Gianni Trovati, Il Sole-24 Ore 17/5/2010;, 17 maggio 2010
IL BUSINESS DEI GOVERNATORI - I
numeri assoluti dicono che le partecipate regionali sono tante, e abitano soprattutto a Sud. L’analisi del loro peso sulle economie territoriali suggerisce il contrario, e disegna un ruolo tutto sommato marginale,con un’eccezione plateale: la Campania, dove il portafoglio delle partecipazioni è in perdita, ma ha il primato per dimensioni del personale e registra un valore della produzione che supera l’8% del Pil regionale. Altrove, quest’ultimo dato oscilla sempre tra lo zero e l’1 per cento.
La contraddizione è solo apparente, e indica bene le caratteristiche e le evoluzioni vissute dal modello delle imprese possedute o partecipate dalle regioni. I governatori- imprenditori sono presenti in modo diretto nel capitale di 434 società, metà delle quali sono concentrate in cinque regioni: la Sicilia, con le sue 66 imprese, mantiene un primato saldo, seguita da Umbria (49 partecipazioni dirette) e Piemonte (41); Campania e Toscana completano il quintetto delle regioni più attive. Solo di alcune è disponibile il dato sui dipendenti, ma estendendo a tutti il valore medio si arriverebbe a un esercito di 266mila persone impiegate in queste aziende.
I dati sono tratti dal rapporto sulle partecipate regionali che Finlombarda (la società finanziaria di Regione Lombardia) ha appena chiuso passando al setaccio le partecipazioni pubbliche dirette e indirette. Quando ci si addentra nella rete di queste ultime, cioè delle società partecipate da altre imprese regionali, il palcoscenico si affolla di 1.410 soggetti, e i primati si spostano a Nord (in Piemonte sono 176, in Emilia Romagna 133). Qui arriva la prima indicazione: a Nord s’incontra una governance più articolata e ramificata, nel Mezzogiorno sembra prevalere un modello costituito da più società isolate. Quando poi si scorre il conto economico balzano agli occhi differenze ancora più immediate e concrete: il "sistema" campano (in perdita, come Sardegna, Lazio, Calabria, Puglia, Marche, Molise, Umbria e Basilicata) primeggia per le dimensioni del personale, quello della Sardegna registra le perdite più importanti (colpa soprattutto di Carbonsulcis, Interventi Geo Ambientali e l’Arst, attiva nel trasporto pubblico locale), mentre l’unione " virtuosa" fra costi del personale leggeri e utili di esercizio più vivaci si incontra in Trentino Alto Adige e Veneto.
«Come capitalisti pubblici – fa un bilancio Marco Nicolai, docente di finanza pubblica e dg di Finlombarda ”le regioni sfigurano di fronte alla rete di partecipate degli enti locali. In nome della sussidiarietà, penso che più si restringe il perimetro di azione diretta del pubblico meglio è, ma non bisogna generalizzare; se ci si scandalizza dell’avventatezza con cui le pa usano i derivati o i fondi immobiliari, non si può rinunciare a società pubbliche leggere ma in grado di offrire tutela e know how. Più difficile è giustificare partecipazioni in settori come le miniere o l’agroindustria, figlie di un vecchio capitalismo pubblico ».
La geografia dei rami di attività è anche il primo fattore che incide sugli indicatori di efficienza; ogni regione ha la sua, naturalmente, ma la divisione per settori mostra una polarizzazione netta: la finanza (finanziarie, confidi, fondi di garanzia) assorbe il 53,9% delle partecipazioni dirette, e insieme a infrastrutture (21,1%: autostrade, porti, ferrovie) e utilities (6,5%) completa in pratica la gamma delle attività delle imprese regionali.