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 2010  maggio 16 Domenica calendario

ITALIA, RICORDATI QUANDO EMIGRAVI

Le migrazioni sono tra i fenomeni che più segnano la trasformazione delle società contemporanee. Specie nel contesto europeo, esse sono percepite come una minaccia, come una patologia tipica della nostra epoca. Eppure, se si assume un’ottica storica di lungo periodo, appare evidente che gli spostamenti delle popolazioni nello spazio hanno segnato continuativamente la vita sociale. L’emigrazione appare come una componente essenziale della costante ricerca di miglioramento delle condizioni di vita. Una ricerca che non va letta, dunque, in chiave riduttiva come un fenomeno meramente governato da condizioni economiche, anche se questo aspetto gioca certo un ruolo rilevante specie nelle migrazioni moderne.
Le migrazioni esprimono la ricerca di libertà dal bisogno, ma anche di libertà di autodeterminazione. Sono queste le premesse da cui muove l’agile e denso volume di Massimo Livi Bacci, uno dei più qualificati demografi italiani:
In cammino. Breve storia delle migrazioni.
Questo lavoro fornisce un’accurata sintesi del fenomeno, dalle sue manifestazioni nel Medioevo e nell’epoca moderna fino alle grandi emigrazioni transoceaniche dell’Ottocento, per giungere infine alle vicende degli ultimi decenni. Tuttavia, si comprende che la ricostruzione storica non è l’obiettivo esclusivo del saggio. Essa è orientata esplicitamente a sostenere le considerazioni sviluppate negli ultimi capitoli sulla natura delle migrazioni contemporanee, sul loro impatto particolare nel contesto europeo, sulle prospettive future e sul modo di confrontarsi con le sfide che si aprono. Qual è la strada più opportuna da seguire per l’Europa a fronte di una scarsità di risorse umane determinata dalle tendenze demografiche degli scorsi decenni?
Le migrazioni hanno una storia molta lunga, ma hanno cambiato le loro caratteristiche nel tempo. Il fenomeno riguarda già le società primitive e quelle antiche, e riflette la fitness,
la capacità di adattamento degli uomini alle sfide dell’ambiente e della società. Il Medioevo europeo è però il vero punto di partenza da cui l’autore muove per mettere in evidenza i tratti distintivi e l’evoluzione nel tempo degli spostamenti di popolazione. In quella fase storica prende forma il modello dell’«onda di avanzamento»: uno spostamento lento e graduale di insediamenti agricoli in territori spopolati, al di là dei confini orientali dell’impero carolingio e dell’insediamento germanico. L’epoca moderna è segnata da un cambiamento significativo anche nelle migrazioni. Ancor prima della rivoluzione industriale, il miglioramento delle comunicazioni, specialmente via mare, aumenta le possibilità di spostamento per masse crescenti di popolazione. Ma è soprattutto nell’Ottocento che si manifesta un’accelerazione del fenomeno. Cresce la velocità e l’intensità delle migrazioni. Al vecchio modello dell’«onda di avanzamento», graduale, di corto raggio, legato agli insediamenti agricoli, si sostituisce una mobilità su grandi distanze che coinvolge milioni di europei e li spinge verso il continente americano. Livi Bacci vuole però attirare l’attenzione in modo particolare sulle tendenze degli ultimi decenni, che vedono una spettacolare inversione del ciclo migratorio: l’Europa, dopo essere stata per secoli esportatrice di risorse umane torna a diventare importatrice netta, come nella fase precedente all’epoca moderna, ma con numeri ben più consistenti. Il motivo di fondo è il «vuoto demografico», il vistoso e rapido calo della popolazione che caratterizza sempre più i paesi europei.
In questo periodo, di fronte alla velocità e all’intensità del fenomeno, l’immigrazione viene percepita ”soprattutto in Europa ”sempre più come una minaccia, come un pericolo incombente al quale porre rimedio. Nel Vecchio Continente si oscilla dunque tra il modello della «società chiusa, ma non troppo» e quello della «società aperta, ma non tanto». Insomma, «gli europei vorrebbero una società chiusa ma sono costretti ad aprirla», perché la loro perdita di risorse umane è troppo forte. Non basterebbe che aumentasse sensibilmente l’età di pensionamento e l’occupazione femminile per farvi fronte. E in prospettiva il problema potrebbe aggravarsi. Il motivo è ben sintetizzato da queste semplici cifre: nei prossimi vent’anni, senza immigrazione, la popolazione europea perderebbe più di 30 milioni di abitanti, ma i giovani (tra i 20 e i 40 anni) diminuirebbero di oltre 50 milioni e gli anziani (sopra i 65 anni) aumenterebbero di circa 40. Il calo della componente più giovane della popolazione,cruciale per la crescita economica e per l’innovazione, non potrà che generare un’intensa migrazione nel continente.
Da qui il grido di allarme – insieme appassionato e argomentato – del demografo: c’è «il pericolo di operare la peggiore e la più schizofrenica delle scelte: quella di gestire una società di fatto aperta con politiche disegnate per una società chiusa ».L’immigrazione, infatti, inevitabilmente continuerà. Pensare di esorcizzarla, limitarsi a sfruttare per motivi politici le paure dell’opinione pubblica, e non prepararsi adeguatamente ad affrontarla come un dato strutturale della società futura non potrà che accrescerne i rischi per le nostre società.