Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 16/5/2010;, 16 maggio 2010
IL FATTO DI IERI - 16 MAGGIO 1955
Gli spararono a un fianco, alla testa, poi in bocca, per
tappargliela per sempre. Gli uomini di mafia erano sbucati
all’improvviso, all’alba del 16 maggio ”55, mentre lui,
Turiddu Carnevale, il sindacalista socialista che aveva
osato sfidare i gabelloti di Sciara, stava andando al lavoro,
nella vecchia cava di pietra. Aveva trent’anni e già una
lunga lotta alle spalle a fianco dei braccianti di Sicilia, per
l’assegnazione della terra ai contadini e contro i soprusi
del feudo Notarbartolo. Lo avevano minacciato,
intimidito, blandito, provando a ”offrirgli tutte le olive che
voleva, in cambio della sua acquiescenza”, come scrisse
Carlo Levi nel libro ”Le parole sono pietre”. Non aveva
ceduto e così lo trovarono morto, lungo l’antica trazzera,
dove mamma Carnevale arrivò disperata lanciando il suo
grido contro i killer del figlio, denunciandoli, implacabile,
al Tribunale di Palermo. Una madre coraggio diventata
un’icona dell’antimafia, accusatrice spietata e perdente
nel lungo processo finito in Cassazione con tutti gli
imputati assolti. All’eroe Turiddu, i fratelli Taviani
dedicarono un film, premiato a Venezia nel ”62. Altri tempi.
In cui un film sulla mafia non era considerato anti italiano.