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 2010  maggio 16 Domenica calendario

IL GIOIELLO CENTRAL PARK RISPARMIATO DALLA CRISI

Central Park. Ovvero il cuore, il polmone e il termometro della città. Il cuore perché sta al centro di Manhattan, che a sua volta è al centro di New York. Il polmone, perché con i suoi 341 ettari di verde, fa respirare la città. E il termometro perché da sempre le sue condizioni riflettono quello dell’intera metropoli.
Di questo è consapevole il sindaco-finanziere, Michael Bloomberg, che come tutti i primi cittadini d’America (e del mondo) si trova a far fronte alle enormi difficoltà di bilancio dovute alla crisi economico- finanziaria. Solo la settimana scorsa la sua amministrazione ha comunicato un piano di tagli che prevede il licenziamento di ben 6.400 insegnanti. Cose che non si vedevano dai tempi dell’ultima grande crisi fiscale della storia newyorkese, quella di 35 anni fa.
Ma una delle più significative differenze rispetto ad allora sta nelle decisioni prese su cosa tagliare. Negli anni 70, i sindaci tagliarono il bilancio dell’assessorato dei parchi per primo, e a colpi d’accetta. Riducendolo al lumicino. Il risultato fu un drammatico degrado di Central Park.
Bloomberg invece ha adottato una strategia completamente diversa e ai parchi sta applicando un piano di tagli molto cauto. «Questa amministrazione ha capito più di qualunque altra che il benessere dei parchi equivale al benessere della città», dice Adriane Benepe, attuale assessore ai parchi.
Ma se, nonostante la crisi, lo stato di salute del principale parco newyorkese rimane oggi ottimo, non è solamente merito del sindaco. Il contributo principale viene piuttosto dalla Central Park Conservancy, un’organizzazione non-profit nata esattamente 30 anni fa, proprio all’indomani della crisi degli anni 70. Che da allora amministra e gestisce il parco per conto e in collaborazione con il Comune. E che ha trasformato un luogo sporco, triste e pericoloso in un tesoro urbano.
Un camminata ovunque a Central Park ne attesta non solo la bellezza, ma soprattutto la straordinaria pulizia. Nonostante gli oltre 35 milioni di persone che lo visitano ogni anno (tra i quali circa 10 milioni di turisti). Abbiamo chiesto a Benepe la formula manageriale che ha permesso questa straordinaria trasformazione. «Una delle prime cose che si sono fatte a Central Park è stata di ripulirlo dai graffiti. Ce ne erano migliaia e migliaia. In ogni statua, ogni muro. Prima si sono tolti tutti i vecchi, e poi si è deciso di dare la priorità alla rimozione dei nuovi. Il mio predecessore aveva una regola: qualsiasi graffito deve scomparire entro mezzogiorno. Perché ci siamo resi conto che i graffiti aprono la strada ad altre forme di vandalismo. E se li si elimina subito, si dà un messaggio chiaro non solo ai graffitari ma all’intera cittadinanza. Dopodiché abbiamo appurato che se si fa un grosso sforzo per pulire il parco, la gente impara poi a tenerlo più pulito». A questo si deve aggiungere il sistema del cosiddetto "giardiniere di zona": il parco è stato diviso in 49 zone e ognuna è stata affidata a uno specifico giardiniere, che si deve occupare innanzitutto della pulizia della sua area e poi della cura delle piante.
Senza la Conservancy sarebbe stato impossibile per il Comune riuscire a trovare i fondi, le energie umane e la capacità manageriale che ha permesso il miracolo. In questi trent’anni, l’organizzazione calcola di avere investito oltre mezzo miliardo di dollari. Interamente frutto di donazioni. Una cifra straordinaria. Impensabile probabilmente in qualsiasi altra città del mondo. Motivo: in nessuna altra città del mondo c’è un parco che lungo un perimetro di circa 12 chilometri è circondato da palazzi di venti o più piani in cui risiedono alcune delle persone più ricche del mondo. Ma se gli investimenti sono stati rilevanti, così come anche i costi di ordinaria gestione - nel 2009 sono stati di oltre 36 milioni di dollari - quello che Bloomberg sa e Benepe ci fa notare, è che molto più alto è stato il ritorno economico del rilancio di Central Park.
Più che ai 12 milioni di dollari all’anno provenienti direttamente dalle concessioni per concerti e attività commerciali, stiamo parlando dell’indotto e dei benefici fiscali. Da uno studio commissionato alla società di consulenza Appleseed è emerso che "l’effetto Central Park" genera oltre un miliardo di dollari all’anno in attività economiche ed entrate tributarie. Circa 535 milioni di dollari vengono soltanto dalle entrate fiscali dovute al valore aggiunto che il parco dà agli immobili adiacenti (circa il 18%). Se poi si includono le attività economiche direttamente o indirettamente associate al parco, Appleseed ha calcolato che nel 2007 Central Park ha generato 656 milioni di dollari in entrate fiscali.
«Quello della Conservancy è diventato un modello non solo per il resto della città - sono nate una dozzina di partnership simili riguardanti altri parchi - ma per il resto del mondo», dice Adrian Benepe. Ma quanto replicabile può essere? «La concentrazione di ricchezza attorno al parco e lo spirito filantropico di chi abita lì attorno sono difficili da replicare, soprattutto in Europa dove la cultura è quella di pensare che ai parchi debba badare l’amministrazione pubblica », risponde Benepe. «Ma tralasciando tecniche manageriali replicabili quali il giardiniere di zona, sul fronte dei contributi esterni, più importante ancora dell’impegno finanziario è l’impegno umano. E quello lo si può replicare ovunque. Mi riferisco alle decine di migliaia di newyorkesi che si offrono volontari. E che vengono gestiti dai giardinieri di zona della Conservancy».
Il Dipartimento dei parchi ha un’apposita banca dati che custodisce un patrimonio di oltre 55mila nomi di volontari che partecipano alla manutenzione dei vari parchi cittadini. Ogni anno, svela Benepe, questi cittadini danno un contributo di 1,6 milioni ore-lavoro. Insomma il maggior ingrediente del successo di Central Park è l’affetto dei suoi cittadini. Sia ricchi che meno ricchi.