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 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

Natuzza Evolo UNA MAMMA COME LE ALTRE Prima puntata ” Un giorno eravamo al pozzo e la mamma mi insegnò a lavare i calzini: "Guarda, Antò, devi strofinare bene dalle punte

Natuzza Evolo UNA MAMMA COME LE ALTRE Prima puntata ” Un giorno eravamo al pozzo e la mamma mi insegnò a lavare i calzini: "Guarda, Antò, devi strofinare bene dalle punte. Lo vedi, figlio? Ecco, come faccio io, mi raccomando, ché altrimenti non vengono bene"». C’è tutta la dolcezza della madre negli occhi dei cinque figli di Natuzza Evolo, la grande mistica calabrese famosa in tutto il mondo, scomparsa lo scorso 1 ° novembre, nel giorno dedicato a tutti i santi.  Antonio, il secondogenito, a raccontarci uno tra i tanti episodi di vita quotidiana vissuti con una mamma tenerissima, premurosa e sempre presente, anche se immersa giorno e notte nel soprannaturale. l’unico dei cinque rimasto a Paravati, la frazione di Mileto, nel Vibonese, da più parti ribattezzata la "piccola Lourdes". Tre. Francesco, Anna Maria e Angela, abitano a Catanzaro, mentre Salvatore, il primo, si è trasferito a Roma per lavoro. «A quel tempo non avevamo l’acqua e io dovevo aiutare la mamma a portare indietro la cesta dei panni appesantiti», ricorda Antonio, baffi e sorriso generosi. «Ma per raggiungere quel pozzo bisognava attraversare una discesa ripidissima e scivolosa. Ero un giovanottello, così l’accompagnavo, perché ero preoccupato, ma anche fiero di aiutarla. Mia madre aveva capito che volevo darmi da fare in tutto, per cui quel giorno mi spiegò come andavano lavati i calzini. Aveva una tecnica tutta sua anche per piegarli e stenderli». Sotto lo sguardo attento di Natuzza il piccolo Antonio imparò presto. Finito di lavare, se ne tornavano a casa, affrontando insieme quel ripido sentiero, lui con la cesta sul capo. «Stavo attentissimo», racconta ancora, «perché era a strapiombo, ci passavano giusto un piede dietro l’altro. Io, un maschietto, con quella cesta dei panni sulla testa». Natuzza, mistica ”sposa” di Gesù, è stata anche una mamma chioccia per i cinque figli. nati dal matrimonio con Pasquale Nicolace, falegname e poi carpentiere, scomparso nel 2007. In quei giorni a "lezione" di bucato Natuzza, sul finire degli Anni 50, era incinta di Francesco. l’ultimo nato, oggi fa il medico. «Mamma ci ha insegnato a non vantarci del fatto che lei fosse, suo malgrado, così famosa ovunque, che tutti la cercassero», ci spiega, schivo. «E noi abbiamo seguito il suo insegnamento, che poi è quello del Vangelo. Lei era un docile strumento nelle mani del Signore, nient’altro, non si vantava di nulla. Per noi era ”mamma” e basta. Ma la gente che veniva qui neanche si rendeva conto che Natuzza avesse cinque figli e che fossimo proprio noi». Una vita nel silenzio, semplice e nascosta. Di recente. alla presentazione del libro di Luciano Regolo Natuzza Evolo. Il miracolo di una vita (Mondadori). Francesco Nicolace ha parlato in pubblico. Una rara occasione, perché Natuzza ai suoi cinque figli ha insegnato, con il suo esempio, che umiltà e modestia vengono prima di ogni altra cosa. «Per noi è stata una mamma normale, che non ci ha mai fatto pesare la sua "santità"», ha ricordato Francesco. «E se qualcuno ha pensato che noi fossimo dei privilegiati, sbagliava, perché noi tutti abbiamo avuto una vita normale. Mamma ci ha insegnato a non vantarci dei suoi doni, anzi, lei stessa per lunghi anni, finché ha potuto, ha nascosto i suoi segni con noi quando eravamo ragazzi». La scoperta delle stimmate sui polsi avvenne, infatti, per caso, come racconta Francesco: «La mamma era intenta s riattaccare un bottone a una camicia e non si accorse che quei segni sui polsi erano spuntati fuori dalle maniche della sua maglia. Quando le chiedemmo che cosa fossero ci rispose che era un’allergia alla candeggina». Ed è il piccolissimo Francesco, appena 8 mesi, nel dicembre 1956, il protagonista di quella che si può definire la prima guarigione prodigiosa documentata, avvenuta grazie alle preghiere della mistica calabrese. Il bambino era affetto da una brutta gastroenterite e il medico di famiglia, dopo inutili tentativi, lo aveva ormai dato per morto. Natuzza pregava. Pregava senza sosta, notte e giorno, con grande fede, pur nel suo immenso dolore. Più volte si rivolse a Gesù, dicendo: «Se deve soffrire così, è meglio che lo prendi con te». Francesco era già stato posto nella piccola bara, quando, all’improvviso, si svegliò urlando: «Ahi, mà!». Un miracolo. Natuzza, poi, spiegò che aveva pregato Sant’Antonio da Padova, il quale per mezzo dell’intercessione della Madonna, aveva ottenuto da Gesù la guarigione del suo bambìno. [1] *** Natuzza Evolo SGUARDO DI MAMMA Ultima puntata Nello sguardo di ciascuno dei cinque figli di Natuzza c’è impresso quello dolce e profondo della madre. E nei suoi ultimi mesi di vita la Evolo, sempre più sofferente, ha condiviso con la famiglia un linguaggio fatto quasi esclusivamente di sguardi. «Ci hai parlato per lo più con gli occhi», ha detto Francesco, il medico, al funerale della madre, davanti a 30 mila persone. Identici, questi figli, nella discrezione trasmessa da una mamma, che parlava con Gesù e la Madonna, e che sul corpo ha portato fino a 85 anni i segni della Passione. ’Mamma Natuzza”, una madre specialissima per decine di migliaia di fedeli. Ma una mamma come tante tra le mura di casa. Natuzza ha saputo dividersi perfettamente tra l’apostolato e i suoi figli. Felicemente sposati e tutti affermati professionisti (la Evolo è stata anche tenera nonna per i suoi undici nipoti), il ricordo che domina è quello di una mamma attenta e premurosa. Anche in cucina. Nonostante le sue giornate fossero piene, trovava il tempo per preparare pietanze diverse a seconda dei gusti di ciascuno. Natuzza li seguiva (e inseguiva!) anche negli studi. Era lei stessa ad andare a colloquio con i professori. Lei che a scuola non era mai andata. Salvatore, il più grande, ad accennare un gustoso episodio al riguardo. Dal sapore umanissimo, pur condito da un finale soprannaturale: «In quel periodo marinavo la scuola per andare a giocare a carte. Un giorno vidi mia madre arrivare da lontano con una verga per suonarmele. Chi era stato a dirglielo? Il suo angelo custode, che l’aveva condotta fino a lì». Ma è ancora Antonio, il più vivace di tutti (Natuzza chiese, preoccupata, di lui e delle sue birichinate in confessionale a Padre Pio, ma il frate con le stimmate la rimproverò dicendole: «Non hai capito, lui ha un cuore grande»), a raccontarci di quando capitava che, da ragazzino, rientrava tardi la sera e per paura della punizione si fermava a debita distanza dalla porta di casa. Con la madre, poi, avviava lunghe e spassose trattative diplomatiche per evitare le botte. «Dai, vieni qui che non ti picchio», diceva alla fine Natuzza, esausta e sorridente, con quella sottile ironia, che era parte non marginale del suo carattere. E in quella casa la sveglia suonava alle 3 del mattino. «La mamma, il papà e molte volte anche io ci alzavamo a quell’ora», ricorda ancora Antonio, «perché alle 7 fosse già tutto pronto, in modo che lei fosse poi libera per aiutare tutta quella gente». E questo succedeva anche nel periodo pasquale. «Mamma era bravissima a fare i dolci. Poi la sera ci faceva fare i pacchettini, che noi ragazzi distribuivamo a chi veniva a trovarci». Ma Antonio non dimentica di quando di notte sentiva Natuzza lamentarsi, «per quelle sue sofferenze, di cui non parlava con noi». Lui, preoccupato, balzava in piedi. «Mi avvicinavo al suo letto», ci dice con emozione, «ma lei mi diceva: ”Vai a dormire”. A mia volta le rispondevo: ”Mamma, ma ti sento parlare”, e lei ribatteva: ”No figlio, sognavo”». Mistero e assoluta normalità, tuttavia, si fondevano in casa Nicolace. Tra i tanti episodi, c’è quello legato a una capretta che Natuzza ricevette in dono e che era solita mungere per dare il latte fresco ai figli. Una scena quotidiana, dunque, del tutto normale. Racconta, però, Anna Maria che un giorno «questa capretta, mentre la mamma e un gruppo di signore recitavano il rosario, intinse la zampetta nell’acqua di una pozzanghera e scrisse: viva Maria». Anna Maria e la sorella Angela sono state sempre accanto alla madre. Due ”angeli custodi”, pur abitando lontano da Paravati. Ora il vuoto per la sua assenza si sente tutto. «Ma la mamma», si fa forza Angela, «ci ha insegnato che la morte non esiste. Quando nel 2007 nostro padre venne a mancare, lei non voleva che fossimo tristi. Perché, diceva, lui è sempre accanto a noi e non vuole vederci così». Una mamma maestra di vita e di spiritualità, dunque. Ma anche, soprattutto, una mamma innamorata dei suoi figli. Cinque ”campioni” di umiltà, che hanno capito sin da ragazzini l’importanza dell’opera portata avanti dalla madre: anche più di trecento persone ogni giorno bussavano alla porta di Natuzza e per tutti lei aveva una parola di speranza. Riuscendo, da prodigiosa ”equilibrista”, a scandire le sue giornate in casa come tante mamme che lavorano. Un lavoro ”fuori casa” il suo, straordinario e al tempo stesso davvero gravoso: lenire tanto dolore; ma specialmente far conoscere al prossimo, affinché lo mettesse finalmente in pratica, l’amore di Gesù. [2]