BRUNO RUFFILLI, La Stampa 17/5/2010, pagina 19, 17 maggio 2010
YOUTUBE HA PERSO L’INNOCENZA (+INTERVISTA)
Volevamo dar vita a un luogo in cui chiunque possedesse una videocamera e una connessione a internet potesse condividere una storia con il resto del mondo»: così Chad Hurley racconta la nascita di YouTube nel 2005. Come Steve Chen e Jawed Karim era uno studente un po’ «nerd», diventò un giovane milionario l’anno dopo, quando l’azienda passò sotto il controllo di Google per un miliardo e 650 milioni di dollari. Oggi YouTube è il terzo indirizzo più cliccato di internet, ma è molto diverso da quel sito che ospitava video sgranati e dall’audio incerto.
Sono arrivati i grandi nomi della politica, da Obama a Sarkozy, passando per il presidente Napolitano, mentre le case discografiche se ne servono per lanciare singoli e videoclip, da Miley Cirus a Lady Gaga. Si moltiplicano i trailer dei film, i dietro le quinte, le interviste esclusive. E arrivano i canali tv veri e propri, con contenuti pensati apposta per il web e declinati per tutte le piattaforme tecnologiche dove YouTube è presente: telefonini, computer, iPhone, iPad e ora anche apparecchi televisivi. La libertà di espressione che Hurley e compagni immaginavano esiste ancora, però è sempre più schiacciata tra marketing, pubblicità e strategie commerciali.
La rivoluzione
Esistevano altri servizi per caricare filmati su internet, ma nessuno era altrettanto semplice da usare: YouTube diventò il primo sito web 2.0 conosciuto al grande pubblico, grazie anche alla rivista «Time» che lo incoronò «Personaggio dell’anno» nel 2006. C’erano i blog, nascevano i social network, ma milioni di persone guardavano online il video di un bambino che ride o la parodia di una canzone pop. Oggi su YouTube si trovano concerti e gite scolastiche, compleanni e matrimoni, ma anche testimonianze provenienti da Paesi travagliati da guerre e regimi oppressivi o denunce di soprusi quotidiani: è il «citizen journalism», che è nato e si è sviluppato grazie alla libertà garantita dal web.
I lati oscuri
Tutto insieme, tutto a portata di click. Compresi inni nazisti, cori da ultrà, video più che espliciti, annunci di suicidi e di stragi, scene di violenza su persone o animali. Ovviamente vietati dalle condizioni d’uso di YouTube, ma che inevitabilmente ci arrivano. In Italia il caso più famoso è quello di un ragazzo disabile dell’istituto Albe Steiner di Torino picchiato dai compagni. Il video, ripreso con un telefonino, fu diffuso quattro anni fa su Google Video, (allora concorrente di YouTube) e rimase visibile per quasi un mese, prima che le autorità ne ordinassero la rimozione. Di recente, Google è stata riconosciuta colpevole per non averne controllato preventivamente il contenuto: un compito impossibile, visto che ogni minuto in tutto il mondo vengono caricati l’equivalente di 24 ore di filmati. E la forma più efficace di tutela è esercitata dagli utenti stessi, che possono segnalare video giudicati «non appropriati»; un centro di sicurezza provvede poi a valutarli ed eventualmente a cancellarli.
I diritti
Poi c’è l’enorme quantità di clip riciclate: video musicali, film, programmi televisivi. Materiale recentissimo o vecchio di decenni, spesso coperto da copyright. L’americana Viacom, nel 2007, ottenne la rimozione di circa 100 mila video, mentre la battaglia legale con Mediaset per l’uso non autorizzato di alcuni spezzoni di trasmissioni tv non si è ancora conclusa. Le case discografiche e gli studios hollywoodiani non hanno una linea univoca: per un concerto degli U2 trasmesso in streaming si contano migliaia di filmati rimossi (o concessi, ma col divieto di embedding, cioè di pubblicazione su siti diversi da YouTube). Anche qui, uno strumento di controllo esiste, e si chiama «Content id»: è una filigrana digitale che riconosce video e audio caricati senza autorizzazione. In Italia, tra gli altri, lo usa la Rai.
La sfida
Niente programmi, niente orari, niente gerarchia. YouTube è la televisione del terzo millennio, libera e su misura. Ma il tempo medio che gli utenti passano sul sito è di circa quindici minuti al giorno, contro le cinque ore in media (negli Usa) spese di fonte a uno schermo tv. E la maggior parte degli utenti è sotto i 24 anni. Per questo la prossima sfida è portare il web nella tv: molti apparecchi di ultima generazione possono connettersi a internet senza pc e per navigare tra i video di YouTube basta il telecomando. La qualità delle immagini è paragonabile a quella dei dvd, se non superiore, ma serve comprare una nuova tv per guardare ancora un ciccione che balla?
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YouTube offrirà anche in Italia film e programmi televisivi come in Usa, magari ad abbonamento, seguendo il modello del vostro concorrente Hulu?
«Nel Regno unito e in altri Paesi sono già disponibili e lo sforzo di YouTube è ovviamente quello di allargare l’offerta il più possibile. Attualmente in Italia si possono seguire i canali dedicati dei nostri partner, come Rai, Sky, Panini, de Agostini e molti altri».
Su YouTube c’è anche il Papa…
«Il Vaticano ha capito che la nostra piattaforma è utile per parlare con i giovani e con i fedeli in tutto il mondo. Ogni giorno caricano video in quattro lingue, hanno una programmazione molto ricca. E usano anche un’altra tecnologia che abbiamo sviluppato: per i non udenti l’audio viene trasformato automaticamente in sottotitoli».
Ma i vostri partner cosa ci guadagnano?
«Noi proponiamo un accordo dove inseriamo pubblicità sui video e dividiamo il ricavo, tuttavia i partner possono anche usare il nostro sistema di controllo per eliminare i video pubblicati senza consenso o per avere statistiche sui gusti del loro pubblico».
Nessun problema di privacy?
«Il Content Id è usato solo per gestire i diritti d’autore».