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 2010  maggio 17 Lunedì calendario

DAL CSM ARRIVA LA «PAGELLA» DEI MAGISTRATI

Qual è il carico di lavoro oltre il quale un magistrato o un intero ufficio vanno «in affanno»? Perché solo sei Tribunali hanno creato una Sdas, Sezione definizione affari semplici? possibile – e come? – comparare il lavoro di un giudice civile di Pescara con quello di suoi omologhi a Torino o a Palmi, per stabilire quale tra loro è più produttivo? A queste e a molte altre domande oggi c’è una risposta. Viene dal lavoro di analisi commissionato dal Consiglio superiore della magistratura e svolto per quasi due anni da un gruppo di magistrati affiancati da specialisti in statistica del ministero della Giustizia (si veda il Sole-24 Ore del 19 aprile scorso, pag. 4).
Il nuovo ordinamento giudiziario impone la valutazione quadriennale della professionalità dei magistrati (il cui esito sarà utilizzato nelle domande di trasferimento o per gli avanzamenti di carriera) e nella misurazione rientra anche la «laboriosità intelligente», quel mix di abilità, competenza e organizzazione che evita il mero smaltimento delle carte e tiene alta la qualità. Il sistema creato dai magistrati per misurarsi e farsi misurare è assai complesso, perché complessa è l’erogazione del servizio giustizia e dunque – per essere serio – ogni test sulla produttività dei Tribunali, dei magistrati, dei dirigenti, deve combinare tantissime variabili. Attualmente, la valutazione del lavoro delle toghe avviene in modo empirico e non omogeneo a livello nazionale, perché è basata sul confronto tra i rendimenti di magistrati del medesimo ufficio, tra le statistiche comparate per ufficio, con una rilevazione di fatto cartacea. Puntando sulla «laboriosità intelligente» (qualità più efficienza), sono stati innanzitutto individuati degli standard
sia nel civile sia nel penale che, per esempio, tengono conto del numero di sentenze pronunciate, ma anche dei procedimenti chiusi in modo diverso dalla sentenza: una quota di lavoro che altrimenti sfuggirebbe ai conteggi. Da fine 2008, le due pattuglie di magistrati e statistici, hanno esplorato per mesi il civile e il penale in centinaia di uffici giudiziari interloquendo fittamente con migliaia di colleghi e con il personale amministrativo; hanno così potuto raggruppare la popolazione togata in otto cluster,
(grappoli), raggruppamenti omogenei per grandezza degli uffici, sopravvenienze, dotazioni tecnologiche, arretrato, tipo di organizzazione, specificità dei ruoli rivestiti ecc. All’interno di uno stesso cluster tutto diventa confrontabile (due Procure, due sezioni di Tribunale, due uffici Gip) in modo sempre più preciso, affinato, fino a misurare il lavoro del singolo e compararlo con altri colleghi.
Si è potuto così capire, per esempio, che un ufficio di sorveglianza va «in affanno» quando i fascicoli diventano più di 300 per giudice; lo stesso avviene se un monocratico ha più di 1.250 casi da smaltire. «In affanno» significa in tilt: cioè si innesca una spirale negativa in cui non è più possibile capire se è un ufficio inefficiente a creare arretrato o se è il carico di lavoro a paralizzare l’ufficio. Ma intanto le pile di faldoni crescono.
Nel mettere a punto il metodo di valutazione, i gruppi di lavoro sono incappati in dettagli sconcertanti come questo: non esiste una rilevazione delle presenze giornaliere. Niente a che fare con i tornelli di brunettiana memoria, ovviamente, perché le giornate/giudice contano anche se trascorse a scrivere sentenze a casa. Ma se in un ufficio di 7 magistrati vengono "lavorati" 7mila fascicoli, la media di mille a testa risulta sottostimata quando ( e non è raro)l’organico reale è dimezzato o se non si precisano malattie, applicazioni, maternità, fuori ruolo ecc.
Resta che nel 2010 il dato presenze/ giorno dev’essere costruito. Per l’indagine servita a costruire il modello, un foglio excel , la disponibilità dei colleghi e la buona volontà del personale, hanno tappato un " buco" non da poco.
Altro elemento che indica quanto complesso sia misurare la produttività nel pianeta Giustizia, viene dal settore penale. Solo sei Procure in Italia hanno costituto la Sdas. Tra queste Milano dove, tanto per capire la dimensione del fenomeno, la Sezione affari semplici (in cui ruotano a turno i sostituti procuratori) ha definito oltre il 60% dei casi trattati. Casi semplici, appunto, che non meritano ulteriori indagini e che quindi possono andare a sentenza o essere archiviati. Un bel sollievo per i Pm impegnati su fronti più complicati della Sim clonata o della spendita di moneta falsa. In genere, il carico di lavoro è tale che questo tipo di reati lascia la precedenza ai casi urgenti o più complessi e le cartellette aspettano negli armadi la prescrizione o l’archiviazione di massa anni e anni dopo. Però, non tutti i Tribunali possono permettersi una Sdas, perché se i Pm archiviano, i giudici non possono farlo e se un tribunale non ne ha a sufficienza, sommergono di carte e di udienze i colleghi giudicanti. Dopodiché, i numeri di arretrato, smaltimento e produttività delle toghe diventano i numeri da incubo cui siamo abituati. Anche l’efficienza delle Sdas, a volte, può essere un lusso.
Secondo il progetto di valutazione che sta per andare all’approvazione del plenum del Csm, sarà il sistema informativo centrale a creare i cluster e produrre gli standard sulla base dei valori dei quattro anni precedenti quello in valutazione. Perché ciò possa accadere, ovviamente, dovranno andare a regime il caricamento e l’estrazione omogenea, un tema sul quale è indispensabile l’apporto di chi ha in mano le chiavi della cassa e dell’organizzazione, cioè Via Arenula.
Ma questa storia è ancora tutta da scrivere.