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 2010  maggio 17 Lunedì calendario

TROPPA ENFASI SULL’EURO IN DIFFICOLTA’

La settimana si apre con l’euro debole. Contro il dollaro, a parte il confuso periodo dopo il fallimento di Lehman, non è mai stato così basso dall’aprile del 2006. L’enfasi sulla crisi del cambio europeo è però esagerata: quand’era solo un poco più forte, si diceva fosse sopravvalutato. Misurato in dollari, il prezzo dell’euro è del 6% più alto del suo valor medio da quando esiste.
Ed è meno dell’8% più basso di un anno fa e della media degli ultimi 5 anni. Non è dunque il caso di drammatizzare dimenticando, fra l’altro, che c’è una crisi del valore delle monete nel loro complesso: nell’ultimo anno il valore del dollaro in oro è sceso del 25%.
Un ripiegamento temporaneo del cambio dell’euro è naturale. I provvedimenti a sostegno dei debiti pubblici di alcuni Paesi hanno allungato il periodo durante il quale i tassi di interesse della Bce sono attesi rimanere molto bassi, rendendo l’euro meno attraente. Inoltre, se verranno effettivamente varati tagli di bilancio in diversi Paesi, il cambio un poco più basso può avere qualche utilità per l’insieme dell’area dell’euro, aiutando la competitività di breve e facilitando la sostituzione della diminuita domanda pubblica con maggiori esportazioni nette.
Ci sono poi strani sussurri: che l’euro è debole perché potrebbe disfarsi. Ricomparirebbero le monete più deboli che lo hanno costituito, ma potrebbe anche sdegnosamente risuscitare il marco tedesco. Si tratta di scenari la cui plausibilità tecnica e politica è di gran lunga sopravvalutata da chi ne parla, di solito senza sufficiente competenza. Ma quel che più importa è tener presente che da evoluzioni del genere non ci sarebbe da guadagnare proprio per nessuno. Tutti i Paesi dell’area dell’euro e, in prospettiva, tutti i Paesi dell’Ue, hanno interesse a integrare sempre più le loro produzioni, i loro commerci e le loro finanze: è l’unico e naturalissimo modo con cui possono sfidare la concorrenza globale. Sostituire l’euro con monete che tornano a svalutarsi e rivalutarsi darebbe forse qualche effimero vantaggio, per pochissimo tempo, alla competitività di Paesi deboli e all’immunità di qualche Paese forte dal contagio di problemi internazionali di illiquidità e insolvenza. Ma tutto finirebbe presto in grande disordine, stile Anni 70: aumento dell’indisciplina monetaria, cambi in altalena violenta, inflazioni alte e diverse, taglio dei salari reali, contrazione dei flussi commerciali, disincentivo a migliorare le produzioni, speculazioni più destabilizzanti di oggi, reintroduzione di divieti ai movimenti internazionali di capitali. All’ombra di quei divieti i grandi debitori, soprattutto i governi, sarebbero facilitati a succhiare il risparmio dei creditori, soprattutto delle famiglie. Se l’area dell’euro, da quando esiste, è cresciuta meno di come avrebbe potuto, non è certo colpa dell’euro, ma della mancanza di flessibilità dei cambi delle monete nazionali.
Per quanto riguarda il rapporto col dollaro, gli Usa hanno il vantaggio di un governo unico dietro il loro debito pubblico e la loro moneta e possono più liberamente stampare tanti dollari per rimborsare i titoli di Stato in scadenza, anche perché il mondo pare ancora accettarli come moneta di riserva e come lo strumento di pagamento internazionale di gran lunga più utilizzato. Ma le prospettive della loro finanza pubblica sono peggiori di quelle medie dell’area dell’euro. La quale non ha squilibri di rilievo nei pagamenti col resto del mondo, mentre in Usa il commercio estero ha da più di due decenni un grande deficit strutturale e le produzioni non si sono ancora riorganizzate per ridurlo entro limiti sostenibili. Lo stimolo monetario e fiscale non accenna a diminuire e sta tornando a far crescere l’economia americana in modo artificioso. Dopo il crollo nella prima parte dell’anno scorso, le importazioni Usa sono aumentate al tasso annuo di quasi il 25%, molto più svelto delle esportazioni. E’ difficile dimostrare che il dollaro non è sopravvalutato, almeno rispetto alla media delle altre monete del mondo.
Dalla scorsa settimana l’Europa ha dato netti segni di voler affrontare la crisi con un piglio nuovo e aumentare molto il coordinamento delle sue politiche economiche e della sua finanza. Ha varato il progetto di un grande fondo comune per sostenere la finanza pubblica dei Paesi più indebitati e meno competitivi, ha ottenuto l’impegno di questi ad accelerare i tagli e le riforme, ha preparato un piano per il rilancio del mercato unico, ha impostato una riforma radicale del Patto di Stabilità e Crescita, ha accelerato la discussione sulle riforme della regolamentazione e la vigilanza finanziaria. L’obiettivo è di concretizzare molti di questi cambiamenti prima della fine dell’anno. Nel frattempo la Bce sostiene la liquidità dei mercati cercando di evitare accelerazioni inflazionistiche della quantità di moneta. Nonostante lo stile scomposto di alcuni leader politici e finanziari, è difficile immaginare una ripresa più netta della coesione economica e politica europea. E’ una ripresa che arriva tardi e per ora è più un’intenzione che una realizzazione. Occorre dimostrare subito che si fa sul serio, sia ai tavoli di Bruxelles sia nei governi e nei Parlamenti nazionali. L’agenda delle autorità europee è piena di urgenze, fitta e ambiziosa: merita di essere seguita, anche dal mercato dei cambi, con attenzione critica ma, per ora, con fiducia.