Michele Luzzatto, Il Sole-24 Ore 16/5/2010;, 16 maggio 2010
PERCH DARWIN CI RIGUARDA
Impermeabile alle critiche, tenace, l’antidarwinismo è ancora tra noi. una storia antica, vecchia quanto Darwin. Il pubblico poco avvezzo alla cultura scientifica guarda al tema con scarsa partecipazione e il più delle volte gira pagina. Che interesse potrà mai avere il tema dell’evoluzione in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenza? Perché si scaldano tanto? Sembra una polemica tutta interna alla scienza.
E invece no. Proviamo a spiegarlo con un esempio. Se io sono un decisore politico, ad esempio un ministro, un consigliere comunale, mi pongo il problema di gestire il mondo intorno a me secondo le mie idee, per quanto sta nelle mie possibilità. Se sono stato eletto democraticamente devo rispondere delle mie scelte ai cittadini che mi hanno votato (e anche a quelli che non mi hanno votato); se il potere me lo sono preso in qualche altro modo devo comunque rispondere di ciò che faccio ai cittadini che mi osservano, tanto per non fare la fine di Maria Antonietta. Il mio mestiere consiste nel fare leggi, perché sarà mia ambizione agire per migliorare la situazione della mia comunità in modo che si avvicini il più possibile all’idea di società che ho in testa, secondo il mio concetto di ordine e giustizia. Per fare questo non posso che poggiarmi su convinzioni profonde, quelle che in definitiva mi hanno spinto a scegliere il mestiere del decisore politico e non, poniamo, del fabbro maniscalco. Di queste convinzioni profonde, dettagli a parte, non è che ce ne siano poi tante: (a) o penso che il mondo sia una corruzione terrena di un idea-le perfetto ( e poi deciderò quale, maè ininfluente in questa sede); (b) oppure credo che il mondo sia quello che appare, ovvero una sostanza mutevole in continuo movimento, popolato da rocce, piante, animali e uomini che interagiscono tra loro seguendo percorsi in parte prevedibili.
Se penso (a), la mia idea di ordinee giustizia sarà naturalmente quella di fare leggi che avvicinino il mondo all’ideale perfetto che ho in testa; se penso (b), farò leggi che sfruttino il corso delle cose prevedibili, lasciando ai singoli – secondo regole condivise (e poi deciderò quali, ma è ininfluente in questa sede) – libertà d’azione sul resto, non essendoci un ideale perfetto al quale ispirarsi. Gli scienziati tendono a pensare (b), ma non sono i soli; molte altre categorie pensano (a), non solo i sacerdoti.
Ora arriva il darwinismo. Fino a non molto tempo fa chi pensava (b) non aveva gli strumenti per dimostrare che il suo sistema era coerente. I pensatori-(a) quindi accusavano i pensatori-(b) di tante cose, ad esempio di «empietà», «incoerenza», «stupidità » o «ideologia ottusa». I pensatori-( b) non avevano in effetti un criterio per spiegare come mai il mondo fosse fatto così com’è, complicato e intricato, preciso nei suoi meccanismi naturali. Senza ipotizzare la presenza di qualche ordinatore superiore si faticava a comprendere l’ordine della natura. Di conseguenza i decisori politici erano tutti (a) e il governo della cosa pubblica rifletteva nei vari paesi le diverse concezioni dell’ordine superiore che, in quel paese, occupavano una posizione preminente.
Poi è arrivato Darwin, che ha fornito un argomento convincente per i pensatori-(b). Dopo qualche incertezza iniziale, un buon secolo dopo, l’argomento è cresciuto a tal punto che i pensatori-(b) si trovano ora ad avere argomenti convincenti almeno quanto i pensatori-(a), e quindi i decisori politici, per la prima volta nella storia, possono scegliere. Questa possibilità di scelta la chiamiamo laicità.
Ma per capire a fondo in cosa consista questa laicità e come possa essere utilizzata a maggior vantaggio della comunità è bene capire a fondo anche gli argomenti scientifici che hanno reso possibile questo cambio di prospettiva. E questo equivale a dire che l’evoluzionismo (e la scienza nel suo complesso) fa parte a pieno diritto dei problemi importanti e non è un mero dibattere tra specialisti.