LEONARDO COEN, la Repubblica Affari&Finanza 17/5/2010, 17 maggio 2010
DISASTRI SPA" L’ANNO PI NERO
Martedì 20 aprile, una potente esplosione distrugge e affonda la piattaforma offshore Deepwater Horizon al largo del delta del Mississippi, nel Golfo del Messico. La trivella del pozzo sottomarino va in tilt, le valvole si rompono. Ottocentomila litri di petrolio si riversano quotidianamente in mare. Dai satelliti, le immagini della macchia nera che si allarga sono drammatiche. L’incidente scombussola l’opinione pubblica mondiale. Ma sconvolge anche le Borse di tutto il mondo.
L’immagine e la reputazione delle compagnie che lavorano offshore sono crollati ed è questa una delle prime ragioni che hanno indotto le multinazionali del petrolio ad un profilo mediatico discretissimo. E’ in ballo il loro futuro. Preferiscono aspettare i risultati ufficiali dell’inchiesta comandata dalla Casa Bianca.
Nei settori ad alto rischio come il petrolio e il nucleare, sapere cosa è successo veramente è essenziale.Sono passati 26 giorni: senza che la situazione sia cambiata. Troppo tempo, ormai, è trascorso. Nessuno è riuscito a bloccare la fatale emorragia di greggio: la marea nera sta uccidendo l’ecosistema delle paludi della Louisiana, tonnellate di solventi e sciogli macchia avvelenano il mare. Il prezzo del barile è aumentato del 10 per cento. Le azioni della Bp sono scese in picchiata, così come l’immagine di colosso petrolifero che però investiva nell’energia "verde" (controlla il 20 per cento del mercato mondiale dei pannelli solari, è leader nella produzione di impianti fotovoltaici ed eolici).
Barack Obama ha detto che si tratta di una catastrofe senza precedenti (all’uragano Katrina gli fa un baffo) e ha proposto di aumentare la tassa per sostenere il fondo di responsabilità per i danni ambientali di un centesimo al barile, portandola da 8 a 9 cent (a 10 dal 2017). I petrolieri dovranno sborsare 118 milioni di dollari l’anno in più. Gli analisti Usa valutano in 12 miliardi di dollari il provvisorio bilancio dei danni.
Nemmeno una settimana prima, il 14 aprile, d’improvviso un vulcano remoto, sperduto tra i ghiacci d’Islanda, si era risvegliato dal letargo geofisico: ceneri e lapilli nell’atmosfera. Venti che trascinano microscopiche particelle fin verso l’Africa e il Mar Nero.
Risultato: l’economia mondiale trema. Solo dal 15 al 18 aprile rimangono bloccati 7 milioni di passeggeri: il 18 aprile, il black day dei viaggi aerei europei, l’85 per cento dei voli è annullato. Duecento milioni di euro al giorno, è il danno che denuncia la Iata, l’associazione che raggruppa 230 compagnie aeree in tutto il mondo. E’ come lanciare un sassolino nello stagno. In Kenya si è costretti a distruggere 10 milioni di rose destinate ai mercati europei. Il carburante "avio" cala di 30 euro, in compenso aumenta del 10 per cento quello navale. I trasporti ferroviari sono al limite del collasso.
Il turismo piglia sberle pesantissime, anche perché ciò succede in tempo di crisi. Le ceneri del vulcano stagnano tra le nuvole dell’esausto Vecchio Continente, i prezzi degli hotel s’involano. La Trivago.fr, un sito di confronto dei prezzi e delle prenotazioni alberghiere che pubblica un indice mensile delle tariffe in 50 città europee, ha scoperto che qualcuno ne ha approfittato. Noleggiatori d’auto. E albergatori. Quest’ultimi hanno fatto aumentare i prezzi delle camere, alcuni quasi del doppio, rispetto alle tariffe normali. Quel qualcuno è di Milano, dove i prezzi di una camera doppia standard di un 3 stelle è passato da 119 euro a 231 (in riferimento ad una prenotazione effettuata a marzo, relativa al periodo tra il 15 e il 22 aprile). A Londra gli aumenti sono stati più contenuti, il 52 per cento. A Madrid del 49, a Parigi del 30, ad Amsterdam del 28 e a Barcellona, più virtuosa, del 14 per cento. D’altra parte, è la legge delle catastrofi naturali: quando la domanda è di gran lunga superiore all’offerta.
Già. La chiamano "equazione dell’Eyjafioell", dal nome del vulcano che ha cominciato ad eruttare il 14 aprile e ha paralizzato per più di una settimana il cielo europeo: è ben conosciuta da scienziati e assicuratori. Si chiama Disastri Spa. E’ il conto economico delle catastrofi.
Un’azienda dalle fatture salatissime, spesso incalcolabili: 1,5 miliardi di euro la bolletta (stimata) dell’eruzione solo per il settore aereo. Dal 1900 ad oggi, il Servizio Geologico degli Stati Uniti ha registrato nel mondo una media di 16 terremoti di magnitudo superiore al 7º grado della scala Richter (la punta è stata nel 1943, con 32).
Quest’anno, è già toccato ad Haiti (12 gennaio), Cile (27 febbraio), Cina (14 aprile): il conto dei danni è iperbolico. Nel caso di Haiti, città e infrastrutture da ricostruire totalmente o quasi: ci vorranno da 30 a 40 anni. Senza calcolare i tremendi costi umani.
Duecentociquantamila vittime, 400mila feriti, un milione di senzatetto. In 35 secondi, quanto è durata la devastante scossa, il Paese, uno dei più poveri del mondo con un debito di 1,5 miliardi di dollari ha perso il 40 del prodotto interno lordo perché PortauPrince è stata distrutta e quasi tutto il tessuto industriale ed economico haitiano era concentrato in una fascia di 35 chilometri attorno alla capitale.
Diverso il discorso del Cile, dove il sisma di magnitudo 8,8 ha liberato energia 500 volte più dirompente rispetto a quella che ha colpito Haiti, ma ha causato meno vittime e meno danni, anche grazie allo stretto rispetto delle norme di costruzione antisismiche. E ciononostante, si è volatilizzato il 20 per cento del Pil nazionale, perché la ricostruzione, secondo le prime valutazioni, verrà a costare più di 30 miliardi di dollari: "Per rimettere in piedi il Paese ci vorranno 3 o 4 anni e avremo bisogno di prestiti internazionali", ha dovuto ammettere la neo presidente Michelle Bachelet. Il terremoto ha mandato a gambe all’aria interi settori dell’economia nazionale: oltre all’edilizia, quasi tutti quelli che rappresentano l’ossatura dell’economia locale. Come la pesca, il turismo, la cellulosa, l’agricoltura (in particolare l’industria vinicola, che era in pieno sviluppo). Una brutta botta.
Tanto che i riflessi di questo sconquasso si sono abbattuti sui big della riassicurazione mondiale, costretti a risarcimenti colossali. Swiss Re ha valutato le perdite in 500 milioni di dollari, 400 Munich Re, l’altro grande riassicuratore mondiale, altri grossi gruppi internazionali hanno annunciato esborsi record (RSA, tanto per citarne uno, 45 milioni). Dopo il terremoto californiano del 1995 (costato 20,3 miliardi di dollari) il terremoto cileno è stato, a sentire i Lloyds, il secondo più grave evento sismico del mercato assicurativo mondiale, con perdite attese tra i 4 e i 5 miliardi di dollari. Col risultato che negli ultimi tempi, le compagnie più coinvolte in questo business del disastro hanno lanciato martellanti campagne di prevenzione, invitando governi e privati a mettere in pratica tutti i meccanismi di sicurezza in grado di limitare le conseguenze delle catastrofi naturali: "Non le possiamo prevedere, ma le possiamo contenere".
L’Unione Europea Assicuratori, che ha sede a Milano e raggruppa 400 operatori del ramo, ha in calendario per esempio un convegno all’Aquila (guarda caso...) venerdì 21 maggio, in cui sarà proposto un osservatorio permanente sulla prevenzione, giacché in Italia il 70 per cento dei comuni si trova in zone ad alto rischio sismico e idrogeologico. In questo campo, l’esperienza francese è considerata interessante, soprattutto perché da decenni il modello d’Oltralpe sviluppa una efficace partnership tra settore pubblico e settore privato. L’esperienza ha dato ottimi risultati, ed infatti a raccontare la scelta "necessaria" di politica sociale adottata da Parigi ci sarà Stéphane Penet, direttore Assicurazioni delle Catastrofi Naturali per conto della federazione francese delle società d’assicurazioni. Certo, le compagnie di assicurazione lucrano sui calcoli delle probabilità: che all’Aquila si ripeta il terremoto dello scorso anno in tempi brevi è un’eventualità assai remota (dicono possa succedere di nuovo tra 300 anni...). Hanno quindi tutta la loro convenienza a sfruttare la paura e i timori della gente, degli operatori economici e delle autorità, per stipulare contratti. Ma trovare misure coerenti ed economicamente sensate per ridurre il violento impatto di eventi è considerata una priorità. Secondo il professore Peter Hoeppe, responsabile del settore tecnico Ricerca georischi del gruppo Muenchener Rueck, una società che opera a livello mondiale "per creare valore coi rischi" e che fa parte del gruppo Munich Re, in Italia dal 1980 al 2009 caldo, siccità e incendi boschivi hanno causato danni per 19 miliardi di euro, mentre quelli imputabili alle inondazioni estreme sarebbero addirittura di 30 miliardi (dal database NatCatService).
Senza andare tanto lontani, le piogge torrenziali delle ultime due settimane hanno provocato danni commerciali di oltre 250 milioni di euro solo nell’Italia del Nord, e quasi la metà in Lombardia. A rimetterci il comparto turistico (90 milioni di mancati introiti, di cui 34 per lo shopping e ristorazione, 47 per gli alloggi) e il settore dei trasporti (60 milioni per i ritardi nelle forniture). Non abbiamo tenuto conto dei danni al territorio: esondazioni, argini distrutti, allagamenti, raccolti impossibili. Il mutamento climatico, magari col concorso scellerato dell’uomo, è una tassa fissa ormai del nostro vivere quotidiano. Previsto nei bilanci degli Stati e nei preventivi delle assicurazioni.