglia sarebbe attiva in 20 Stati e in ben 223 distretti. Dal 1998 la ”guerra si­lenziosa” ha fatto oltre 7.500 vittime in no­me di un obiettivo che la guerriglia pro­clama apertamente: «sconfiggere lo Stato indiano entro il 2050». Nel solo 2009, le vittime sono state 1.125: 591 quelle civili, 317 i militari caduti, 217 i guerriglieri uc­cisi.

L’epicentro storico e strategico del terre­moto che da decenni scuote l’India è il Bengala occidentale. Il ”corridoio rosso” taglia il Paese da Nord a Sud comincian­do in Nepal, attraverso proprio Bengala occidentale, Bihar, Jharkhand, Chhatti­sgarh, Orissa, Maharashtra occidentale fi­no all’Andhra Pradesh. New Delhi non può permettersi concessioni: questi Stati so­no al centro di un paradosso. Sono i più poveri dell’India e al tempo stesso quelli che custodiscono le più grandi ricchezze minerarie. Aree che fatalmente finiscono con l’essere il bacino di reclutamento dei maoisti: in India più di 800 milioni di per­sone vivono con meno di due dollari al giorno. L’Orissa, ad esempio, racchiude il 70% di tutte le riserve di bauxite indiana, il 90% di minerali di cromo e di nickel, il 24% del carbone dell’intera nazione. Il 40% dei 50 distretti più ricchi di materie prime sono attraversati dalla violenza maoista. Ma non basta: le regione nelle quali la guerriglia prolifera sono anche le più ric­che d’acqua. Una risorsa sempre più rara e vitale, come testimonia il continuo scambio di accuse tra India e Cina da una parte e India e Pakistan dall’altra sulla cor­sa ad accaparrarsi le risorse idriche.

Il conflitto va oltre i confini nazionali. Die­tro l’attivismo dei maoisti, secondo alcu­ni analisti, ci sarebbero i finanziamenti (e le armi) di Pechino. Lo scorso anno il sito Internet del China International Institute for Strategic Studies – additato dalla stam­pa indiana come «un sito web quasi uffi­ciale » – ha pubblicato un articolo nel qua­le si auspicava la frantumazione dell’India: «Per spaccare l’India, la Cina può servirsi di Paesi come il Pakistan, il Nepal ed il Bhutan, può dare una mano al gruppo se­paratista dell’Assam, appoggiare le aspi­razioni di gruppi nazionalisti, incoraggia­re il Bangladesh a dare una spinta per l’in­dipendenza del Bengala occidentale». Im­mediate – e furibonde – furono le reazio­ni indiane. A New Delhi nessuno nascon­de più la rivalità con Cina.