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 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

SANGUINETI E IL GRUPPO 63: IDEOLOGIA E LINGUAGGIO


Anche i suoi nemici, che non sono stati pochi, dovranno ammettere che Edoardo Sanguineti è stato tra i maggiori rappresentanti del rinnovamento letterario degli anni 60, cui diede contenuto politico. «Un nuovo linguaggio, per una nuova prospettiva ideologica»: sotto questa definizione, che Sanguineti avrebbe formulato quarant’anni dopo, si potrebbero rubricare i propositi che ispirarono il Gruppo 63, propositi di rottura decisa con i modelli e con la tradizione, con il neorealismo della prosa e con l’ermetismo della poesia. Intenti precocemente messi sulla pagina già nel ”56, con Laborintus, vera e propria prova di dissoluzione, dall’interno, del linguaggio poetico. Fu questa sua prima raccolta a metterlo in contatto con il futuro maestro dello sperimentalismo, Luciano Anceschi, e con la rivista «Il Verri», destinata a diventare il laboratorio di quella che sarebbe stata la neoavanguardia, animata da giovanissimi intellettuali come Balestrini, Eco, Giuliani, Pontiggia.

E a chi gli chiedeva, in anni recenti, se avanguardia e materialismo storico fossero rimasti da allora i fondamenti (anche provocatoriamente anacronistici) del suo pensiero, Sanguineti rispondeva: «Non si può rimanere niente a vita. Io posso essere stato stalinista o filocinese. Non si tratta di replicarsi o mantenersi immobili. Il mio difetto è l’ostinazione: sono rimasto freudiano, materialista storico, avanguardista perché per il momento non ho trovato niente di meglio». Alle tre accuse degli avversari della neoavanguardia, fu lo stesso Sanguineti a rispondere lucidamente in forma di autocritica nelle celebrazioni del 2003. Primo, la neoavanguardia, dietro l’apparenza della contestazione, accompagnava e interpretava la cultura neocapitalista? vero, tant’è che uno dei suoi obiettivi polemici fu proprio Pasolini e con lui quella che veniva avvertita come una resistente «nostalgia» per il mondo rurale e pre borghese. Per Sanguineti bisognava invece fare i conti, «senza illusioni», con lo sviluppo capitalistico. E però per affrontare questa sfida non bastavano i contenuti, ma era necessario mettere in gioco le forme, i linguaggi.

La seconda accusa era l’ambizione (strisciante) di conquistare posti di potere (università, Rai, editoria): in realtà – ribatteva Sanguineti’ il desiderio era quello di opporsi all’establishment crociano, al bellettrismo di derivazione fascista, al naturalismo neorealista, e in seguito al «bestsellerismo trivial-letterario». Su queste basi, è vero, il Gruppo 63 ha voluto imporre una sua egemonia politico-culturale. Terzo rimprovero: la neoavanguardia ha prodotto tanta teoria e pochi testi. Risposta: solo se si considera che si trattava in realtà di testi che non avevano niente a che fare con le forme precedenti (i «romanzi ben fatti») e che proponevano un’altra idea di letteratura (vedi Fratelli d’Italia).

A tutto ciò, Sanguineti, anche contro le opinioni diffuse all’interno del Gruppo, ha voluto fedelmente (per non dire ostinatamente, appunto) dare un senso in chiave di analisi marxista, mentre altri preferivano prospettive a-ideologiche e disimpegnate. Tra questi, Angelo Guglielmi, che oggi definisce Sanguineti «un grande inventore di linguaggi con una forte adesione alla realtà dell’esperienza, dotato di una lucidità unica, lettore onnivoro di Marx, di cui ebbe esperienza diretta e sofferta, a differenza di tanti altri sedicenti marxisti». Ed è proprio l’ideologia (in «unità dialettica» con il «linguaggio» sin dal titolo di un suo famoso saggio teorico) a distinguere Sanguineti all’interno della neoavanguardia e a caratterizzarne la personalità critica. Il poeta amava un linguaggio pochissimo sostenuto da dichiarazioni esplicite, ma consegnato piuttosto a una corporalità espressiva disarticolata e a tratti balbettante.