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 2010  maggio 16 Domenica calendario

C’E’ IL PERICOLO DI TRASFORMARCI IN «MALATI DI VITA»

L’intero genoma di una particolare persona contiene un’altissima quantità di informazioni, attuali e potenziali, che riguardano il diretto interessato e i suoi consanguinei (il gruppo biologico). La quantità di informazioni e la loro estensione nel tempo e nello «spazio genetico» di un individuo sono, dunque, gli aspetti da valutare. L’oggetto dell’informazione in ambito medico si è sviluppata negli ultimi decenni secondo questa sequenza: informazione sul trattamento che il medico compie, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle controindicazioni, sulle alternative terapeutiche e/o di cura, sui rischi di uno stato patologico in atto, sui rischi propri della storia clinica, su una caratteristica genetica che aumenta la suscettibilità a una malattia rispetto alla popolazione generale, sui rischi genetici per l’assunzione di alcuni farmaci, sui rischi noti connessi a caratteristiche del proprio genoma per alcune malattie … fino all’informazione sul fatto che dal genoma intero che abbiamo tra le mani possiamo trarre minime informazioni, mentre sappiamo che solo i futuri sviluppi scientifici sveleranno (forse) quei significati.
L’informazione che il genoma intero può dare è, però, una parte del problema. Se l’interazione con l’ambiente è decisiva nello scatenarsi di quanto era solo possibile, vuol dire che l’informazione sul nostro genoma è poco, se non letta in relazione all’ambiente di vita. E se si aggiunge il ruolo del caso e il moltiplicarsi nel tempo delle interazioni possibili, si ha un quadro chiaro, quanto sconfinato, di cosa può indurre la mappatura del genoma in ambito clinico. evidente che siamo del tutto fuori dalle coordinate tradizionali della medicina e che siamo passati dalle informazioni su cose e atti (farmaci e trattamenti) a informazioni su conoscenze attuali proiettate nel futuro (il rischio come aspettativa statistica del verificarsi di un evento indesiderato) a informazioni su non-conoscenze attuali. E se al primo livello si poteva parlare di paziente informato e, al secondo, abbiamo dovuto parlare di malati di rischio per descrivere la condizione di quei soggetti la cui malattia è il rischio di contrarre una malattia, dovremmo ora parlare di malati di vita per descrivere la condizione di chi viene informato dell’intero quadro, genomico, ambientale e casuale della sua vita? E quanto oneroso sarebbe tutto ciò per il singolo e per la società? Vi è già chi fa due conti sul numero di specialisti che dovrebbero essere coinvolti nella lettura del genoma e nella sua comunicazione al diretto interessato, sulle ore che saranno necessarie e, quindi, sui costi enormi di tutto ciò.
Io terrei fermo che tutte le informazioni su una persona appartengono a quella persona (contro ogni tentazione di appropriazione) e che se la tecnologia le rende possibili, dobbiamo prima o poi imparare a gestirle, non più come pazienti o malati di rischio, ma come protagonisti delle nostre vite tecnologizzate. Nessuna paura, ci sarà sempre il caso a lasciarci il gusto di vivere.
Amedeo Santosuosso
giudice Corte di Appello, Milano docente di diritto e scienze della vita, univ.Pavia