MASSIMO NOVELLI, la Repubblica 16/5/2010, 16 maggio 2010
LA GUERRIERA DI GARIBALDI
Il 23 maggio del 1862 usciva su Lo Zenzero, «giornale politico popolare» di Firenze, un articolo, breve ma commosso, intitolato semplicemente Antonia Marinello. L´anonimo articolista si rivolgeva ai «Popolani miei carissimi». Domandava loro se avessero visto «jeri l´altro sera quella bara che portava un cadavere all´ultima dimora», e se sapessero chi fosse la persona morta: «...dissero una Garibaldina... Non sapete altro?... Dunque ascoltate». Chi ascoltò, e lesse, apprese che la morta era Antonia Marinello, «che appena attaccata la guerra nell´Italia Meridionale assieme a suo marito corse colà nelle file del Generale Garibaldi». Una vivandiera, dunque? «No, vi ho detto che combatté, che vuol dire che col suo fucile in spalla fece tutto quel che fecero quei generosi giovani», dalla Sicilia al Volturno. E lo fece sotto mentite spoglie, facendosi passare per il fratello del consorte, dato che l´arruolamento delle donne non era consentito. Così, per molto tempo, «i suoi camerati non si erano avveduti, che essa era una femmina».
Antonia, o Tonina, esule veneta, era morta due giorni prima di tisi a Firenze, dove abitava con il suo compagno in una «delle più umili casette che sono alla piazza de´ Marroni». Di lì a poco, in luglio, avrebbe dovuto compiere ventinove anni. Al suo funerale andarono in tanti. E a quella folla dovette unirsi anche Francesco Dall´Ongaro, uno dei poeti più amati del Risorgimento. Non molto tempo dopo dedicò un canto struggente, musicato in seguito da Carlo Castoldi, alla giovane che aveva indossato la camicia rossa dell´Esercito Meridionale di Giuseppe Garibaldi. Scrisse: «L´abbiam deposta la garibaldina / all´ombra della torre a San Miniato». E ancora, parafrasando Dante: «Era bella, era bionda, era piccina, / ma avea cuor da leone e da soldato». I versi vennero incisi sulla lapide nel cimitero delle Porte Sante di San Miniato. Di Tonina, come ormai la chiamavano affettuosamente, parlò persino un quotidiano di New Orleans, The Daily True Delta. Il 10 agosto di quel 1862 raccontò di «an italian heroin», un´eroina italiana, fra cronaca e leggenda. Poi su di lei cadde il silenzio. E venne dimenticata.
L´oblio durò a lungo. Fino a quando a Cervarese Santa Croce, un paese in provincia di Padova, tra il fiume Bacchiglione e i Colli Euganei, Giovanni Perin, poeta «per diletto» in lingua veneta, suo figlio Piero, scultore, entrambi scomparsi, e soprattutto Alberto Espen, storico e bibliotecario, hanno cercato di riportare un po´ alla luce la storia della garibaldina. Il suo vero nome era Antonia Masanello. Nata a Cervarese nel 1833 in una famiglia contadina, aveva cominciato giovanissima a cospirare contro gli austriaci con l´uomo con il quale si sarebbe sposata, che verosimilmente si chiamava Marinello. Pare che i due fossero stati incaricati di aiutare chi voleva espatriare dal Lombardo-Veneto e raggiungere il Piemonte. Non si ha notizia di quando Tonina, il suo compagno e la loro figlioletta, che nel frattempo era nata, passarono a loro volta il confine. Sorvegliati dalla polizia, sospettati di professare idee liberali e mazziniane, prossimi a essere arrestati, nei primi mesi del 1860 riuscirono a riparare a Modena.
Si stava preparando l´impresa garibaldina in Sicilia. Lasciata la figlia a Modena da un amico, Tonina e il marito corsero a Genova. Lì seppero che erano appena salpati il "Piemonte" e il "Lombardo". Non si persero d´animo. S´imbarcarono nel giro di qualche settimana, forse con la spedizione guidata dal pavese Gaetano Sacchi, una delle tante che avrebbero portato rinforzi e armi a Garibaldi. Lei si arruolò come Antonio Marinello e venne inquadrata nel terzo reggimento della Brigata Sacchi, facendo tutta la campagna di liberazione.
Fu la sola donna garibaldina del 1860, oltre alla moglie di Francesco Crispi, che aveva seguito i Mille dallo scoglio di Quarto? Per quanto concerne le truppe regolari, non si sa. Vestiva la divisa delle Guide, ma senza nascondere la sua bellezza, la contessa Martini Giovio della Torre, che si era invaghita del Generale. C´era qualcuno che conosceva la reale identità di Tonina? Si dice che ne fossero a conoscenza soltanto il maggiore Bossi e il colonnello Ferracini, altre fonti aggiungono Francesco Nullo, bergamasco, il «più bello dei Mille», e lo stesso Eroe dei Due Mondi, che avrebbero visto sciogliersi i suoi capelli biondi, dapprima raccolti sulla nuca, nel furore di uno scontro.
Rammentò Lo Zenzero che Tonina «quando gli toccava o gli veniva ordinato montava le sue guardie, faceva le sue ore di sentinella a´ posti avanzati - il suo servizio di caserma; insomma faceva tutto ciò» con «disinvoltura e coraggio». Nella sua monografia su Cervarese Santa Croce, Espen afferma che gli ufficiali dicevano che Tonina «avrebbe potuto comandare un battaglione se la sua condizione di donna non gliel´avesse impedito». Vennero la gran battaglia del Volturno, il trionfo di Garibaldi, di Bixio, di Cosenz, di Medici, di Dezza, di Türr, dei picciotti siciliani, di Sacchi. La garibaldina ottenne, il brevetto da caporale e il congedo con onore. Arrivò il giorno della smobilitazione. I piemontesi incassarono l´Italia fatta dalle camicie rosse e le mandarono a casa.
Tonina e il marito andarono a prendere la loro bambina, trasferendosi a Firenze. Vissero in povertà. A un certo punto lei si ammalò. Era una malattia, disse Lo Zenzero, «acquistata nelle fatiche della guerra». Spirò «nelle braccia del marito lasciandolo nel pianto in terra d´esilio». Ada Corbellini, una poetessa di Parma deceduta anche lei giovane, a ventisei anni, in una notte di luglio del 1863 compose una lirica in cui espresse il desiderio di essere sepolta accanto alla tomba di Tonina, a San Miniato. Ora le spoglie della garibaldina non sono più all´ombra della torre. Nel 1957 vennero traslate nel cimitero fiorentino di Trespiano. Aveva dato la vita per fare l´Italia. E ovviamente l´Italia la dimenticò. Solamente Cervarese Santa Croce, il suo paese, la ricorda. Nella biblioteca comunale c´è una scultura, opera di Piero Perin, che ne immagina il viso. il volto della "Masenela", come si dice in veneto, che Giovanni Perin, il papà dell´artista, aveva descritto così: «Tra i tanti eroi della nostra storia/ registrar dovemo la Masenela/ per conservar viva la memoria/ de sta gueriera dona, forte e bela».