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 2010  maggio 15 Sabato calendario

NAPOLI, MORTA L’INFERMIERA CORAGGIO SI ”SVEN” PER AVERE LO STIPENDIO ASL

Per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul mancato pagamento degli stipendi da parte dell’ASL Napoli 1, aveva attuato una singolare forma di protesta, Mariarca Terracciano, l’infermiera napoletana di 45 anni, con due figli, morta nell’ospedale San Paolo di Napoli in cui lavorava: si era fatta togliere 150 millilitri di sangue al giorno, fino quando non le sarebbe stata corrisposta la paga.
Un arresto cardiocircolatorio con conseguente «danno ipossico cerebrale» - secondo i medici non provocato dalla protesta - l’ha uccisa, dopo tre giorni d’agonia, proprio nell’ospedale in cui lavorava e dove è stata ricoverata dopo il malore, accusato mentre era in servizio. Al problema degli stipendi finora non è stata ancora data una soluzione definitiva sebbene Mariarca Terracciano le avesse tentate tutte, anche la diffusione su Youtube di un video dei suoi prelievi.
«Sto facendo anche lo sciopero della fame - riferisce dal web la donna che lascia un marito e due figli di 10 e 4 anni - può sembrare un atto folle ma voglio dimostrare che stanno giocando sulla pelle e sul sangue di tutti: vedere il sangue, che è vita, rende evidenti le difficoltà nostre e degli altri ammalati». E ora i suoi organi serviranno a far vivere altre persone. Secondo Bruno Zuccarelli, ematologo del Monaldi e sindacalista dell’Anaao Assomed, tuttavia non ci sarebbe correlazione tra i prelievi e la morte della donna: «Non conosco le condizioni cliniche della signora. Se però la sua protesta è consistita nel farsi prelevare 150 ml di sangue al giorno per 4 giorni, allora non avrebbe dovuto avere problemi visto che una singola donazione è pari a 500ml». A questo punto, determinanti sarebbero state le condizioni cliniche della signora: «A meno che non fossero già compromesse non ci sarebbero dovute essere conseguenze», sostiene Zuccarelli.
Dello stesso avviso anche Mario Santangelo, docente di chirurgia generale, esperto di trapianti d’organo ed assessore regionale alla Sanità fino alle ultime elezioni, che definisce l’ipotesi «molto poco probabile». Ma Mariarca aveva cominciato anche uno sciopero della fame: era preoccupata per il mancato arrivo degli stipendi e c’erano scadenze da fronteggiare, come il pagamento del mutuo. Non c’è notizia di un’indagine della magistratura sulla vicenda, ciò nonostante il direttore sanitario del presidio sanitario di Fuorigrotta, Maurizio Di Mauro, ha chiesto il riscontro autoptico. Un’ombra sulla vicenda la getta un’amica della donna: «Mariarca era una persona sana - assicura - la conoscevo da 27 anni e non abbiamo capito com’è successo».
I funerali di Mariarca Terracciano, che aveva scelto di donare gli organi, si svolgeranno oggi. La salma della donna è coperta da un velo attraverso il quale è possibile scorgere il volto: su quel velo, amici, colleghi e parenti, hanno depositato delle rose. «La madre dice sempre che la figlia era una rosa - spiega una di loro - e noi la vogliamo ricordare così»
Redazione, Il Messaggero 15/5/2010

IN CORSIA L’INCUBO CREDITORI: RISCHIO BLOCCO BUSTE PAGA
Mariarca ha urlato più forte degli altri. Un gesto estremo il suo, un caso isolato, una situazione paradosso. Perché è la prima volta, perché, fino ad oggi, non è mai accaduto che una Asl abbia ritardato stipendi e tredicesima. Non è che l’inizio, ripetono i medici e gli infermieri che lavorano nelle regioni con i conti sanitari in rosso. Come dire che ogni mese, di questi tempi, è a rischio l’appuntamento con lo stipendio. Non c’è da stupirsi: il Consiglio dei ministri di giovedì ha affrontato, con pugno duro, proprio la difficoltà a ripianare i deficit di Lazio, Campania, Molise e Calabria. Aumenti delle tasse in vista per fare presto ed evitare che il debito diventi sempre più pesante. Per i contribuenti l’aggravio medio si potrebbe aggirare intorno ai 60 euro l’anno. Curiosa e tragica coincidenza quella tra il pressing di Palazzo Chigi sui presidenti delle regioni perché prendano decisioni drastiche e rapide e la morte di Mariarca che urlava più degli altri per ricevere legittimamente lo stipendio.
Il dramma di Napoli è davvero l’inizio di una collana di situazioni limite? «Non ci risultano, a parte i casi noti in Campania, altri problemi di ritardo nel pagamento degli stipendi, anche se esiste una difficoltà reale di cassa per le aziende sanitarie», spiega Giovanni Monchiero, presidente della Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere). «La difficoltà - aggiunge - è dovuta ai ritardi nei trasferimenti di risorse dalla Tesoreria centrale alle Regioni e, dalle Regioni, alle aziende sanitarie. L’attesa di liquidità crea seri ostacoli in particolare dove ci sono situazioni di deficit storico».
Quel deficit, appunto, che secondo l’onda finanziaria permette alle amministrazioni in rosso-sanità di attraversare spesso il rischio di non riuscire a toccare i fondi degli stipendi. Perché, per esempio, bloccati da decreti ingiuntivi delle aziende fornitrici che, in alcune regioni, arrivano ad aspettare anche due anni. Sfiora i 5 miliardi la cifra che le Asl devono alle aziende biomedicali, quelle che forniscono dagli strumenti per la sala operatoria agli apparecchi radiologici, dalle siringhe alle garze. Cinque miliardi è una cifra colossale, si tratta di denaro che le ditte fornitrici potrebbero, da un momento all’altro, voler richiedere usando la forza. Con azioni legali che possono portare anche al blocco degli stipendi, appunto, o al pignoramento degli immobili. La legge impone alle aziende sanitarie di saldare entro trenta giorni dal ricevimento della merce. In Calabria, però, si aspetta oltre 700 giorni, in Campania quasi 650. Nell’Unione europea il pagamento avviene, mediamente, entro i 70 giorni. La nostra media è di 200 giorni.
«La realtà è che tutte le aziende in crisi sono esposte alle decisioni dei creditori - è Costantino Troise a parlare, vicesegretario dell’Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri che raccoglie 20mila iscritti -. Questi hanno la possibilità di decidere per un decreto ingiuntivo e, in questo caso, si bloccano i beni. Che sono appunto gli stipendi. Finora si è arrivati a questa situazione solo in Campania ma la vicenda dell’infermiera va presa come un campanello d’allarme».