Alesandro Ferrucci, il Fatto Quotidiano 19/5/2010;, 19 maggio 2010
QUALCUNO SE L’ CAVATA. I BAMBINI ”SGARRUPATI” DI ARZANO VENTI ANNI DOPO
Vincenzo adesso ha
un’officina meccanica.
Ripara auto, moto,
motorini. L’ha aperta
ad Arzanello, la zona antica
di Arzano, la zona più ”s g a rr
upata” dell’intero paese.
A due passi c’è la scuola Primaria
Statale ”Tiber io”. Lui,
ve n t ”anni fa, andava lì.
Il suo maestro era Marcello
D’Orta. Lui è uno dei bambini
di Io speriamo che me la
cavo. Ed è sempre lui ad aver
fatto scoprire al mondo il
termine ”sgar r upato”, poi
finito sull’E n c i cl o p e d i a
Treccani (sì, proprio lì).
Siamo a otto chilometri da
Napoli, a 2 in linea d’aria da
Scampia e Secondigliano.
Afragola poco oltre. Lo chiamano
il quadrilatero di Gomorra,
lo stesso raccontato
da Roberto Saviano prima e
Matteo Garrone poi. Droga,
buche, immondizia, fetore,
omicidi (quattro negli ultimi
cinque mesi), un comune
sciolto per infiltrazioni
malavitose, edilizia ”s p o n t anea”,
tutto vero. Anche i navigatori
satellitari si perdono
tra vie, viuzze, strade fantasma
e cavalcavia improbabili.
Dove il mercato del
mattone non rispetta i parametri
nazionali: in alcune
zone si toccano i mille euro
a metro quadro ”a patto che
ci sia qualche coraggioso
pronto a tirarli fuori” p re c isa
un agente immobiliare
del luogo. ”Qui, il primo
piano regolatore, è stato approvato
pochi mesi fa dopo
q u a ra n t ”anni di libera iniziat
i va ” racconta un esponente
della Cgil locale.
In questa realtà, nasce nato
un libro da oltre due milioni
di copie vendute nella
sola Italia, traduzioni sparse
per l’intero mappamondo,
compresa Corea del Sud e
Giappone; un film di Lina
Wertmüller con Paolo Villaggio
protagonista e uno
spettacolo teatrale che ha
calcato i maggiori palchi
dello Stivale. Un vero e proprio
caso editoriale, non ancora
digerito dal paese campano:
’Quello (il maestro
D’Orta, ndr) si è venduto
qualcosa di inesistente, ci
ha fatto passare per dei cafoni,
quando certi problemi
esistono ovunque” è il re -
f ra i n perenne. Guai a obiettare
o chiedere che fine hanno
fatto i ragazzi. Silenzio
assoluto, degno del miglior
lutto o della più grande vergogna.
Quasi nessuno ricorda,
altri nicchiano, altri ancora
insultano o se ne vanno.
C’è anche chi, vent’anni
fa, è arrivato a portare in tribunale
il maestro per ottenere
i diritti d’autore per i
propri figli. Non gli è andata
bene e oggi preferisce tacere:
’Meglio lasciar perdere.
Cosa fa adesso il mio ragazzo?
Sta bene ed è sposato,
ma non vuole parlare, ha
sofferto troppo”. Ma questa
non è stata l’unica causa intentata
o solo pensata: anche
il celebre bidello, quello
che nel libro (e poi nel
film) vendeva i quadrati di
carta igienica ai bambini,
non è stato particolarmente
lieto dell’improvvisa botta
di notorietà.
Comunque, a prescindere
dai soldi, un risultato c’è
stato: lo stesso maestro non
è più potuto tornare ad Arzano
per le tante minacce.
E le poche persone disposte
a ricostruire il quadro di
quegli anni ”80, lo fanno a
voce bassa. Di nascosto.
’Vede, siamo un piccolo
paese, appendice di una
grande realtà, quella napoletana.
Allora, quei riflettori, ci hanno quasi spaventato
’ spiega un insegnate ora
in pensione ”. All’i m p rov v iso
tutti parlavano di noi, ridevano,
ci puntavano il dito
contro come fossimo il peggio
del peggio. Ci siamo
sentiti schiacciati al muro e,
forse, non abbiamo avuto la
forza di uscire dall’angolo e
sfruttare quel momento per
riflettere e migliorare. Peccato.
Però, rispetto ad allora,
la scuola è tutta un’a l t ra
cosa”. Vero.
’Allora era
esattamente
come descr itta
nel libro’ r icorda
Antonella Schioppa
’: i miei compagni
erano così,
quasi tutti scugnizzi:
c’era il
bullo, quello disagiato,
l’altro con
problemi psichici o il bambino
qualunque. Io ero con
l o ro ”. Sì, anche lei se l’è ”c ava
t a ”. Come Vincenzo.
Adesso fa l’attrice, la ballerina,
la cantante, un’a gente
che si occupa della sua immagine.
Ha anche un nome
d’arte ”A nya s h ”, e ha partecipato
ad alcune trasmissione
Rai. Raramente torna alle
’or igini” (’Quando vado a
trovare mia madre”) e parla
dei suoi amici di allora come
di uomini realizzati
(’Ora hanno tutti un lavoro
”). Non è così. Sì, la maggior
parte di loro ha affron-
(© OPENSTREETMAP CONTRIBUTOR, CC-BY-SA)
tato un percorso ”cl a s s i c o ”:
lavoro, famiglia, figli. Magari
al nord. Altri hanno dato
seguito alle intemperanze
adolescenziali e si sono
messi nei guai, specialmente
con la droga.
’Come era il paese? – p rosegue
Antonella – legga il libro.
Non c’è nulla di inventato.
Vede, la nostra era ed è
una realtà complicata. Dove
la criminalità si sentiva sin
dall’i n fa n z i a ”. Ieri, come oggi.
Nella stessa scuola ”Ti -
ber io” ci spiegano come è
possibile avere, per classe,
anche sei-sette figli di carcerati,
ex carcerati o ai domiciliari.
’Vuol dire – ra cconta
una delle insegnanti ”
rapportarsi con alunni difficili
da trattare, spesso non
abituati a confrontarsi con
le regole, con dei ”no’.
Certo, allora la realtà esterna
era peggiore, molto.
C’erano delle madri che si
presentavano in pigiama, o
degli studenti della quarta
che entravano nel cortile
con il motorino. Quindi
scorribande e dispersione.
Oggi no, fuori da quel cancello
(e indica l’entrata, ndr)
c’è una Arzano, qui dentro
ci siamo noi”.
Tradotto: l’istituto ha una
struttura all’ava n g u a rd i a .
Via gli stereotipi. Via i preg
iudizi.
Dentro c’è la sala computer,
la biblioteca, il teatro. Uno
spazio insonorizzato dedicato
alla musica e una palestra
con il campo regolamentare
di basket.
Quasi tutti i bambini portano
il grembiule con il fiocco
al collo, i bagni funzionano
’ la direttrice ci tiene, molto,
a farcelo notare ”, a metà
mattina si distribuisce la
frutta o la verdura. Si realizza
un giornalino. E si insegna
la raccolta differenziata.
Anche i genitori rispettano
la liturgia della
campanella: aspettano fuori
dalla struttura ed entrano
solo dopo il via libera dei
bidelli.
Tra loro c’è anche uno dei
vecchi alunni del maestro
D’Orta. Sono passati
ve n t ”anni, è diventato un
uomo ed è pronto a stringere
la manina di suo figlio. Alessandro Ferrucci • IL MAESTRO D’ORTA: DA ALLORA MI HANNO IMPEDITO DI TORNARE (per vedere domande e risposte apri il frammento) - ”I l manoscritto l’avevo spedito a tutti
gli editori. Nessuna risposta. Poi,
quando lo stavo per buttare nel secchio,
ecco l’idea di proporlo a Mondadori. E da
lì è nato tutto”. nato uno dei più grandi
successi editoriali italiani.
Maestro D’Orta, qualcosa di inaspettato...
Totalmente: pensi, ne stamparono solo 5
mila copie. Poi un articolo de il Mattino, in
seguito ripreso dagli altri, ed ecco il ”bot -
to”.
Cos’è successo dopo la pubblicazione?
Il paese si spaccò in due per le critiche.
Adesso la accusano di aver esagerato.
Guardi, vent’anni fa, nella mia scuola, le
condizioni erano esattamente quelle
scritte nei temi: mancava la palestra, i bagni
erano indecenti e così via. Di mio non
ho messo niente. Al limite ho solo organizzato
una sorta di collage...
Vuol dire?
Assegnavo una determinata traccia, poi
tagliavo il superfluo e magari assemblavo
vari temi ad argomento unico, tipo ”de -
scrivi il tuo paese”. Ne traevo la summa.
Dopo la pubblicazione, non è più potuto
tornare ad Arzano...
così. Ho ricevuto molte minacce. E i genitori
si riunirono in una sorta di comitato
per ”battere cassa”, per i diritti di autore.
Come è finita?
Non era possibile, perché i temi non provenivano
solo da Arzano, ma anche da Secondigliano
dove ho insegnato 5 anni.
Perché nel libro si parla solo di Arzano?
Lo decise la Mondadori per creare il caso
maestro-contro paese. Insomma, una
questione di marketing esattamente come
nel caso di Lara Cardella con Licata per
’Volevo i pantaloni”.
I proventi sono rimasti tutti a lei...
Ho cercato di regalare una bella cifra al
bambino più povero del paese, a simbolo.
Niente da fare, ho dovuto rinunciare.
Perc hé?
Scoppiò una guerra tra famiglie per dimostrare
chi era il più povero. Non solo: alcuni
produssero dei falsi per accreditarsi
come ”genitori degli autori” dei temi.
Da allora, come è cambiata la sua vita?
Completamente: ho mollato l’insegna -
mento, ora sono uno scrittore, faccio
l’opinionista. E vivo a Napoli. al. fer.