Marco Sarti, Il Riformista 16/5/2010, 16 maggio 2010
LO SCUDETTO UN AFFARE DI PETROLIO
Uno scudetto nero, coperto di petrolio come nemmeno il mare della Louisiana in questi giorni. Si chiude oggi uno dei campionati di calcio più avvincenti delle ultime stagioni. A contendersi il tricolore, ancora una volta, Inter e Roma. Due squadre che hanno costruito la propria fortuna su milioni di barili di greggio.
Massimo Moratti e Rosella Sensi, Saras e Italpetroli. Storie di pallone e di raffinerie. Di padri ingombranti e di ingenti eredità. I due sceicchi del calcio italiano - per dirla con le parole di Fedele Confalonieri - sono loro. Un destino in comune per il nerazzurro Massimo e la giallorossa Rosella: entrambi guidano i club più in forma della serie A e due delle principali società italiane attive nel settore petrolifero. In tutti e due i casi, perennemente all’ombra dei più famosi genitori.
Il confronto con il padre, per Massimo Moratti sembrava essere diventato quasi un incubo. Per anni la ”Grande Inter” di Angelo - indimenticato patron dal 1955 al 1968 - ha rappresentato un paragone irraggiungibile. Una squadra in grado di conquistare tre scudetti, ma soprattutto due Coppe Campioni e due Coppe Intercontinentali. Ai vertici del club nerazzurro da quindici anni, Massimo non è ancora riuscito a eguagliare suo papà. Tra una settimana, contro il Bayern Monaco, la squadra di Mourinho proverà a vincere la prima Champions dell’era Moratti jr. Un miraggio che il presidente ha pagato a caro prezzo (nelle ultime tre stagioni ha sperperato sul mercato oltre 500 milioni di euro, proventi delle raffinerie fondate dal padre nel 1962). Ottenendo qualche scudetto, certo. Ma anche l’ironia e il sarcasmo degli addetti ai lavori.
Almeno il presidente nerazzurro vive il suo ruolo calcistico con passione ed entusiasmo. Di Rosella Sensi non si può dire neanche quello. Nell’estate del 2008 divenne presidente della Roma, subentrando al padre Franco, deceduto pochi giorni prima. Chi conosce la giovane imprenditrice racconta che prendere le redini di una squadra di calcio fosse l’ultima delle sue aspirazioni. Una presidenza scandita dalle contestazioni dei tifosi (nella Capitale Rosella non è mai stata troppo amata) e dai tanti insuccessi sul campo. Sempre presente, e pesante, il ricordo dello scudetto del 2001. Quello conquistato dalla squadra invincibile allestita a suon di miliardi dal papà.
Sono lontani i tempi in cui Inter e Roma erano due società amiche. Unite dai comuni interessi industriali e schierate fianco a fianco contro «la banda dei furbi e dei negligenti» (così Franco Sensi descriveva la triade juventina). «Sono legato a Massimo Moratti da un rapporto di stima e amicizia - svelò il presidente giallorosso una decina di anni fa -. Come quello che mi legava a suo padre Angelo. Gente seria, a posto. Una grande famiglia». Poche le differenze tra i due patron, quasi sempre legate agli interessi extracalcistici. A chi ricordava che il patrimonio di entrambi i club si fondava sull’oro nero, Sensi amava distinguere: «Loro sono raffinatori, io sono uno stoccatore». Chissà se le cordialità si interruppero nel 2003, quando la Roma rifilò ai nerazzurri il trentaquattrenne Gabriel Batistuta, attaccante ormai a fine carriera. Massimo Moratti, lo pagò una fortuna. Il giorno dopo la transazione, Sensi dichiarò pubblicamente, senza troppo stile, di aver «dato una fregatura» all’amico.
A dividere Roma e Inter, oggi, è soprattutto il ruolo che il petrolio riveste nella gestione dei due club. Il nerazzurro Massimo attinge dai profitti delle raffinerie Saras per investire, spesso senza ritegno, sul calciomercato. La giallorossa Rosella è costretta a stringere la cinghia della squadra per limitare i debiti di Italpetroli.
L’Inter è una società prossima alla bancarotta, almeno virtualmente. Solo nell’ultimo bilancio, il passivo di oltre 150 milioni di euro ha obbligato Moratti a mettere la mano al portafogli e garantire un aumento di capitale di 70 milioni. Il segreto delle finanze nerazzurre sono gli oltre 300mila barili di greggio lavorati quotidianamente dalla raffineria sarda di Sarroch, fiore all’occhiello della Saras. Al contrario del club calcistico, il gruppo industriale della famiglia Moratti ha i conti in ordine: l’ultimo bilancio è stato chiuso con oltre 4.500 milioni di euro di ricavi. Un utile netto di 78 milioni.
La situazione finanziaria della famiglia Sensi è speculare. La holding di famiglia, Italpetroli, ha chiuso il bilancio 2008 con più di trenta milioni di perdite e un’esposizione debitoria di oltre 500 milioni. Il principale creditore è Unicredit, che attende da tempo la restituzione di 325 milioni (e che da qualche mese ha ottenuto di far entrare un proprio rappresentante all’interno del Cda del club giallorosso). La Roma viene gestita di conseguenza: pochi acquisti sul mercato, tante cessioni - negli ultimi anni diversi campioni sono finiti proprio all’Inter. I bilanci, però, sono quelli di un club virtuoso: al 30 giugno 2009 la posizione finanziaria netta di fine esercizio era attiva per 19,7 milioni di euro. Oltre 141 milioni di euro di ricavi, al netto dei risultati della gestione del parco calciatori. Il risultato è paradossale. Se questo pomeriggio Totti e compagni dovessero vincere il titolo, la società finirebbe per aumentare i debiti (il Sole24Ore ha stimato i premi per allenatore e calciatori in oltre 20 milioni di euro). Vanificando, di fatto, l’incremento del fatturato di circa 25 milioni di euro che arriveranno a settembre dal ritorno in Champions League.