Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 19/5/2010;, 19 maggio 2010
LO SCUDETTO DEL DISGUSTO (*
per vedere domande e risposte aprire il frammento) - Evitando le buche più dure,
Claudio Ranieri si è rimesso
in viaggio. Colline senesi,
ulivi, quiete dopo l’apnea
che fino ai titoli di coda, lo ha visto
duellare per l’impossibile. Un
anno fa, proprio in queste ore, un
gelido comunicato della Juventus
lo ibernava al ruolo che più detesta.
Il capro espiatorio, meno
ellittico di un saggio di Renè Girad,
da congedare quando le fondamenta
tremano. Dodici mesi
dopo, l’uomo che cerca ricezione
per una lunga conversazione
telefonica sul recente passato:
’Provo a spostarmi, in tutta questa
pace, i telefoni recitano da
comparse”, ha trovato campo libero
per eccellere. Nelle valutazioni
di fine anno, il migliore è lui.
Per media punti, partite consecutive
senza sconfitte e per qualcosa
che non ha rilievo statistico,
ma pulsa in ogni singola considerazione.
Aver riportato in vita una
Roma prossima alle esequie, terrorizzando
l’Inter. Avesse enunciato
il proposito a settembre,
con i compratori misteriosi alla
porta, i tifosi in contestazione
permanente e il quotidiano assedio
mediatico, lo avrebbero rinchiuso
per manifesta incapacità.
Di intendere, volere, pensare.
Consapevole del rischio, Ranieri
Claudio da San Saba si è appropriato
della strategia della lumaca.
Ritrovare solidarietà di intenti
là dove imperava la balcanizzazione.
’Da piccolo, quando dopo
pranzo mi precipitavo a prendere
il tram per raggiungere l’Olimpico,
mi aspettavo soprattutto una
cosa: che la mia squadra desse tutto
dall’inizio alla fine. Perdere o
vincere, è secondario rispetto al
fatto di potersi guardare allo
specchio. Da ragazzo, pretendevo
che i miei idoli dimostrassero
attaccamento. Mezzo secolo dopo,
ho provato a recuperare quella
sensazione trasmettendola a
un gruppo depresso. Ho trovato
ragazzi nervosi, perché non si
può ballare mentre intorno la casa
crolla. Ero preoccupato dall’impatto.
Dubbioso, assalito da
ipotesi non proprio consolanti.
Dopo una settimana, mi sono rasserenato.
Ho propugnato un’idea
di tranquillità che credo abbia
rappresentato un punto di svolta”.
Se lo cerchi all’indirizzo della
boria, Ranieri non risponderà:
’Un allenatore poggia su due colonne.
Le prospettive chiare e la
necessità di far rispettare regole
che siano uguali per tutti. Dopo
aver iniziato l’avventura, ho messo
l’elmetto, ma in definitiva, i
giocatori lo sanno, il protagonista
non sono stato io”.
Però se l’è cavata.
Meno male che mi è arrivata quest’occasione.
Questa è casa mia.
In tanti vorrebbero allenare la
squadra di cui sono tifosi e l’illu -
sione rimane sulla carta. Io ho
avuto questa fortuna e ho deciso
di affrontare l’occasione senza
condizionamenti ambientali.
A Roma, il proposito confina
con l’utopia.
Non ho ascoltato consigli interessati,
né mi sono fatto sfiorare da
chiacchiere inutili. In Italia è accettato
un solo culto religioso: il
risultato. Solo dopo, in subordine,
vengono comportamento,
capacità di parlare una lingua sobria,
che non scateni animi di per
sé già pronti a infiammarsi.
Un anno da profeta in patria
l’ha trasformata?
Io sono sempre me stesso e non
sono tra quelli che nella vita hanno
percorso a tutta velocità corsie
preferenziali. Sono partito dall’interregionale.
Venticinque anni
dopo, non sono cambiato di
una virgola.
Ma ha viaggiato.
La valigia che ho riempito di voci,
suoni e colori distanti dall’effimero
bar dello sport italiano mi è servita
anche quest’anno. Ho allenato
in Spagna e in Inghilterra, correndo
l’azzardo di farmi dimenticare.
Ma non sono un calcolatore
e rifarei tutto quello che ho fatto.
Amici, incontri, culture, musei,
panorami. Quello che ho appreso
evadendo dalla gabbia nazionale,
si fidi, non ha prezzo.
Anche per questa ragione, l’avrebbero
vista bene in azzurr
o.
Non ci avevo mai pensato. Chiaro
che un giorno mi piacerebbe
molto allenare la Nazionale italiana
e se proprio non potesse essere
quella, non disprezzerei
un’altra ipotesi. Ora ho un progetto,
mi è stato affidato un programma
di due anni, voglio concluderlo
al meglio.
E se fosse andato via?
Sarebbe equivalso a tradire e in
Federazione, se ci hanno pensato
davvero, capiranno perfettamente
perché non ho potuto lasciare.
Mal che vada sarà un arrivederci.
Credo non si sia offeso nessuno,
almeno spero.
Tra le fotografie di un’annata
da incorniciare, la coraggiosa
doppia sostituzione del derby.
Il coraggio ce l’hanno altre persone,
però io prima di essere un
ex curvarolo sono un tecnico. Ma gari vivo una scissione, ma sono
pagato per allenare, scegliere,
scontentare a volte. Togliere Totti
e De Rossi, molto più di capitano
e vice della mia squadra, mi è dispiaciuto
moltissimo. Ma soffrivano.
Sentivano eccessivamente
le onde speciali di quella gara. Così
mi sono fatto forza, certo che
quello scossone avrebbe responsabilizzato
ancor di più la squad
ra .
E’ andata bene .
Onestamente, se Jùlio Sergio non
avesse parato il rigore di Floccari,
avremmo potuto smobilitare al
quinto della ripresa.
L’anno prossimo, uscire nel
plauso generale sarà più difficile
.
Lo sanno tutti. Ventiquattro gare
senza sconfitte non sono un
evento sempre ripetibile. Ma la
sfida sarà più sentita, determinata,
se mi passa il termine, eccitante.
Le aspettative saranno mostruose
.
Ma io sono della vecchia scuola.
Di ciò che è già ricordo,
non sono mai soddisfatto e
mettere le mani avanti, mi è
sempre parso un espediente
in odor di vigliaccheria. Voglio
vincere. Proveremo a migliorarci,
poi vedremo.
Per stimolare i suoi, continuerà
a far vedere il Gladiatore?
C’è chi mostra i foglietti
di carta con i movimenti
e le spiegazioni
tattiche e chi sceglie
di motivare con
le immagini. Se le
dico che considero
più moderno
chi sceglie
la seconda
opzione, pecco di presunzione?
Sa com’è, è un
periodo particolare
(ride ancora). Non vorrei che qualcuno
si risentisse.
Più rimpianti o soddisfazioni?
Non posso ragionare così. Abbiamo
fatto 15 punti nell’ultimo
quarto d’ora, vinto partite all’ultimo
istante, avuto fortuna, com’è
normale, qualche volta. Poi
certo, se rifletto sul Livorno ultimo
in classifica, che ci ha portato
via 4 punti su sei, impreco: ”p o rc a
miseria, ma è possibile?’
Lazio-Inter è parsa un trattato
di avanspettacolo.
Come sportivo, è stata un’enorme
delusione. L’avevo detto prima:
’Non è possibile che nel campionato
italiano le ultime tre giornate
del torneo non siano giocate
in contemporanea’. Con la cultura
del sospetto, a volte suffragata
dai fatti, presente alle nostre latitudini,
far disputare tutte le gare
alla stessa ora, rappresenterebbe
un essenziale deterrente.
Ma?
Ma regna il business e quindi,
conseguentemente, anche spettacoli
come Lazio-Inter. Quello
che mi ha addolorato di più è stata
l’immagine che abbiamo dato all’estero.
Una squadra che rinuncia
alla lotta, in certi paesi, suona
come uno scherzo di dubbia eleganza.
Come si vince la battaglia per uno sport pulito?
Con tifosi che incitano la loro
squadra, pretendendo il massimo,
senza mettere al centro dei
propri dogmi le altrui disgrazie e
senza necessità di spettacoli desolanti
come quello dello Stadio
Olimpico.
arrabbiato?
Alcuni aspetti delle ultime settimane
mi hanno indignato. Quelle
parole così nette dei vincitori
ad esempio: ”abbiamo vinto uno
scudetto contro tutto e contro
tutti”. Questa sicumera, anche un
po’ ridicola, mi fa riflettere. Non
sono bastate le immagini televisive
di Lazio-Inter per stendere
un velo definitivo su quello che è
accaduto davvero?
D u ro.
Per indole, fare polemica è tra le
cose che meno mi interessano al
mondo. Però ci vuole onestà e
una raffigurazione come quella fa
sorridere. Allora chiedo a chi sostiene
quelle posizioni: ”Ma credete
sul serio a quello che dite?”.
A me pare somigli da vicino alla
storia dell’ultimo giapponese
che non sapeva che la guerra fosse
finita.
Metafora storica.
Hanno visto un film che non esisteva
e nell’isola Italiana, hanno
trovato tante persone che hanno
abboccato a una storiella risibile.
Mi lascia l’amaro in bocca. Ogni
allenatore, presidente, tifoso,
può declinare un suo cahier de
doléances, stilare una lista delle
recriminazioni, ma perlomeno
chi vince in quel modo, abbia il
buon gusto di non dire nulla.
Ha chiesto anche sanzioni sullo
striscione che a Totti riservava
pensieri non gentilissimi.
Mi pare il minimo. stato sanzionato
Totti? Può starmi anche bene,
però voglio vedere equanimità.
Guardi, so anche chi è stato.
Materazzi?
No, lui non c’entra. Ha messo
quella maglietta, ma il suo gesto,
per dire, non mi ha dato fastidio.
E il ministro La Russa pronto a
mischiare sacro e profano?
Non mi dà irrita che tifi per l’Inter.
Mi sarei atteso però più equilibrio,
una diversa equità di giudizio.
Ranieri dica la verità, domenica
ci ha creduto?
Ho sperato, sofferto, pregato laicamente,
ma sapevo che fino al
fischio finale ogni secondo sarebbe
stato utile per spegnere il nostro
sogno. Sa qual è la verità?
Dica.
Qui ci meravigliamo che una
squadra come il Siena faccia il
proprio dovere, e non ci stupiamo
o meglio disgustiamo, se una
formazione non gioca affatto.
Mou saluta. Le dispiace?
Sì , è un avversario di quelli giusti.
La sua mancanza si sentirà soprattutto
sulla stampa. Dà titoli, qualsiasi
cosa faccia, se incrocia le
gambe o fa la mossa di John Travolta
nella febbre del sabato sera.
E se dice che lei è un ipocrita?
Mi duole, lo preferisco in versione
letteraria. Sulla Nausea di Sartre
mi ha divertito.
Ottimi suggeritori comunque.
Fa il furbo, lo sappiamo. Manda
qualcuno ad ascoltare cosa hai
detto e poi si prepara. Vecchio
trucco. Ma Sartre nel ”64 rifiutò il
premio Nobel dicendo: ”Non voglio
essere letto in quanto Nobel,
ma solo se il mio lavoro lo merita”.
Ecco, se Mou permette, di
Sartre mi approprio anch’io: ”Mi
piacerebbe essere ricordato solo
perché il mio lavoro lo merita”.
Meglio cenare con Zeman?
E’ successo. Zdenek è una persona
squisita. Abbiamo discusso intensamente
e visti i suoi silenzi,
converrà che la notizia è questa.